Cultura

Libri: “Il partigiano di Vestea” di Roberto Delle Cese alla Sala Stampa della Camera dei Deputati

Il romanzo Il partigiano di Vestea di Roberto Delle Cese narra la storia di Umberto Graziani che durante gli anni della Seconda guerra mondiale maturò la scelta di diventare un combattente animato da ideali di giustizia e libertà.

La vita avventurosa del partigiano Umberto

Dalla chiamata alle armi, a cui seguirono settimane di addestramento militare nella caserma dei paracadutisti di Tarquinia, ai mesi in cui svolse l’attività di sarto presso il campo di internamento fascista di Kampor nell’isola di Arbe, in Croazia, la vita del giovane abruzzese si configura come un susseguirsi di vicende memorabili. Il racconto della sua giovinezza si sofferma sulle circostanze che indussero il ragazzo a diventare un partigiano della Brigata Rab impegnata nei boschi della Slovenia in agguati nell’ambito della lotta di Liberazione dal nazifascismo.

Si tratta di un romanzo scritto con un linguaggio asciutto, diretto, molto immediato, ma anche commovente, profondamente umano nel raccontare i diversi episodi accaduti a Graziani durante il periodo trascorso nel campo di concentramento di Kampor o associati alla sua straordinaria esperienza partigiana, senza mai diventare enfatico, inutilmente retorico o encomiastico. Al contrario. A prevalere su ogni pagina è l’onestà, la schiettezza di un racconto capace di restituire, riga dopo riga, i tratti riconoscibilissimi di Umberto Graziani, il tono della sua voce solitamente misurata, pacata ma, in certi passaggi, anche dura ed energica.

Il partigiano abruzzese

In realtà, Il partigiano di Vestea non è il primo libro che Roberto Delle Cese ha dedicato a Umberto Graziani. Prima di scrivere questo romanzo, l’autore aveva già pubblicato, nel 2021, un testo non a caso intitolato Umberto Graziani. Un partigiano abruzzese nella Brigata Rab, nel quale aveva raccolto le memorie del protagonista. In quel volume, Roberto Delle Cese aveva corredato la parte memorialistica del suo lavoro con una puntuale introduzione di carattere storico, nell’intento di spiegare, al lettore, le motivazioni che portarono i fascisti a creare un campo di concentramento sull’isola di Arbe, o Rab in croato.

Del resto, questo metodo di scrittura è diventato ormai un personale modus operandi dell’autore, nella stesura dei suoi libri precedenti come, ad esempio, Sans Papiers, Vita di Adelia. Memorie di una donna in guerra, L’apicoltore del principe, o Illuminosa Tarantina. Il romanzo di un femminiello napoletano.

Nel caso de Il partigiano di Vestea, l’autore aveva come base le memorie di Umberto Graziani raccolte alcuni anni prima. A questo materiale – di per sé prezioso in quanto fonte primaria – Delle Cese ha aggiunto un ulteriore, altrettanto significativo, valore letterario, elaborando un ritratto non solo storicamente rispettoso del partigiano, ma anche tridimensionale, tangibile, verosimile fino ai vertici di una rappresentazione “più vera del vero”, offrendo al lettore un racconto intessuto di incontri e memorie, rievocazioni e idee pervase da un altissimo senso morale, in cui si profila con chiarezza tutto l’impegno civile del protagonista direttamente legato alla sua esperienza partigiana.

Il metodo storico utilizzato da Roberto Delle Cese

Ed è proprio questo coinvolgimento emotivo, oltre che il rigoroso metodo storico impiegato dall’autore, a garantire al suo romanzo un carattere di immediatezza, una freschezza e un’onestà di tono che restituiscono, in modo tangibile, le imprese di Graziani. Attenzione storica e creatività letteraria si coniugano, dunque, con una tale profondità da permettere al critico di sostenere la duplice autorialità di questo romanzo, in cui il dire del protagonista si fonde perfettamente – o, meglio, riemerge in tutta la sua pregnanza – dalle parole di Delle Cese. Come due novelli partigiani, Umberto e Roberto sembrano compagni di un memorabile viaggio letterario.

Pur prefiggendosi di raccontare, innanzitutto, la storia individuale di Graziani, Il partigiano di Vestea offre, inoltre, un caleidoscopio di voci che, nella loro variegata coralità, riporta il lettore in quel particolare contesto storico. Questa sensazione di coinvolgente immediatezza viene ulteriormente rafforzata, infatti, dal costante inserimento di personaggi sempre nuovi nei vari capitoli dell’opera, i quali vengono introdotti in modo velocissimo per poi sparire con la stessa celerità.

Eppure, malgrado la loro presenza lampo e la brevità della loro comparsa sul campo testuale che lo spettatore ha di fronte a sé, ognuno di questi personaggi tende a lasciare tracce quanto mai marcanti sui lettori, a causa dell’intensità e del dramma delle loro vicende. Data la loro specifica funzione all’interno del romanzo, queste figure potrebbero essere definite come “personaggi situazionali” poiché offrono prospettive narrative diverse rispetto a quelle del protagonista e riportano fatti o accadimenti che si trovano al di fuori dell’orizzonte di riferimento di quest’ultimo.

I protagonisti del romanzo

A proposito di questi “personaggi situazionali”, si potrebbero impiegare qui le parole con cui Italo Calvino descrisse il romanzo Una questione privata di Beppe Fenoglio: “è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere”. Nel caso del testo di Roberto Delle Cese, malgrado la brevità con cui i personaggi si presentano sulla scena narrativa, la loro comparsa arricchisce notevolmente il valore testimoniale e il carattere di verità che informano il romanzo.

Descritti con estrema economia di mezzi, attraverso pochissimi tratti, questi personaggi appaiono come anime smarrite, come zombi svuotati e persi, involucri privi di una più personale dimensione psicologica, suggerendo, sul versante narrativo, che il loro totale annientamento sul piano fisico, emotivo e psichico sia il risultato della loro forzata permanenza in quel campo di morte e umiliazioni continue. In altre parole, questi personaggi incarnano, con tangibile verismo, il processo di premeditata disumanizzazione a cui venivano sottoposti gli internati. Privi di psicologia, questi personaggi trasudano di umanità.

Per illustrare le osservazioni appena fatte basti riportare un esempio particolarmente emblematico di questo crudele percorso di svuotamento psicologico a cui erano sottoposti gli internati nel campo di Kampor: quello che ha dovuto subire un uomo chiamato Franc, un sostenitore del fascismo che – follia delle follie – venne deportato per sbaglio durante un rastrellamento degli ordini fascisti e portato al campo di Arbe, malgrado la sua posizione politica.

Come uno zombi, Franc si aggirava per il campo, una volta che aveva finito di pulire le latrine del reparto in cui era rinchiuso, portandosi sempre appresso – come una carezza andata perduta – la fotografia del figlioletto ancora piccolo sul petto, mettendosi a piangere ogni volta che la guardava.

Le emozioni e la compassione

Questa scena suscitava sentimenti di compassione in Umberto Graziani, sebbene riguardassero una persona che, dal punto di vista ideologico, si trovava all’estremo opposto delle sue convinzioni politiche. L’episodio mette ben in evidenza un aspetto fondamentale del temperamento di Graziani, che informa il testo di Roberto Delle Cese come un importante motivo simbolico: la compassione dimostrata dal protagonista nei confronti di tutti coloro che erano oppressi, la sua profonda capacità di empatia.

Non sarebbe fuorviante, né azzardato, quindi, vedere in questo testo uno svolgimento genealogico delle poetiche neorealiste, laddove coniuga, con estrema naturalezza e fluidità, un ben pensato impianto narrativo con l’immediatezza distintiva della tradizione dei racconti orali.

Sarebbe interessante, inoltre, indagare gli aspetti fiabeschi, di matrice archetipica, che informano le pagine di questo romanzo. Come in ogni fiaba dal sentore etico, il racconto di Umberto riporta sintomatiche simmetrie e topoi letterari e simbolici. Se tre sono i salti eseguiti da paracadutista, tre saranno anche le notti trascorse in quel bosco tragico, drammatico, in quella selva claustrofobica e circolare che caratterizza il bellissimo racconto delle tese giornate trascorse da Umberto e dai suoi compagni persi in un bosco della Slovenia, che assume una dimensione quasi mitica nell’economia di questo racconto, poco prima del reincontro con altri partigiani pronti a intervenire, con determinazione e coraggio, nella liberazione di Buccari, vicino la città di Fiume.

Una fiaba feroce, il partigiano di Vestea

Pur restituendo con impeccabile veridicità quello che Umberto Graziani definiva “la sacrosanta verità” del suo racconto, la trama narrativa di questo testo – al tempo stesso semplice e articolata, lineare e labirintica – è intessuta con una tale leggerezza da creare un congegno letterario in cui storia e finzione diventano sinonimi altissimi.

Il risultato è una fiaba feroce, avvincente perché vera e profondamente morale, etica. Una fiaba che evoca e celebra l’importante contributo di Umberto Graziani alla causa partigiana, nel tentativo di restituire e difendere il diritto di ogni persona a preservare la propria dignità, contro ogni forma di sopruso fascista.

In questo senso, il romanzo Il partigiano di Vestea dialoga con uno scritto memorabile dell’Umanesimo: l’Orazione sulla dignità dell’uomo redatto nel 1486 da Giovanni Pico della Mirandola. Secondo Pico, a definire, in modo profondo, il valore massimo di dignità delle persone è proprio la loro possibilità di operare scelte. Se agli internati era stato sottratto proprio il loro costitutivo diritto alla scelta, ben diversa sarà la posizione – per tale motivo eroica – di Umberto Graziani, laddove lui sceglierà, con totale consapevolezza, responsabilità e determinazione di diventare partigiano. Una scelta eroica per la quale gliene siamo profondamente grati.

In occasione della presentazione del libro “Il partigiano di Vestea” di Roberto Delle Cese, dopo i saluti istituzionali della Vicepresidente della Camera dei Deputati On. Anna Ascani, sono intervenuti l’On. Andrea Casu, Deputato al Parlamento, Marina Pierlorenzi, Presidente dell’ANPI di Roma, Daniela Graziani, figlia del partigiano Umberto Graziani, e il professor Ricardo De Mambro Santos (Willamette University, Oregon).

Redazione

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