Locazioni: all’esame della Consulta gli arretrati dei canoni locativi
La discussione verte sulla incostituzionalità dell’art. 13 comma 5 L. 431/98, novellato dalla Legge di Stabilità 2016
Udienza in Corte Costituzionale ieri mattina con il relatore Morelli a ripercorrere tutte le tappe delle leggi e delle sentenze di incostituzionalità succedutesi in questi anni.
E, quindi, si è partiti dal D.Lgs. 23/2011 con il quale il Governo Berlusconi, in violazione della legge delega del Parlamento, partorì i famigerati “contratti catastali”, basati sulla delazione degli inquilini, a favore dell’Agenzia delle Entrate, premiata con il diritto di avere un contratto nuovo di zecca e di corrispondere un canone locativo minimo, pari a tre volte la rendita catastale.
Un abuso incostituzionale che ha portato ad una prima pronuncia di illegittimità della Consulta (n.50/2014).
Si è passati successivamente alla norma che, sulla spinta delle organizzazioni degli inquilini e del PD e, in palese violazione del giudicato costituzionale, procrastinò gli effetti del D.L. 23/2011 fino al 31.12.2015.
Anche questa norma fu dichiarata incostituzionale dalla Consulta con la sentenza n. 169/2015.
E siamo ai giorni nostri, quando un altro intervento del Governo (questa volta con a capo Renzi), inserito nella Legge di stabilità 2016 ed entrato in vigore il 1.1.2016, ha riscritto l’art. 13 della L. 431/98 prevedendo al comma 5 una sorta di sanatoria per tutti gli inquilini che nel periodo giugno 2011-16.7.2015 avevano corrisposto il canone nella misura del triplo della rendita catastale risprmiando così ingenti somme a danno dei proprietari.
Questa nuova norma, sulla quale giustamente il Tribunale di Roma, con la dr.ssa Imposimato, ha sollevato una nuova questione di legittimità costituzionale, costituisce, a nostro avviso, l’ennesimo colpo di mano dello Stato a favore degli inquilini in quanto sta sottraendo di fatto ai proprietari il diritto di rientrare in possesso di quanto già usurpato loro con i provvedimenti precedenti dichiarati incostituzionali.
In altri termini, riproducendo pedissequamente l’importo del triplo della rendita catastale e richiamando proprio le norme già dichiarate incostituzionali e, quindi, espunte dall’ordinamento giuridico italiano, il legislatore ha violato nuovamente il giudicato costituzionale formatosi con le sentenze 50/2014 e 169/2015.
Il giudice relatore Morelli, nel corso dell’udienza, ha sviluppato dettagliamente il tema di cui sopra; secondo noi, invece, non ha sufficientemente argomentato il secondo motivo di incostituzionalità (non meno grave del primo) sollevato dal Tribunale di Roma e, cioè, quello della violazione dell'art. 3 Cost. (principio di uguaglianza).
La norma oggi all’esame della Consulta ha, di fatto, creato una disparità di trattamento per identiche situazioni, in ciò violando l’art. 3 della Costituzione.
Ed infatti, in caso di mancata registrazione del contratto locativo (stessa situazione giuridica), i proprietari che lo hanno fatto nel periodo 2011-16.7.2015 hanno diritto a percepire il canone pari a tre volte la rendita catastale; quelli, invece, che lo hanno fatto nel periodo successivo al 16.7.2015 hanno diritto a percepire il canone minimo previsto dagli accordi sindacali di categoria (che è di gran lunga superiore al canone catastale)….
Questo sistema viola quindi palesemente il principio di uguaglianza dei cittadini in quanto crea una disparità evidente di trattamento.
Per inciso, è da notare l’assenza, nel Collegio, del Presidente Grossi, sostituito ieri dal dr. Lattanzi. L’assenza non è di scarso rilievo in quanto il giudice Grossi è stato il relatore dei due procedimenti che hanno portato alle due sentenze di incostituzionalità di cui si è parlato più sopra (n. 50/2014 e 169/2015) e che quindi è, forse, tra i giudici della Consulta quello che ha approfondito meglio questa materia.
Non avendo partecipato al Collegio, il giudice Grossi non sarà tra quelli che voteranno la incostituzionalità o meno di questa norma. Sarà certamente un caso, ma di fatto l’uscita di scena del dr. Grossi fa venire meno uno degli elementi più esperti a decidere il caso.
Comunque, sempre secondo il nostro parere, non dichiarare incostituzionale questa norma significherebbe, per la Consulta, contraddire decenni di propria giurisprudenza sul concetto di violazione del giudicato costituzionale, nonchè su quello di uguaglianza tra cittadini.
Ma, dato che siamo in Italia e il passato ci ha riservato più di una sorpresa, non ci azzardiamo nello sbilanciarci in pronostici. L’augurio è che, alla fine, prevalgano, al contrario di quanto è stato finora, diritto e giustizia.