Torna di attualità il nostro Servizio Sanitario Nazionale in un momento delicato come quello che stiamo vivendo negli ultimi anni e con esso anche le problematiche legate alle liste di attesa per le prestazioni erogate dal sistema e tra queste la tanto discussa “intramoenia”, cioè la libera professione intramuraria svolta dai medici, al di fuori del normale orario di lavoro. Medici che utilizzano le strutture e le apparecchiature diagnostiche pubbliche a fronte del pagamento di una tariffa da parte dell’utente.
I medici ovviamente debbono rilasciare regolare fattura. Le prestazioni sono generalmente le stesse che i medici erogano sulla base del loro contratto di lavoro con il SSN attraverso la normale attività. Ma l’intramoenia garantisce al cittadino la possibilità di scegliere il medico.
Fin qua è tutto chiaro ma sulla base delle lunghe liste di attesa per le prestazioni in regime istituzionale è evidente che quelle in intramoenia stanno sempre più aumentando, andando a sfondare il tetto massimo previsto dal Piano Nazionale del Governo per le liste d’attesa (PNGLA).
Questo finisce per generare un corto circuito che va a discapito dello stesso servizio pubblico. A guadagnare di più sono i medici che in molti casi “suggeriscono” ai pazienti di accedere al servizio in intramoenia, spesso certificando una urgenza che induce il paziente ad accettare. Attualmente il Lazio risulta essere una delle regioni più interessate dal fenomeno che, è il caso di sottolinearlo, riguarda branche importantissime come cardiologia, ginecologia, ortopedia e oculistica, risultanti ai primi posti della speciale classifica.
Sono più di quattro milioni le prestazioni erogate a pagamento in regime di ALPI (Attività libera professionale intramoenia), mentre parallelamente aumentano i tempi di attesa per le visite istituzionali generando inevitabilmente le disdette da parte dell’utenza che si trova costretta a scegliere le visite a pagamento.
Altro fenomeno allarmante è la desertificazione delle strutture pubbliche, che pur aperte e quindi con costi gestionali rilevanti non erogano servizi per il mancato rimpiazzo dei medici, che si allontanano dal servizio sanitario pubblico per passare al privato oppure a causa dei limiti di età. Negli ultimi anni questa problematica è in progressivo aumento e purtroppo nessuno interviene. L’intramoenia garantisce le visite con una media di 10 giorni di attesa e quindi è la preferita ma solo dagli utenti che possono permettersi di pagare.
Intanto i medici, secondo le statistiche, oltre allo stipendio da dipendenti pubblici ultimamente hanno dichiarato redditi altissimi grazie all’attività in intramoenia. Una pratica che nel tempo ha anche portato alla luce abusi, scandali e conflitti di interesse.
Il servizio pubblico dovrebbe invece rimanere centrale perché è un diritto sancito dalla nostra Costituzione e l’intramoenia e altre forme alternative dovrebbero invece svolgere una funzione complementare, ma non sostitutiva.
Per evitare abusi occorrerebbe puntare sulla trasparenza e sul monitoraggio continuo dell’intramoenia e in primo luogo condividendo e accentrando le agende nel CUP (centro unico prenotazioni). Purtroppo, attualmente, il Nuovo Piano Nazionale delle Liste di Attesa continua a muoversi solo in parte nelle direzioni auspicate e l’utenza ormai è inevitabilmente divisa tra chi può permettersi di pagare e chi no. L’esatto contrario di come dovrebbe essere.
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