Una volta, Guido Ceronetti scrisse – nella sua grande raccolta di articoli intitolata “La vita apparente” (Adelphi 1982, p. 392) – che se Agostino, alla cruciale domanda “Unde malum?” (“Da dove viene il male?”), si fosse sentito rispondere, da un leninista o da un fondamentalista islamico, “ex America venit” (“viene dall’America”), si sarebbe stupito non poco…
Ecco che, allora, appare molto interessante, interrogarsi sui rapporti tra la cultura americana attuale e le radici dell’umanesimo europeo. Da un punto di vista politico, appare scontato far emergere un rilievo.
Negli Stati Uniti è evidente un binomio cruciale, quello di democrazia e imperialismo, che appare rintracciabile nella Atene del V secolo a. C. e nella Roma del periodo repubblicano. Ovviamente con la mediazione dell’Impero coloniale britannico di epoca moderna.
Un esempio sembra essere particolarmente adatto al caso nostro. Il fumetto di Frank Miller, intitolato “300”, del 1998. Nonché il film di Zack Snyderdel 2007, dal medesimo titolo, che ad esso si ispira. Al centro del fumetto e del film, c’è l’eroica battaglia delle Termopili del 480 a. C., in cui il leggendario re di Sparta Leonida provò a fermare i Persiani di Serse, immolandosi sull’altare della Gloria, con i suoi trecento Spartiati.
Bisogna dire che Frank Miller è uno dei padri del fumetto americano. Autore di “Sin City” e di “Batman – Il ritorno del Cavaliere Oscuro”, egli è uno dei pochi autori in grado di sollevare il fumetto all’altezza del concetto. Basta leggere la sua “Introduzione” alla graphic novel sul ritorno di Batman, datata “New York 2006”.
Frank Miller domina, con disinvoltura, l’evoluzione della storia e della società americane, nel periodo che va da Reagan alle Torri gemelle. Il suo gesto è sciolto, disinvolto, sicuro di sé. Il suo sguardo sull’America non sottostà all’apologia di corto respiro del reaganismo o del trumpismo, né alla condanna senza appello del marxismo europeo (o di ciò che rimane di esso).
Ma è giusto fare un passo indietro e tornare all’inizio del V secolo a. C. della storia ateniese, ossia alle Guerre Persiane. Nel 491 a. C., il re di Persia, Dario I, chiede alla Grecia un gesto di sottomissione, “terra e acqua” recita la formula. Atene e Sparta rispondono infuriate.
Ogni grande battaglia delle Guerre Persiane ha il suo eroe. A Maratona (490 a. C.), fu Milziade il giovane, ateniese. Alle Termopili (480 a. C.), fu Leonida, re spartano, che, tradito dal greco Efialte, verrà sconfitto con i suoi Trecento. A Salamina (480 a. C.), battaglia navale, fu Temistocle ateniese a vincere, con la sua astuzia degna di Odisseo.
Nel 479 a. C., Platea e Micale saranno l’ultimo fuoco di uno scontro, destinato ad innalzare i Greci all’apoteosi. Dopo Platea, le poleis di tutta la Grecia innalzeranno a Delfi una colonna serpentina sorreggente un tripode (che ora si trova ad Istanbul), volta a commemorare la straordinarietà dell’evento.
Siamo all’inizio dell’epoca classica. Prima di Pericle, di Socrate, di Fidia, di Platone, di Senofonte. Nonché un secolo e mezzo prima di Alessandro Magno, che alla lotta tra Grecia e Persia darà la sua curvatura definitiva, attraverso la conquista e l’ellenizzazione, ma anche tramite il dialogo e lo scambio autentico e sarà il tempo dell’ellenismo.
Come rendono Frank Miller e Zack Snyder tutto questo? Sicuramente, in “300”, c’è una stilizzazione fumettistica e cinematografica troppo americana. Basti porre attenzione alla resa iconico-figurativa di un personaggio come Serse. Ma si pensi al numero di persone che, al contrario di molti di noi europei, sono digiune di studi classici.
Che non hanno idea dell’oracolo di Delfi. Che hanno sentito parlare del Partenone alla lontana. Quando visitai Delfi per la seconda volta, mi accorsi che, per i miei compagni di gita, sarebbe stato la stessa cosa vedere la piramide di Cheope in Egitto o il Taj Mahal in India.
Ecco che, allora, il fumetto di Frank Miller e il film di Zack Snyder possono contribuire alla conoscenza di quell’evento unico, nella storia del mondo, che furono le Guerre Persiane. La creatività del fumetto e del film possono spingere alla conoscenza dell’originale. Suscitare quella curiosità che è, pur sempre, uno stimolo verso il sapere.
Ad esempio, a meditare sull’epitaffio per le Termopili attribuito a Simonide di Ceo: “Straniero, vai ad annunciare a Sparta che noi giacciamo qui, in obbedienza alle sue leggi”. Non apparirà superfluo sottolineare, che il grande spirito guerriero di Leonida e dei suoi Trecento spartiati, è tutto racchiuso in queste parole…
Un altro esempio, di ben altra caratura storica e culturale, testimonia della possibilità di far dialogare lo spirito greco e la cultura americana: quello di Hannah Arendt. In una delle sue opere cruciali, “Sulla rivoluzione” (ed. it. Einaudi) del 1963, dedicata a Karl Jaspers e a sua moglie Gertrud – uscita, dunque, nello stesso anno di “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” – Arendt analizza il fenomeno politico capitale delle rivoluzioni moderne e contemporanee, per arrivare a una conclusione singolare.
Per Hannah Arendt, tra la rivoluzione americana, la rivoluzione francese e la rivoluzione d’ottobre del 1917, l’unica a non aver fallito è la rivoluzione americana. La cultura politica dei Padri Fondatori è l’unica ad assomigliare da vicino al modello della polis greca, che per la grande pensatrice incarnava la politica con la maiuscola.
A questo proposito, Jürgen Habermas – il cui contributo al pensiero filosofico contemporaneo non potrà essere mai sottolineato abbastanza – ha parlato di “concezione comunicativa del potere in Hannah Arendt”. Ciò non significa che gli Stati Uniti non presentino tare e difetti a volte preoccupanti. Ma che le democrazie sono, realisticamente, l’unica strada plausibile per il futuro, almeno sul piano politico.
Daniele Lorusso
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