Lisa Ginzburg, Pura Invenzione,( Marsilio): ”La scrittura ci salva”
Intervista all’autrice Lisa Ginzburg a cura di Mariagloria Fontana
La scrittura è: ‘’Lanciarsi nella gioia della pura invenzione’’
‘’Pura Invenzione. Dodici variazioni su Frankenstein di Mary Shelley’’, Marsilio Editori, è l’ultimo libro di Lisa Ginzburg, scrittrice e saggista, nipote della grande Natalia Ginzburg. Per l’autrice, che vive e lavora a Parigi, la scrittura è: ‘’ Lanciarsi nella gioia della pura invenzione’’. In questo ultimo libro, la vita, i ricordi e le ossessioni della scrittrice si dipanano attraverso l’analisi di Mary Shelley e del suo ‘’Frankenstein’’, e si raccordano a essi creando un dedalo seducente a metà strada tra il memoir e il saggio. Ne scaturisce un libro prezioso, ricco anche di riflessioni su chi sia lo scrittore e su cosa significhi scrivere, inventare, in un’epoca così pervasa dal narcisismo e da velleità artistiche a buon mercato in cui i 15 minuti di celebrità di Andy Warhol sono un tempo persistente e irredimibile. Di questo, di letteratura, di Natalia Ginzburg, di Michel Houellebecq e di molto altro abbiamo conversato con Lisa Ginzburg.
Come mai ha scritto un saggio in cui unisce frammenti biografici suoi e di Mary Shelley e perché ha scelto proprio ‘’Frankenstein’’?
Ero in un momento particolare della mia esistenza. Avevo da poco pubblicato un pamphlet, ‘’Buongiorno mezzanotte, torno a casa’’, ( Italo Svevo editore, 2018), sul mio vivere all’estero e sulle confusioni, la creatività e le riflessioni di vari scrittori. Era strumentalmente un passaggio utile, molto fruttuoso, per il mio lavoro, perché dopo ‘’Pura Invenzione’’ ho iniziato a lavorare a un romanzo. Un momento in cui alla pura teoria si avvicinavano degli elementi autobiografici. Mi aiutava per poi arrivare ad affrontare un lavoro di immaginazione. Dal punto di vista della scelta, la mia immedesimazione con Mary Shelley è avvenuta naturalmente. È qualcosa che inconsapevolmente avevo individuato da tanto tempo, mi è venuto spontaneo scegliere questo capolavoro. Dico, non a caso, spontaneo, intendendo quanto fosse decisiva la figura di Mary Shelley per me, per mettere a fuoco tante componenti autobiografiche mie con il rapporto con l’invenzione. Dunque, nel racconto ci sono delle coincidenze, seppure iperboliche, benché a distanza di secoli e con degli spessori imparagonabili.
Che tipo di coincidenze?
Questo essere figlia di intellettuali, una madre storica delle donne, e poi proprio questo lanciarsi nell’invenzione come un momento liberatorio. È la cosa che più mi colpiva anche in termini di autolegittimazione.
Lei scrive: ‘’Costruire un romanzo può segnare la via d’uscita da un senso di mancanza. Creare salva[…], la pura invenzione libera’’. La scrittura è salvifica e può emanciparci e affrancarci da una storia familiare, sembra dire. Quanto è pesata la sua di famiglia con un cognome così ingombrante sulle sue scelte?
Ci si può gettare nella pura fantasia, che poi pura fantasia non è mai, nella gioia dell’invenzione, soltanto quando si è metabolizzato tutto il proprio vissuto. In un caso come il mio, ma ce ne sono tanti altri, quando ci sono dei lacci, dei vincoli, di nascita è più difficile. Quando si vive in un contesto letterario, dove tutti in qualche modo sono già impegnati su quel fronte, in forme diverse, non necessariamente creative però intellettuali, riuscire ad avere la libertà di scrivere è un processo complicato. Bisogna affrancarsi. Per altri che non provengano da un contesto tale, è più facile trovare questa libertà e gioia della scrittura. Di recente, ho letto un libro di uno scienziato che lavora con la genetica molecolare, si sente che c’è una felicità nella nuova impresa, si avverte che c’è una ‘’verginità’’. Il mio è il caso opposto. Arrivare a una libertà, a una leggerezza e a una spontaneità dell’immaginazione è un lavoro e una conquista anziché un punto di partenza.
Che rapporto ha avuto con sua nonna Natalia Ginzburg?
Ho un legame molto forte interiormente con Natalia, benché in Pura Invenzione racconti quanto mi sia servita, come ispirazione per una legittimazione nel lavoro, la memoria di mia madre e la sua solidarietà. Però anche mia nonna mi è stata vicino, perché ho avuto la fortuna di frequentarla tanto, avevo 25 anni quando è morta. Avevamo un rapporto e un’affinità bellissimi e me la porto ancora dentro, a distanza di tantissimo tempo. È molto preziosa per me.
Uno dei capitoli è intitolato ‘’Rinascere’’. La scrittura è rinascita?
Credo che nella scrittura avvenga sempre una rinascita, laddove si riesca davvero a scrivere qualcosa di buono. Lo scrittore è qualcuno che scrivendo rinasce, perché deve arrivare a un nuovo battesimo di se stesso. In questo senso, Frankenstein mi sembra un esempio straordinario, perché questa giovanissima donna inventa una storia incredibile e crea una nuova se stessa. Mary Shelley rinasce in termini esistenziali, nonostante non lo firmi e scelga l’anonimato. Anche per me, sebbene non sia un romanzo, Pura Invenzione ha significato una rinascita. Proprio perché ripercorrendo la propria storia e tutte le strade che l’invenzione può prendere, si ridisegna una mappa di sé. Questa è la nascita.
Aspettative deluse, mancate, da parte dei figli nei confronti dei genitori. Accade a Mary Shelley, al Mostro, e, in qualche modo, anche a lei. Le aspettative dei genitori sono inevitabilmente disattese dai figli?
Credo che tutta la storia di un’identità, a prescindere dalla letteratura, sia una storia di rottura. Ci deve essere un momento di delusione in cui non si è quel che il mondo si aspettava, ma non si è nemmeno quel che noi stessi aspettavamo da noi stessi. Siamo tutti figli di aspettative mancate. La scrittura, almeno ai miei occhi, è il miglior modo per scoprire questo nuovo ‘’sé’’, è un terreno di prova straordinario, perché a volte proprio attraverso ciò che si inventa si trova quello che è assolutamente inaspettato. Una sorpresa, uno scoprirsi diversi, uno sconcerto. Possiamo immaginare lo sgomento di Mary Shelley quando ha dato forma a questo romanzo e che poi è analogo a quello di Viktor Frankenstein davanti al suo Mostro. In questo senso la vicenda di Frankeinstein è paradigmatica.
Ha scritto: ‘’Si inventa per reazione. Così, grazie all’inventare, non più sentendosi nessuno, anzi cessando di percepirsi feriti, frustrati’’. Ha pensato che magari il lettore leggendo il suo saggio possa fraintendere il suo messaggio e credere di emanciparsi da una vita inappagata iniziando a scrivere? Che veda la scrittura come approdo quasi terapeutico, come sovente accade a molti in Italia in cui si pubblicano troppi libri e si legge sempre meno?
Naturalmente spero che ciò non accada, non ci avevo proprio pensato. Io dico sempre agli studenti che frequentano i miei laboratori di scrittura che per scrivere e per immaginare ci deve essere una metabolizzazione della propria storia. Bisogna aver fatto pace con la propria storia, averla realmente digerita, assunta e presa su di sé, proprio perché la si è compresa, e si è liberi, la si è incorporata, la si può lasciare dietro. Questo vale per chiunque voglia creare. Certo, se questo vuol dire che chiunque si sente in grado e liberato di inventare tutto e ciò moltiplica la produzione editoriale, che sono d’accordo mi sembra eccessiva, mi dispiace, non vorrei contribuire a questo. Purtroppo, tutti sentono il bisogno di raccontarsi e raccontare, è una reazione al disagio che attraversa il nostro tempo. Detto questo, la letteratura è altra cosa.
Cos’è?
La letteratura è il grado di trasfigurazione. Quello è il salto di qualità. Frankenstein è un esempio sublime di trasfigurazione che nulla ha a che fare con le vicende di Mary Shelley.
Ritiene che ci sia una tendenza a dire troppo ‘’io’’ nella letteratura contemporanea?
C’è un eccesso di autobiografia e una grande crisi dell’immaginazione. In Italia sono pochissimi i romanzi in cui rintraccio un lavoro di trasfigurazione maturo, profondo e compatto. Questo riguarda il narcisismo di questo tempo. I social network in questo senso hanno nuociuto moltissimo. Sono atterrita da facebook in cui c’è un continuo auto esporsi, raccontare di se stessi, c’è una porosità delle vite, dobbiamo ogni giorno sapere cosa succede a tutti. È una guerra tra ego e trovo che abbia avvelenato moltissimo la letteratura. Spero che passerà. Per fortuna ci sono luminose eccezioni. Tra queste, mi viene in mente il memoir di Roberto Alaimo, L’estate del 1978, pubblicato da Sellerio, un libro bellissimo in cui c’è una vicenda personale ma rielaborata e modellata con una qualità letteraria che la rende tutt’altro che personale e invece universale. Da sempre gli scrittori parlano di se stessi, il problema è quanto lavoro c’è stato, di nuovo ripeto. L’autobiografia pura è faticosa, invadente e grezza. Dove invece c’è un lavoro, tutto assume un’altra portata.
C’è un clima culturale più vivace a Parigi, città in cui vive: librerie molto frequentate, presentazioni affollate, rispetto a quello che avviene a Roma, città in cui lei torna spesso?
A Parigi mi colpisce il fatto che tante persone leggano romanzi. Ad esempio, prendendo i trasporti pubblici puoi notare una persona che legge l’ultimo scrittore pubblicato ma puoi vedere anche quelli che leggono Maupassant, Flaubert, i ‘’classici’’. È come se a Roma vedessimo sulla metropolitana un tipo che legge Dante, un altro che legge Ariosto. Le librerie a Parigi sono frequentate ma non mi spingerei a dire che c’è una vita culturale più vivace o che la fruizione dei lettori sia così più evoluta rispetto a Roma o all’Italia. Numericamente credo che ci siano più lettori, ma le attività culturali italiane sono veramente straordinarie. Ci sono tanti contesti, tante occasioni di confronto con i lettori. Se c’è una cosa in cui l’Italia fa ancora bene e sta bene è questa. C’è una politica di diffusione e strategia di promozione del libro più bella.
Nel ‘’Mostro’’ c’è anche quello che non è potuto accadere, come l’eco del dolore dei ‘’non nati’’ del poeta Georg Trakl. Lei definisce il Mostro creato da Viktor Frankenstein un ‘’non nato’’. Che cosa vuol dire?
Il Mostro dice: ‘’Io sono un aborto’’. Il tema dell’aborto nella vita di Mary Shelley è ricorrente, ha perso dei figli che aspettava e anche alcuni appena nati. La difficoltà a incarnarsi percorre tutto il romanzo. Se vogliamo spingerci su un discorso più metaforico, questo non nascere è il non riuscire a trasfigurare. Quindi il non nato è qualcuno che resta impigliato in una storia, per cui si crea un ostacolo che mai riuscirà a superare.
Come concilia questo suo essere lucida, chirurgica, e la pura creatività, la capacità di immaginare, tipica di chi scrive romanzi?
Non c’è una conciliazione, di fatto il cammino porta a una liberazione da certi schemi mentali. Per poter immaginare davvero, quella lucidità devi averla alle spalle. Camminando per le strade di Palermo, qualche sera fa, ho letto su un muro la frase : ‘’L’essenziale è invisibile agli occhi’’ di Antoine de Saint’ Exupéry. Ed è proprio così. Si tratta di avere una lucidità emotiva, bisogna lasciare andare come delle zavorre tutto ciò che è l’intellettualizzazione delle cose. La storia di Mary Shelley è questa. Tutto ciò avviene con fatica e disciplina, si fa tesoro dei propri studi, la precisione, la nitidezza quasi chirurgica delle cose, però poi quel che senti davvero, devi sentirlo con il cuore. Se vuoi scrivere un romanzo devi aver introiettato l’intelletto e dimenticartene.
Che cosa ne pensa del ‘’fenomeno Michel Houellebecq’’ e del fatto che uno scrittore contemporaneo venga percepito in Francia e in tutta Europa come una rockstar?
C’è un cinismo, non so quanto reale o simulato, un disincanto sociale che raggiunge livelli di nichilismo e che attira perché sembra una soluzione a tutto. È come se a dei malati un tizio proponesse un farmaco che è il distacco totale. Io credo che sia un fenomeno pop ma invece può sembrare molto sottile, molto raffinato e piace perché possiede una indubbia lucidità. È uno scrittore che non amo, ma, tutte le volte che l’ho letto, ho colto una grande, spietata lucidità sul mondo e anche una capacità presaga, come nell’ultimo romanzo, Sottomissione. Però il grado di cinismo è esagerato ed è la spia di un malessere il fatto che abbia così tanto successo.