Cronaca

Lo hanno trovato morto il piccolo Julen, in un pozzo, come Alfredino

Da Malaga, in Spagna, la notizia che mette fine, dopo 13 giorni, alle flebili speranze di trovare ancora vivo il piccolo Julen,  di appena 2 anni e mezzo, che i soccorritori, da domenica 13 gennaio, dopo che era caduto in un pozzo di 110 metri largo 25 centimetri, hanno cercato in tutti i modi di salvare. In questi anni, dal famoso caso di Alfredino Rampi, che a Vermicino, vicino Frascati, il 13 giugno 1981 fu protagonista sfortunato di un simile caso, quanti bambini sono caduti in un pozzo con esiti alterni?

Una bambina di 5 anni, il 24 giugno 2012, cade in un pozzo di 25 metri a Manesar, vicino a New Dehli, in India. Dopo 86 ore la estraggono viva ma la corsa all’ospedale si rivela inutile, la bambina muore per le conseguenze della lunga permanenza in fondo al pozzo. Il 3 luglio dello stesso anno, a Carpanzano (Cosenza), Matteo Bonacci ,di 13 anni, cade in un pozzo rincorrendo una palla. Fortunatamente il ragazzo ce la fa e dopo un’ora e mezzo viene estratto con qualche graffio dalla sua prigione. La madre Adelaide Vigliaturo, lancia un appello agli amministratori, rimasto inascoltato come sempre, perché chiudano i pozzi ancora aperti e senza protezione che spesso si trovano in campagna. Il 13 novembre del 2017 un bambino rumeno di 5 anni muore cadendo nuovamente in un pozzo a Corinaldo (Ancona).

Il 12 luglio dello scorso anno cade in un pozzo una bambina di 6 anni a Taviano, vicino Gallipoli (nel Salento). Fortunatamente giocava con un’amica e la tempestività dei soccorsi, e l’intervento dei Vigili del Fuoco, le salva la vita. Il pozzo questa volta si trova in un cortile e viene utilizzato per la raccolta dell’acqua. Era coperto alla meglio ma si sa, i bambini sono curiosi. La bambina è volata giù per otto metri, in un metro d’acqua, che ha attutito il colpo.

Si cade anche in un tombino lasciato aperto

Ma succede che si cada anche in un tombino di città. A Erba (Como) il 10 aprile dell’anno scorso, un uomo di 71 anni cade a testa in giù in un tombino, di quelli per le fognature, collocato in un tunnel dove si trovano i garage del condominio. La moglie s’è accorta dell’assenza del marito solo alcune ore dopo la tragedia. Troppo tardi per salvarlo. A Cilavegna (Novara) l’11 dicembre, è un operaio di 53 anni a morire per le conseguenze di una caduta in un tombino, mentre tentava di leggere il contatore dell’acqua, evidentemente posizionato in maniera molto poco sicura. Il 30 ottobre è successo a una contadina nuorese di 70 anni di cadere in un pozzo in campagna, località Sà Pauledda a Loculli. La improvvisa sparizione dell’anziana aveva messo in sospetto il nipote, che ha chiamato soccorso, purtroppo non c’è stato nulla da fare. La cronaca è purtroppo un bollettino di guerra:

Il 23 novembre a Oschiri (Sassari) muore un uomo di 84 anni. A Cocconato (Asti) un pensionato di 88 anni muore in un pozzo. A Lorenzana (Cascina – Pisa) il 7 gennaio di quest’anno muore un anziano di 91 anni: Antonio De Pietro.

Vermicino fu la prima tragedia mediatica

Evidentemente anziani e bambini sono le vittime designate di queste cadute e si capisce anche perché. Quello che non si capisce è perché non si rispettano le norme di sicurezza e non vengono mai puniti i responsabili di simili tragedie. Quella di Alfredino Rampi, nel 1981, tenne inchiodati davanti alla tv 21 milioni di Italiani, nella speranza di veder uscire da quel buco nero il povero bambino. “Volevamo vedere un fatto di vita e abbiamo visto un fatto di morte” disse Giancarlo Santalmassi, che curava uno degli spazi della diretta televisiva. Diciotto ore di televisione senza soluzione di continuità. La Rai allora non disponeva delle tecnologie adatte per dirette esterne così lunghe. In genere si usava la differita, anche per timori politici e per intervenire in tempo a tagliare quello che poteva disturbare l’”editore di riferimento”, come lo chiamava Bruno Vespa. Una tragedia come quella di Alfredino avrebbe consigliato un maggior rispetto per le vittime e per gli stessi spettatori ma i giornalisti vennero presi in contropiede. Si pensò a un salvataggio rapido e spettacolare, in base alle dichiarazioni incaute del capo dei Vigili del Fuoco Elveno Pastorelli. Furono Emilio Fede (direttore del Tg1) e Antonio Maccanico (segretario generale della Presidenza della Repubblica) a esercitare pressioni per non interrompere le trasmissioni, sapendo che anche Sandro Pertini, il Presidente partigiano, stava per recarsi sul luogo.

In Andalusia un intero villaggio mobilitato per salvare Julen

La vicenda di Malaga dove pure, purtroppo, sono stati vani i tentativi di salvare il piccolo Julen Rossello, sembra avere molte cose in comune con la tragedia di Vermicino.  Le complicazioni che via via hanno contrassegnato le operazioni di salvataggio, ricordano quanto sia difficile raggiungere un essere vivente bloccato in fondo a un pozzo. L’instabilità del terreno, la difficoltà di aprirsi un varco laterale per le scosse che potrebbero far precipitare il piccolo ancora più giù, il terrore che cresce e la perdita di sensi che può intervenire in chiunque, in particolare in un bambino piccolo, solo, impaurito, forse ferito, dolorante, sofferente e spaventato.

Sono stati mobilitati i minatori asturiani e anche l’impresa svedese (Stockholm Precision Tools AB) che localizzò e salvò i 33 minatori cileni nel 2010, per scavare un tunnel parallelo e uno trasversale. Trecento persone hanno lavorato giorno e notte in turni da 100 ogni 8 ore, dandosi il cambio. Un esercito di ruspe ha sbancato la collina abbassandone la sommità di 25 metri per posizionare una piattaforma stabile che ospitasse le trivelle pesanti tonnellate. Una “talpa”, che lavorava alla metropolitana, è stata mandata da Madrid, in tempi record, fino al villaggio di Totalàn, teatro della impresa di salvataggio. Tutto il villaggio è stato mobilitato per ospitare i soccorritori. Per gli scavi effettuati ora sono in pericolo di crolli anche le case degli abitanti di Totalàn. Tutti si sono sentiti in dovere di dare più del massimo per salvare Julen, “che era come il figlio di tutti”. Come nel caso di Alfredino tutta la Spagna è stat col fiato sospeso. L’emozione si respirava nell’aria, era palpabile. Il pensiero che un bambino di due anni e mezzo abbia sofferto in quel buco sotto terra non ha fatto dormire, ha gettato tutti nell’angoscia più profonda. Fino alla notizia ferale della sua morte.

La paura del pozzo è in tutti noi

Perché il pozzo fa tanta paura? Perché il terrore di caderci dentro è sempre presente in noi e quando accade una paura acuta ci impedisce di essere razionali, ci blocca, ci atterrisce, presagendo il peggio e facendoci immedesimare in quel bambino in pericolo? Il pozzo, ogni pozzo, se ci pensiamo bene ci fa paura. Ci affacciamo ai bordi e guardiamo giù, spesso senza vederne la fine, per cui ci tiriamo una pietra per assicurarci che ci sia una fine… potrebbe non esserci, come fosse la porta di un antro infernale. Da bambini l’immaginazione corre. Un pozzo fa pensare a cose orribili sul suo fondo. Potrebbero esserci dei cadaveri. Qualcuno che c’è caduto o qualcuno che ci sia stato gettato.

Anche nella tragedia di Avetrana, Sarah Scazzi venne uccisa e gettata nel pozzo, ricordate? Lo confessò mentendo lo zio, poi risultato solo complice dell’omicidio.

Nei pozzi che si trovano in campagna, abbandonati, sale dal fondo un odore di umidità misto a marcio… quasi una putrefazione, che lascia pensare a esseri viventi morti, forse animali che ci sono caduti. La tecnica di caccia, scavando un’enorme buca, poi coperta e nascosta, è stata utilizzata in molte culture, da quelle primitive ai giorni nostri. Era anche una tecnica usata dai vietcong contro gli americani. Dei pali di bambù acuminati venivano posti in verticale sul fondo del pozzo e chi vi cadeva ne restava inesorabilmente infilzato a morte.

La storia è piena di questi riferimenti. Le foibe altro non erano che grotte carsiche profonde metri e metri e dalle quali era impossibile risalire. A centinaia vennero spinti lì dentro coloro che la malvagità della guerra vedeva come nemici. La stessa cosa è accaduto in tante altre guerre, anche recentemente. I pozzi, le grotte, le buche, possono nascondere cadaveri.

Cos’è un pozzo se non un buco nero?

Sono paure ancestrali che albergano in tutti noi. La paura del buio, dell’antro oscuro, della solitudine e del pericolo. Ogni volta che si apre una voragine, come se ne sono aperte anche a Roma negli ultimi anni, oltre alla esecrazione per l’incidente che evidenzia lo stato di incuria, in cui versa il sottosuolo della città, il fatto lascia in noi, nel nostro animo, una sensazione di ribrezzo, di orrore, al pensiero che potevamo esserci caduti dentro.

La paura del buio e di restare soli è quella che ogni bambino prova quando deve andare a dormire in camera sua, nel suo lettino. Per questo spesso si lascia una lampadina accesa, lo si fa addormentare raccontando una fiaba, lasciandolo poi col bacio della buona notte e l’assicurazione: “Sono qui vicino!” Ma nella grotta e nel pozzo il bambino è solo per davvero e non abbiamo la certezza di come poterlo salvare e forse anche lui se ne rende conto.

In Poltergeistdi Steven Spielberg, regia Tobe Hooper, la biondissima bambina Carol Anne subisce il richiamo dall’aldilà dell’entità malefica. Tanto più la bambina è bionda, piccola, carina quanto più contrasta con la malvagità di chi vuole sottrarla ai genitori. Un vortice di fumo l’attira e la risucchia, portandola in una dimensione sconosciuta, come un “buco nero”. Cos’è un pozzo se non un buco nero? E qual è il tramite di contatto tra la realtà della bambina e l’al di là? Quel geniaccio di Spielberg sa usare l’ironia come nessuno: il televisore! E lì che si annida il maleficio… Giustamente un “cinematografaro” non poteva che esprimere così il suo profondo odio per la tv vista come il pozzo nero.

Nel film la mamma sente la voce ma non può sapere dov’è la figlia e che pericolo corra. Proprio come i bambini nel pozzo. Si sente il bambino piangere, chiamare aiuto. Ma questo lacera ancora di più il nostro animo e ci fa sentire più deboli, incapaci di aiutarlo. Forse i pozzi nelle campagne un giorno saranno coperti per via dei provvedimenti di amministratori efficienti. Forse riusciremo a far in modo che i nostri anziani non debbano cadere nei tombini lasciati aperti incautamente, ma non ci libereremo mai della paura del buio e del buco nero, porta degli Inferi e di demoniache presenze. Con queste paure dovremo sempre convivere e ci sarà sempre un Alfredino piangente che ci chiederà aiuto. Un essere indifeso, solo, che chiede aiuto e per il quale sarà sempre più duro voltarsi dall’altra parte. Di queste voci ultimamente se ne sentono parecchie, magari non dal fondo di un pozzo, ma dal mare si… ma sembra che gli Italiani, gli Spagnoli e gli Europei tutti non ci sentano…

Carlo Raspollini

Autore e regista televisivo, responsabile marketing, consulente gastronomo e dello spettacolo, viaggiatore.

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