Grande folla di avvocati e operatori del diritto,oggi, a Roma al Teatro dell’Angelo, in via Simone de Saint Bon, in occasione del convegno, organizzato dall’Associazione Agire e Informare, “ La Corte Costituzionale e le locazioni abitative: l’impatto della sentenza della Consulta n.50/2014. Aspetti sostanziali, processuali e tributari”.
Oggetto del convegno la normativa delle locazioni ed il tormentato rapporto tra norme tributarie e civilistiche con particolare riferimento al famigerato D.Lgs 23/2011 e alla recentissima L.80/2014, destinata a far parlare di sè (non molto bene, in verità) nei prossimi mesi.
Ospite di rilievo del convegno, presieduto dall’avv. Mauro Vaglio, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, è stata la dott.ssa Alessandra Imposimato, Giudice della sesta sezione del Tribunale di Roma, la sezione specializzata che tratta le cause di locazione.
Il Magistrato, in maniera molto chiara ed esauriente, ha ricordato il contenuto e la valenza della sentenza n.50/14 della Corte Costituzionale, evidenziando che, a torto, si è voluto circoscrivere l’enunciato della Consulta al solo difetto di delega che avrebbe viziato il D.Lgs 23/2011 art.3 commi 8 e 9.
In realtà –ha precisato Imposimato- la sentenza 50/2014 va oltre e dice anche qualcosa di chiaro e di diverso: la legge delega imponeva , fra l’altro, di osservare i dettami dello “Statuto del contribuente”. Statuto che prevede, all’art. 10, comma 3, ultimo periodo, che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto»: con l’ovvia conseguenza che, tanto più, la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non può legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione – per factum principis – quanto a canone e a durata.
Né appare superfluo soggiungere che gli obblighi di informazione del contribuente, parimenti prescritti dal predetto statuto, risultano nella specie totalmente negletti, operando la denunciata “sostituzione” contrattuale in via automatica, solo a seguito della mancata tempestiva registrazione del contratto.”
Il Giudice pertanto ha sconfessato coloro che, ad una lettura disattenta e volutamente parziale, hanno limitato la valenza della sentenza della Corte riducendone il valore.
Detto questo, la Imposimato ha evidenziato quello che è stato l’orientamento della sesta sezione in merito alla richieste di risoluzione dei contratti, avanzate dai proprietari dopo l’emanazione della sentenza 50/14. Al proposito, il Tribunale di Roma ha ritenuto non perseguibile, sotto il profilo della colpevolezza dell’inadempimento, l’inquilino che aveva corrisposto il canone ridotto in base ad una legge dello Stato che glielo consentiva.
E, quindi, nessuna risoluzione del contratto poteva essere pronunciata in quanto l’inquilino si trovava nella c.d. “mora incolpevole” che non consentiva la declaratoria di risoluzione per inadempimento.
Diversa era la situazione venutasi a creare, relativa alla corresponsione degli arretrati dovuti per differenze di canone.
Su questo argomento I Giudici del Tribunale di Roma si sono divisi: la Imposimato ha ribadito di ritenere dette somme dovute, pur non essendo giustificatrici della risoluzione per inadempimento del conduttore.
E veniamo all’ultima parte delle legislazione, quella del DL 47/14 (convertito nella L. 80/14) e precisamente l’art. 5 comma 1-ter.
Impietosamente la Dott.ssa Imposimato ha denunciato la chiara matrice politica del decreto legge 47/2014, definito senza mezzi termini “decreto salvainquilini”, anzichè “decreto salva affitti”.
E questo con buona pace degli interessati fautori, promotori e relatori di questa poco edificante norma, sbandierata come legge avente il merito di far emergere le locazioni in nero.
Il parere del Magistrato è chiaro: questa norma è stata concepita unicamente per evitare agli inquilini di pagare gli arretrati e di godere per un altro anno e mezzo del pagamento del canone ridotto.
In realtà la portata della legge non è ben chiara e due sono le interpretazioni possibili:
1) La norma costituirebbe un c.d, “pactum de non petendo”, ossia una impossibilità per il proprietario di richiedere sino al dicembre 2015 gli arretrati dovuti. Con la conseguenza che detta possibilità sarebbe esperibile dal gennaio 2016.
2) La norma ha voluto, puramente e semplicemente, procrastinare gli effetti di una norma dichiarata incostituzionale: in questo caso è ineluttabile un nuovo intervento della Corte vòlto a sanzionare la violazione del giudicato costituzionale.
La Imposimato ha, al proposito, rammentato la copiosa giurisprudenza costituzionale sul punto (una per tutte la sentenza 326/2010) che impedisce al legislatore di fare salvi o prolungare gli effetti di una norma incostituzionale.
Inoltre la nuova norma presenta, a parere del magistrato, un ulteriore profilo di incostituzionalità per la violazione dell’art.3 Cost. in quanto si potrebbe avere disparità di trattamento di situazioni simili. E ha fatto il caso di un contratto registrato nel periodo tra l’emanazione della sentenza della Corte e l’entrata in vigore della nuova legge: in questo caso il trattamento tributario sarebbe diverso da quello di un contratto precedente “sanato” dalla nuova legge.
La Imposimato ha anche tenuto ad osservare e ad avvertire che, in caso di nuova pronuncia della Corte, gli inquilini sarebbero chiamati a pagare gli arretrati precedenti e quelli successivi all’entrata in vigore della nuova legge.
Quello che -molto modestamente- vado dicendo dall’epoca dei lavori parlamentari del DL 47/2014.
Insomma, una bella scrollata alle certezze di chi in maniera impudente ed irriguardosa ha tentato di aggirare il dettato della sentenza 50/14 della Consulta formulando un comma ambiguo ed incostituzionale.
Due parole, infine, per il Tribunale di Roma, rappresentato in questo convegno dalla dott.ssa Imposimato, finora molto timido nello stigmatizzare alcuni discutibili interventi legislativi in materia locativa. Ad onor del vero, non si può dimenticare che, nella denuncia della incostituzionalità del d.Lgs 23/2011, il Tribunale di Roma ha brillato per la sua assenza.
Ci aspettiamo pertanto, adesso, visto l’orientamento espresso pubblicamente da un suo membro, una più coraggiosa presa di posizione da parte della sesta sezione, con la rimessione alla Corte Costituzionale della questione della legittimità costituzionale dell’articolo in esame. Meglio tardi che mai…
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