C’è una tragedia sociale in atto, silenziosa, che si consuma dietro le porte chiuse di quelle case che oggi sono il nostro unico punto di riferimento. I giorni passano, quindici giorni sono diventati un mese e mancano ancora diverse settimane, nella migliore delle ipotesi, per riprendere un barlume di normalità. I dati non sono ancora certi, il quadro intero si avrà solo a fine quarantena ma è chiaro che per molti l’hashtag #iorestoacasa si sta trasformando in un incubo. Ne abbiamo parlato con il Dott. Stefano Callipo, Presidente Osservatorio violenza e suicidi, psicologo clinico, giuridico e psicoterapeuta.
Dottor Callipo, l’isolamento forzato ha contribuito a peggiorare quelle situazioni già difficili in tempi normali. Qual è il dato che emerge dopo quasi due mesi di lockdown? «I numeri adesso non solo non avrebbero valore ma squalificherebbero anche il fenomeno, perché è ancora in corso. Quando sarà finito il condizionamento ci saranno dei dati rappresentativi. Tuttavia, c’è un aumento importante della violenza domestica in questa fase ma che non corrisponde a un aumento di denunce, per ovvi motivi. Teniamo conto che molti aspetti di violenza in una condizione di normalità possono essere diluiti dalla lontananza, anche fisica, durante il giorno. Quindi tante coppie in cui uno dei due partner ha dei tratti violenti che non ha mai manifestato, può rivelarli in caso di convivenza forzata. Ecco perché si stanno sviluppando episodi di violenza anche in quelle coppie dove non c’è mai stata, perché la convivenza forzata va a esacerbare quei comportamenti violenti che prima la persona riusciva a gestire».
«Ovviamente dentro le quattro mura domestiche le emozioni vengono amplificate. Ci sono però dei consigli che posso dare: innanzitutto è importante mantenere una routine simile a quella che si aveva prima. Poi dobbiamo cercare di condividere con il partner le emozioni, anche quelle che viviamo in questo momento. Dobbiamo cercare di mantenere uno spazio privato che sia solo per noi e che deve essere rispettato. Altro consiglio è mantenere attive le relazioni sociali e imparare a disinnescare le sfide e i conflitti con il partner. L’ultimo è forse il più importante: chiedete aiuto a un professionista, soprattutto se si manifestano accenni di violenza. Non bisogna chiudersi in sé stessi e vivere tutto da soli. Se non si ha la forza di parlarne con un professionista, si può parlarne anche con un amico. Il timore di non essere creduti è la trappola più terribile in cui possiamo cadere».
Quanto può influire la paura di essere contagiati dal proprio partner, che magari per via del lavoro è costretto a stare a contatto con l’ambiente esterno? «Questo timore esiste, naturalmente dipende dalla struttura psicologica della persona. Ci sono persone che soffrono di ansie molto forti e quindi la paura del contagio può tradursi in comportamenti particolari, non esiste una linea comune. Teniamo conto che la mente umana è fatta in modo da poter gestire una situazione di ansia molto forte, ma quando siamo sottoposti a una condizione di ansia per troppo tempo questa ci mette a dura prova e lì emergono quei tratti della nostra personalità che ci fanno reagire in modo purtroppo unico e irripetibile».
L’impossibilità di uscire, la paura verso un futuro ignoto e difficile posso spingere al suicidio anche un soggetto considerato non a rischio? «Quando una persona subisce una restrizione, una convivenza forzata o scopre di aver perso ad esempio il lavoro, non è mai quello il motivo per cui si suicida ma è solo l’evento scatenante di una condizione di fragilità costruita nel tempo. Dunque, l’impossibilità di uscire può costituire l’evento scatenante di una situazione che si è già costruita nel tempo in alcuni soggetti, ma non pone tutti noi a rischio suicidario».
L’Osservatorio violenze e suicidi ha stimato che ci sarà un incremento dei casi di suicidio: quando ci sarà il picco e a cosa sarà legato? «Innanzitutto, i suicidi sono in aumento in questa fase e tra i motivi che abbiamo individuato ci sono chiaramente i motivi economici, quindi persone che non hanno soldi per mangiare, persone che vivono una povertà improvvisa, persone che non hanno speranze lavorative. Il vero picco ci sarà alla fine, quando le persone dovranno riprendere la vita normale e si accorgeranno che nulla sarà più come prima, soprattutto dal punto di vista professionale perché è chiaro che questa situazione di sospensione non permetterà di reimmettersi nel tessuto lavorativo come era prima. A questo aggiungiamo le crisi coniugali in aumento: si preve purtroppo un aumento dei divorzi. In Cina per esempio sembrerebbe che circa il 20% delle persone si sia separate a causa della convivenza forzata».
Secondo lei i media nazionali stanno acuendo la sensazione di sconforto nella popolazione? «Uno dei fattori più stressogeni è questa continua pressione mediatica, fatta non solo dalle notizie sul coronavirus ma anche da tutti i programmi televisivi, pubblicità comprese, che costituiscono un bombardamento psicologico che crea ansia e la mantiene troppo alta. Ovviamente queste proroghe che fino a oggi non ci hanno fatto vedere una via d’uscita possono portare a forme para-depressive. Questa pressione mediatica non permette alla mente di respirare, non si riposa mai. Ecco perché ho detto che è necessario crearsi degli spazi privati che permettano alla mente di evadere».
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