Antonio Sbardella, medico, nutrizionista, è stato allievo di Domenica Arcari Morini, fondatrice della Bioterapia Nutrizionale®. Si è sempre occupato di alimentazione in campo clinico e sportivo. E co-direttore didattico dei corsi di Bioterapia Nutrizionale® e nutrizionista della Nazionale Italiana di Taekwondo. Il suo ultimo libro è “Bioterapia nutrizionale applicata allo sport. L’alimento non si limita a nutrire l’atleta, lo allena”. Lo abbiamo intervistato.
Dare agli atleti e ai tecnici uno strumento funzionale, operativo, con cui aiutare gli atleti stessi a “performare” al meglio possibile secondo il proprio fisico e mangiando anche meglio rispetto allo standard comune di uno sportivo.
E’ essenziale che il monitoraggio dell’atleta sia costante, il nutrizionista deve essere una figura presente e la comunicazione, spesso, è quotidiana. L’atleta in fondo è un po’ come una macchina da corsa, non è pensabile di controllarla come una normale auto stradale, la “manutenzione” deve essere quasi continua.
Qualunque macchina, compreso il corpo umano, funziona meglio se è pulita dentro, cioè se elimina velocemente le scorie, vale a dire le tossine, che lo sport inevitabilmente produce di più rispetto alla vita sedentaria. Quindi prima di pensare a quanto e come aumentare l’alimentazione di un atleta, pensiamo a cosa fare per drenarlo dalle scorie. In altre parole prima di pensare a cosa mettere nell’organismo di un atleta pensiamo a cosa dobbiamo togliere: le tossine appunto. E’ quella che io chiamo “pulizia biochimica”.
Si e si fa mirando a ottimizzare l’attività del fegato, che è l’organo che deve elaborare le sostanze da eliminare dall’organismo, e quella dei reni che poi le devono effettivamente eliminare. Infatti circa il 90% delle tossine che il nostro organismo produce, anche come semplice risultato del metabolismo, cioè della vita, viene eliminato dai reni. Queste funzioni possono essere aiutate molto dagli alimenti giusti.
Si, naturalmente, ma migliora anche i tempi di recupero dell’atleta che è un fatto molto utile negli sport in cui si gareggia spesso. Oggi nel calcio di alto livello, per esempio, questo è un fattore cruciale visto che i grandi team si trovano a giocare partite ogni tre giorni e hanno problemi a tenere certi ritmi . Ed è un fattore altrettanto critico negli sport dove ci sono più incontri nella stessa giornata, come in alcuni sport da combattimento o di arti marziali. Non dimentichiamo che un recupero migliore è anche una forma di prevenzione degli infortuni, soprattutto di quelli da stress funzionale.
Si, anche se è comunque sempre un bene per un atleta avere a disposizione conoscenze e strumenti che gli consentano un recupero più rapido, anche nei periodi di preparazione. Riguardo le manifestazioni di cui parla lei/tu mi vengono in mente i grandi tornei di tennis piuttosto che le gare in cui, nella stessa giornata, si corrono batterie, semifinali e finali come il nuoto o l’atletica leggera. Anche manifestazioni come le Olimpiadi, i campionati mondiali ed europei (o comunque continentali) in cui si hanno numerosi prestazioni nel giro di qualche settimana, mettono sotto pressione gli atleti più della stagione agonistica normale.
Si e no in realtà. Voglio dire che ci sono delle regole base che aiutano il fisico a mantenersi più pulito e quindi più efficiente ma dipende soprattutto dallo sport che l’atleta pratica e dalle sue caratteristiche individuali. Queste sono le due componenti che contano di più.
Esatto, e non può che essere così. Mangiare per esempio riso e pollo o riso e tonno oppure carne arrostita e verdure bollite va bene ma conviene usarli soprattutto laddove sono più utili mentre dobbiamo usare alimenti differenti, o altre modalità di cottura, laddove lo sport lo richieda.
Prendiamo ad esempio un atleta di velocità (un centometrista) e un maratoneta. Non possono e non devono mangiare allo stesso modo e non è una questione di quantità, non soltanto.
Un velocista corre più forte che può per undici-dodici secondi (i top runners anche sotto i 10), un maratoneta invece corre per 4 ore mezzo circa e, di certo, non al massimo. E’ chiaro che si tratta di due lavori muscolari assai diversi, che utilizzano anche fonti di energia diverse. Il primo ha bisogno di energia esplosiva ad alta efficienza, grande quantità in breve tempo, mentre il secondo ha bisogno di energia resistente, quantità meno grandi ma per molto, molto tempo.
Alla fine non è tanto importante chi spende di più (di sicuro il maratoneta) ma come spende.
Negli sport ad alta intensità e breve durata, come il caso del velocista, servono soprattutto gli zuccheri e un’altra molecola che si chiama fosfocreatina. Il maratoneta invece, anche se nelle prime fasi utilizza anche lui gli zuccheri, dopo un certo tempo dalla partenza comincia a utilizzare in massima parte i grassi che sono la fonte dell’energia a lunga durata, fonte cui il velocista, per la brevità della sua azione, non fa invece in tempo ad attingere.
Questa è una differenza che deve essere tenuta in gran conto quando si progetta una dieta.
Si, come in ogni atto medico, e una dieta lo è, bisogna conoscere il paziente e raccogliere un anamnesi. Quindi nel nostro caso bisogna indagare le caratteristiche metaboliche e gli eventuali disturbi, visitare il paziente, se del caso, vedere o richiedere analisi ed esami strumentali appropriati tenendo comunque conto che si tratta di persone giovani e allenate. In base ai risultati di questa visita si procede con la dieta.
Si ed è un percorso personalizzato anche dalle esigenze di allenamento. Il nutrizionista deve seguire le scelte dei preparatori atletici e dei tecnici, interagendo con loro. La dieta non può prescindere dal lavoro degli allenatori.
Negli sport di squadra contano anche i ruoli. Per esempio un calciatore che gioca sulla fascia e che, tra la fase difensiva e quella d’attacco, a fine partita ha percorso, da dati della Lega calcio di serie A, almeno una decina di chilometri, non può mangiare come il portiere. Il portiere non corre ma deve essere elastico e soprattutto esplosivo quindi rientra un po’, pur se con le dovute differenze, nel caso dell’atleta di velocità mentre l’esterno di fascia è più simile al maratoneta.
La maggior parte degli sport, però, è un mix fra queste due caratteristiche “estreme” che cito, diciamo, come unità di misura. Il più delle volte bisogna bilanciare la dieta fra questi due aspetti basilari del lavoro muscolare.
Esatto, nel libro faccio l’esempio delle prime due linee, che sostengono in mischia l’impatto del “pacchetto” avversario, che è un lavoro di potenza pura, e del tre quarti che invece deve essere veloce. Anche per loro la dieta va curata secondo le caratteristiche del ruolo. La chiave è il tipo di lavoro che l’atleta chiede al fisico, è un bilanciamento fra intensità e durata, al netto dello specifico gesto tecnico del singolo sport, naturalmente. Quindi un altro degli obiettivi, per dare stabilità all’energia, è la stabilità della glicemia durante la performance.
Questa stabilità si raggiunge in vari modi utilizzando carboidrati diversi, utilizzando le proteine, che oltre che per la loro essenziale funzione strutturale, sono importanti anche in termini di gestione dell’energia e gli stessi grassi. Non basta basarsi sull’indice glicemico degli alimenti, cioè la velocità con cui gli zuccheri entrano nel sangue, perché questo indice può essere pesantemente modificato secondo i condimenti, i diversi tipi di cottura e, soprattutto, secondo come si associano gli alimenti nel pasto.
La dieta è una parte integrante dell’allenamento. Come dice il sottotitolo del libro: l’alimento non si limita a nutrire l’atleta, lo allena.
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