Tutto è nato con la legge-delega del Parlamento del 5.5.2009 n.42 (rubricata come “Norme in materia di federalismo fiscale) sulla base della quale il Governo ha varato il d.lgs 23/2011.
L’art.3, comma 8 e 9 di questo decreto prevede che in caso di mancata registrazione del contratto di locazione nel termine di legge (30 gg dalla stipula), oppure di mancata registrazione totale o di registrazione parziale, l’inquilino può recarsi presso l’Agenzia delle Entrate e fare una dichiarazione orale (presa a verbale) di trovarsi in una delle situazioni sopra descritte.
La normativa riguarda anche i contratti di locazione in corso all’entrata in vigore della legge (aprile 2011).
In tal caso l’ADE , d’imperio e senza fare alcun accertamento sulla veridicità o meno di quanto oralmente dichiarato dall’inquilino, dichiara l’esistenza di un nuovo contatto di locazione (decorrente dalla data della denuncia) della durata di 8 anni ad un canone locativo annuale pari a tre volte la rendita catastale dell’immobile.
A scopo esemplificativo, su un contratto non registrato o registrato parzialmente, oppure registrato il 31 giorno dalla stipula, con un canone liberamente concordato tra le parti di € 900,00, l'inquilino ottiene, rivolgendosi all’ADE, un nuovo contratto di 8 anni, decorrenti dalla data della denuncia, al canone mensile di € 169,00.
Detta situazione ha spinto una miriade di inquilini a denunciare all'Agenzia delle Entrate i proprietari i quali si sono visti in pratica togliere la disponibilità del proprio immobile per 8 anni con una rendita irrisoria.
Dal canto loro, gli inquilini godono quasi gratis dell'immobile locato pagando un canone del tutto fuori mercato, imposto per legge.
Di questo decreto per due anni non si è fatto alcun cenno nei media (giornali, televisione), nessuno ne ha mai parlato tranne le organizzazioni sindacali degli inquilini che hanno pubblicizzato il decreto come “conveniente” per i propri associati. La situazione generata da questa norma, invece, col passare dei mesi ha creato una tensione sociale altissima fra le due categorie (proprietari e inquilini) che è naturalmente sfociata nei recenti atti di cronaca nera.
Da un punto di vista giuridico di questo decreto si sono occupati i Tribunali di tutta Italia e da 5 di essi (Salerno, Palermo, Genova, Firenze e Roma) è stata sollevata eccezione di incostituzionalità, sotto vari profili).
I procedimenti sono stati riuniti dalla Corte Costituzionale che ha fissato Camera di Consiglio per il giorno 12 febbraio 2014.
I punti di incostituzionalità sollevati dai Tribunali sono:
1) L’eccesso di delega
La legge delega del Parlamento al Governo, alla base di questo decreto, è stata disattesa e travalicata in maniera evidente. L’intento era quello di contrastare il fenomeno della evasione fiscale, ma non era assolutamente previsto alcun meccanismo premiale ( e in che misura!) a favore unicamente dell’inquilino, che comunque era soggetto anch’esso tenuto ad effettuare la registrazione.
Le nuove disposizioni non solo trascendono i limiti della delega, ma addirittura ne tradiscono le finalita' nella misura in cui, sostituendo al canone pattuito dai contraenti l'irrisorio importo commisurato al triplo della rendita catastale e riducendo in tal modo la base imponibile del tributo …. finiscono col danneggiare gli enti impositori, riducendo il gettito dell'imposta di registro e di quelle sul reddito (derivante dalle locazioni) e delle relative addizionali (Ord. Palermo)
2) Contrasto con lo statuto del contribuente
Le norme sono palesemente in contrasto con l’art.10 dello “Statuto del contribuente” per il quale le violazioni di rilievo tributario non possono essere causa di nullità dei contratti e con l’art 6 che obbliga l’amministrazione finanziaria ad informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dal quale possa derivare l’irrogazione di una sanzione.
In questo caso invece il contratto di locazione in corso, sulla base della violazione fiscale e tributaria, viene dichiarato nullo e di fatto sostituito da un altro creato dall’ADE. E ciò in mancanza del pur minimo contraddittorio tra le parti e senza alcuna preventiva informazione del contribuente da parte dell’Ente impositore.
3) Contrasto con l’art 42 (diritto di proprietà)
Il diritto di proprietà, riconosciuto dal nostro ordinamente e tutelato dalla Costituzione è stato compresso fino a svilirsi e il diritto delle parti di autodeterminarsi, in relazione alla durata della locazione e al corrispettivo di questa, è stato praticamente azzerato.
4) Contrasto con l’art 3 (diritto di uguaglianza)
Il decreto in questione ha un effetto “premiante” per l’inquilino e “punitivo” per i proprietari quando l’obbligo di registrazione riguarda entrambe le categorie. Pertanto, avendo di fronte alla legge, uguali diritti e obblighi, non si vede perché di fronte ad un obbligo disatteso sia dal proprietario che dall’inquilino questo venga premiato a scapito dell’altro.
5) Irragionevolezza della norma:
L’Erario, in base al decreto, viene a percepire minori introiti a seguito del minore importi dei canoni imposti.
Questo fa pensare che la motivazione della norma non sia tanto quella di contrastare l’evasione fiscale e di introitare le somme corrette dovute al fisco, quanto quella diversa di risolvere il problema della crisi abitativa addossandola sulle spalle dei propietari.
In conclusione:
1) Il decreto 23/2011 è un abominio giuridico, ingiusto ed incostituzionale, che trova posto in quella che dovrebbe essere la patria del diritto e che invece non esiste in nessun altro paese civile. Come tale è auspicabile che venga azzerato dalla Corte Costituzionale;
2) La crisi abitativa non è stata creata dai piccoli proprietari di casa, ma dalla inefficiente politica della casa perpetrata dallo Stato rimasto colpevolmente inerte per decine di anni. Far ricadere sulle spalle dei piccoli proprietari di casa la crisi di alloggi che c’è oggi, spossessandoli di fatto della loro proprietà con discutibili alchimie pseudo-giuridiche, è , per I piccolo proprietary, iniquo ed insopportabile;
3) E’ assolutamente necessaria una nuova legge che ristabilisca un minimo di legalità ridando dignità a coloro che con sacrifici di una vita hanno investito sulla casa. Senza un pronto intervento in tal senso, il rischio (ma già è realtà dei nostri giorni) è quello di una grave crisi sociale fra categorie di popolazione medio-bassa.
4) Bisogna sfatare il luogo comune che il proprietario di casa è sempre e comunque un ricco evasore. La crisi economica riguarda sicuramente gli inquilini che versano in condizioni disagiate (non tutti, perchè poi ci sono anche quelli che approfittano della situazione) , ma riguardano anche i piccoli proprietari già vessati da una tassazione oltre ogni limite di sopportazione.
5) Due parole infine su quelli che dovrebbero tutelare e sostenere le ragioni dei piccolo proprietari. Dove sono l’Uppi, la Confedilizia ecc. ecc. per i quali l’unico problema del piccolo proprietario di casa sembra essere l’Imu da pagare? Cosa hanno fatto finora e cosa intendono fare per rappresentare la rabbia dei piccoli proprietari presso le sedi istituzionali competenti?
Avv. Paolo Cotronei
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