Libertà di espressione, la guerra di Trump svela che il re social è nudo
Il Presidente americano minaccia di chiudere Twitter: “Censura i conservatori”. Ma è tutta conseguenza di una pseudo-democrazia diretta che livella il dibattito verso il basso
In America è appena scoppiata una guerra sulla libertà di espressione che però, in un mondo globalizzato, non potrà che riverberarsi su scala planetaria. A scatenarla è stato il Presidente U.S.A. Donald Trump, furioso per la “correzione” operata da Twitter a due suoi cinguettii. I prodromi, però, sono meno recenti, e affondano le proprie radici in un humus culturale molto più profondo.
Donald Trump e la libertà di espressione
Galeotto fu l’affronto della piattaforma social preferita dal tycoon, che si è visto bollare due tweet come “potenzialmente fuorvianti”. Si trattava di due messaggi in cui Mr. President stigmatizzava la decisione del Governatore della California di autorizzare le votazioni per posta alle prossime Presidenziali.
È una misura pensata per contenere la diffusione del coronavirus, che potrebbe essere adottata anche da altri Governatori democratici. Ma che, secondo Trump, si tradurranno in qualcosa di «sostanzialmente fraudolento» che porterà a delle «elezioni truccate».
Malgrado l’usuale stile impetuoso dell’inquilino della Casa Bianca, non si trattava che della sua opinione sul tema. Ma ecco il colpo di scena: Twitter, che aveva già annunciato l’intenzione di contrastare la disinformazione in Rete, ha contrassegnato i cinguettii con un avviso. Un invito a «scoprire i fatti relativi al voto per corrispondenza» che rimandava a una pagina che definiva quelle di Trump «affermazioni prive di fondamento».
In particolare, secondo la società di San Francisco il tycoon «ha falsamente affermato che la votazione per posta porterebbe a “un’elezione truccata”. Tuttavia, i fact-checker dicono che non ci sono prove che il voto per corrispondenza sia legato a una truffa dei votanti».
Di qui l’ira funesta di The Donald, che ha accusato i social media di silenziare le voci dei conservatori. «Opereremo una forte regolamentazione, oppure li chiuderemo» l’avvertimento.
La replica dei social media
Immediato è arrivato il commento di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook: «Bisogna prima capire cosa intendano fare. Ma, in generale, un Governo che sceglie di censurare una piattaforma perché è preoccupato della censura non mi sembra la reazione corretta».
Così come non è il massimo una replica che ammette implicitamente la possibilità di un bavaglio. Forse anche per questo il Presidente americano ha rincarato la dose, accusando Twitter di interferire con la campagna elettorale basandosi su fake news. «Sta completamente sopprimendo la libertà di parola e io, come Presidente, non permetterò che accada!»
Più serafico Jack Dorsey, Ceo del social dei 280 caratteri. «Continueremo a segnalare informazioni errate o contestate sulle elezioni a livello globale» ha scritto sulla sua piattaforma.
«Questo non ci rende un “arbitro della verità”» ha aggiunto. Ed è proprio questa, al di là della contingenza, la questione dirimente. Che rende il re social nudo.
La globalizzazione e la libertà di espressione
Quid est veritas? chiese Ponzio Pilato mentre interrogava Gesù, prima di liquidare l’argomento con un’alzata di spalle. Oggi, in una società dominata da Internet, si potrebbe aggiungere: e chi stabilisce cosa sia la verità?
Il monopolio, infatti, lo detengono gli stessi social network e i motori di ricerca come Google. I quali, indicizzando i risultati, hanno di fatto il potere di dare risalto ad alcune istanze, occultandone altre mediante la cosiddetta “spirale del silenzio”. Così, ad esempio, la visibilità concessa alle fandonie sui cambiamenti climatici di origine antropica ha aggregato consenso attorno a quella che è in realtà una congettura indimostrata.
Poi c’è anche il caso opposto, quello in cui il mondo virtuale ha dato cittadinanza a miserabili caricature di teorie come il terrapiattismo. Sproloqui ascientifici che, però, allo stesso modo, possono aspirare a uscire dalla nicchia in cui dovrebbero restare sepolti approfittando dello spazio offerto dal Web.
Si badi che non è una sorta di bug, ma una conseguenza intrinseca dell’aspirazione a una pseudo-democrazia diretta che livella tutto verso il basso. Una concezione che, per inciso, trova il suo nadir nel motto grillino “uno vale uno” che uccide il merito mentre eleva l’incompetenza ad assurda Weltanschauung. Come non aveva mancato di sottolineare il costituzionalista Sabino Cassese.
Quis custodiet ipsos custodes?
Tuttavia, al giorno d’oggi perfino l’autorevolezza rischia di non essere un criterio sufficiente. Chi controlla, infatti, i controllori? Proprio per questo motivo, Twitter può giustificare le proprie azioni riferendosi a fonti che Trump invece sostiene essere inaffidabili.
In Italia ne abbiamo avuto un esempio in piccolo con la Commissione Segre. «Una struttura liberticida che avrà il potere di stabilire chi ha il diritto di dire cosa», secondo la definizione di FdI. Un orwelliano Miniver autoproclamato potenzialmente in grado di tacitare chiunque sulla base di psicoreati finalizzati al disegno di un pensiero unico. Il quale non può che nutrirsi e nutrire i suoi sudditi di una verità fittizia perché relativizzata.
Si torna dunque, inevitabilmente, alla domanda delle domande, che precede qualsiasi dibattito sulla libertà di espressione: cos’è la verità?
Per la cronaca, Sant’Agostino intuì che la risposta potrebbe essere contenuta nell’interrogativo stesso. Anagrammando il quale, si ottiene la frase est vir qui adest. È l’uomo che ti sta davanti.
La Via, la Verità e la Vita. Tutto il resto è social.