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L’intelligenza artificiale e il futuro del lavoro: chi rischia di più?

Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale (AI) si è affermata come uno degli strumenti più rivoluzionari del panorama economico e tecnologico globale. Il suo impatto sulla produttività e sull’innovazione è evidente, ma altrettanto lo sono le preoccupazioni riguardo ai posti di lavoro a rischio di scomparsa a causa dell’automazione. Secondo il focus Censis-Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà a chi?”, presentato a Roma, ben 6 milioni di lavoratori italiani potrebbero perdere il proprio impiego entro il 2035 a causa della progressiva integrazione dell’AI nei processi produttivi.
Le professioni più a rischio: chi verrà sostituito?
L’analisi evidenzia come i lavoratori più esposti alla sostituzione siano quelli impegnati in mansioni ripetitive, prevedibili e facilmente automatizzabili. Tra le categorie più vulnerabili figurano:
Contabili e ragionieri: le attività di gestione finanziaria, bilancio e rendicontazione sono tra le più facilmente automatizzabili.
Tecnici bancari: molte operazioni di front e back-office sono già in fase di digitalizzazione.
Statistici e matematici: l’elaborazione di dati può essere effettuata con maggiore rapidità e precisione da algoritmi avanzati.
Tesorieri e periti: la valutazione finanziaria e dei rischi viene sempre più affidata a software intelligenti.
Ma non è solo una questione di mansioni: il grado di esposizione alla sostituzione aumenta con l’aumentare del livello di istruzione. Paradossalmente, quindi, laureati e professionisti potrebbero essere più a rischio rispetto a chi svolge lavori manuali o meno qualificati.
Le categorie che saranno affiancate dall’AI
Accanto ai lavoratori che rischiano la sostituzione totale, vi sono almeno 9 milioni di persone che vedranno le loro mansioni modificate o integrate dall’AI. Tra queste professioni troviamo:
Avvocati, notai e magistrati: l’AI può supportare l’analisi giuridica e la redazione di documenti, riducendo i tempi di lavoro.
Dirigenti e manager: l’uso di strumenti di data analysis e decision-making automatizzato cambierà la gestione aziendale.
Psicologi e archeologi: l’AI è già impiegata nella diagnosi psicologica e nella ricostruzione di siti archeologici.
In questi casi, l’AI diventerà un supporto, aumentando l’efficienza dei professionisti senza necessariamente sostituirli del tutto.
Ma in Italia siamo pronti?
Rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia è ancora indietro nell’adozione dell’AI. Nel 2024, solo l’8,2% delle imprese italiane utilizza strumenti di intelligenza artificiale, contro il 19,7% della Germania e il 13,5% della media UE. Questo ritardo è particolarmente evidente nei settori del commercio e della manifattura, dove l’automazione potrebbe avere un impatto significativo sulla produttività.
Inoltre, l’Italia occupa il 25° posto nel “Government AI Readiness Index 2024”, dietro a 13 Paesi europei. Mentre Stati Uniti, Singapore e Corea del Sud guidano la classifica, l’Italia fatica a colmare il gap tecnologico. Secondo Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, la chiave per ridurre il rischio di perdita di posti di lavoro è investire maggiormente in ricerca e sviluppo, settore in cui l’Italia destina solo l’1,33% del PIL, contro il 3,15% della Germania e il 2,18% della Francia.
AI e crescita economica: una doppia faccia della medaglia
Nonostante le preoccupazioni legate all’occupazione, il rapporto Censis-Confcooperative evidenzia anche le potenzialità economiche dell’AI. Si stima che entro il 2035 l’adozione diffusa dell’AI potrebbe far crescere il PIL italiano dell’1,8%, generando un incremento fino a 38 miliardi di euro. Questo suggerisce che l’AI non rappresenta solo una minaccia per il mondo del lavoro, ma anche un’opportunità di sviluppo, a patto che venga gestita con politiche adeguate.
Il dibattito sull’intelligenza artificiale e il lavoro non deve limitarsi alla dicotomia tra perdita e creazione di impieghi. La vera sfida sarà ridisegnare il mercato del lavoro per integrare le nuove tecnologie senza creare disuguaglianze sociali. Come sottolinea Gardini, “la persona va messa al centro del modello di sviluppo, con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa”.
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