Arriva Lukaku e i “tifosi” arrecano danni alle cose e alle persone, maleducati che non hanno rispetto degli altri. Non sanno comportarsi lealmente, che giungono a odiare gli avversari: sono bambini viziati dai genitori, frustrati in cerca di violenza. Dobbiamo fermare queste orde di odiatori. Il Coni promuova le discipline sportive nella scuola, coinvolgendo pubblico e privato.
Sono saliti ingenuamente sui tetti delle auto in sosta. “Non esageriamo. L’hanno fatto senza rendersi conto”. Già sento le giustificazioni. No signori. Questi sono i soliti maleducati dello stadio. Gli odiatori da social, gli stessi che giustificano gli stupri.
Quante volte ci troviamo a dover commentare il vandalismo di tifosi di calcio, qualsiasi sia la squadra, italiana o straniera. Le loro esuberanze non tengono conto degli altri, dei beni degli altri, degli spazi, delle opere d’arte, del rispetto che si deve a chi ti ospita da avversario o del rispetto che si deve verso l’avversario stesso, un valore che lo sport dovrebbe insegnare e che ancora insegna, in molti casi, ma non tra i supporter del calcio.
Martedì 29 agosto, circa 5.000 tifosi romanisti si sono recati all’Aeroporto di Ciampino per accogliere Romelu Lukaku, un neo acquisto della società capitolina. L’ha portato a Roma il proprietario della omonima società di calcio, Mr. Friedkin che ha voluto andarlo a prendere di persona a Bruxelles, con il proprio aeroplano e porsi direttamente alla guida del velivolo.
Quasi non si fidasse della parola ricevuta e temesse un nuovo voltafaccia all’ultimo minuto. Grande entusiasmo invece tra il popolo romanista, secondo me abbastanza fuori luogo, ma non è questo il punto. Contenti loro, contenti tutti.
Alcune decine di tifosi non hanno esitato a salire sulle vetture in sosta nel parcheggio dell’aerostazione, per poter ammirare il signor Lukaku in tutta la sua prestanza fisica. Purtroppo i tettucci delle utilitarie non hanno la capacità di reggere le tante persone che salgono loro in cima.
Sette vetture ne sono uscite danneggiate seriamente. Fra queste la Panda rossa, nuova di zecca, della signora Martina I., che era nel frattempo a lavoro. Una volta giunto a Ciampino, l’attaccante si è infilato in una delle auto di rappresentanza, coi vetri oscurati, per andare a Villa Stuart, dove era previsto che si sottoponesse alle visite mediche di rito.
Mentre i cronisti imploravano un saluto, una frase per i tifosi, Lukaku con la bocca cucita, si è eclissato nell’auto e nel traffico del Grande Raccordo Anulare. Lasciando i tifosi orfani di una frase d’amore del nuovo idolo.
Fatto sta che le migliaia di ragazzi, perché molti erano giovanissimi, si erano accalcati per vedere, se non si poteva proprio toccare, questo fenomeno che pure è riuscito a farsi odiare da almeno tre tifoserie nel giro di pochi mesi.
Un lungo tira e molla con l’Inter, segnato da dei voltafaccia clamorosi, una rottura insanabile con il Chelsea, società che ne deteneva il cartellino e una altrettanto lunga telenovela con la Juventus, dove sarebbe dovuto sbarcare consentendo la fuoriuscita di Vlahovic e il rimpinguamento delle casse della società bianconera.
Lukaku è stato un campione ma da qualche tempo non è più lui. Per questo Chelsea e Inter se ne sono disfatte volentieri e la Juventus alla fine ha preferito tenersi il proprio gioiello e rinunciare a un campione sulla via del tramonto. Alla Roma serviva disperatamente un attaccante e, rinunciando Lukaku a parte del proprio esoso stipendio e trovando una formula soddisfacente di acquisto, l’affare s’è concluso.
Ma non stiamo parlando di Benzema o di Halland, due signori dal gol facile, che possono cambiare la classifica di una squadra. Auguriamo alla Roma che Lukaku torni quello che era, ma nel frattempo dobbiamo registrare per lo meno come sopra le righe le manifestazioni esuberanti per il suo arrivo.
La signora Martina I., tornata dall’ufficio ha dovuto constatare che l’auto era semidistrutta con tutto quel che ne segue in termini di tempi di attesa per le riparazioni, costi, carte bollate, azioni legali per rivalersi su ignoti.
Allora ha voluto scrivere una lettera alla Società Roma: “Gentili signori, sono una delle fortunate vincitrici dell’Oscar dell’inciviltà, rappresentato ieri (29 agosto) dai vostri tifosi in occasione dell’arrivo a Roma Ciampino del calciatore Lukaku”.
Sui social sono subito apparse le scene di giubilo, ma anche di maleducazione e inciviltà, con video e foto dei sostenitori giallorossi sui tetti e i cofani delle vetture lasciate in sosta dai lavoratori a Ciampino. “Possiamo dire che, a mia insaputa – continua la lettera della signora Martina– e con mia grandissima riprovazione e soprattutto rabbia, ho partecipato anch’io alla grande festa pagana, offrendo la mia macchina come gratuito trofeo per i grandi festeggiamenti del nuovo imperatore! Si, una festa pagana che, di cristiano non ha assolutamente nulla, come nelle migliori tradizioni imperiali romane, raffigurate da riti, giochi, ed anche tragici sacrifici… Una surreale ed ignobile manifestazione di barbarie, dove l’unico vero sacrificio è stato il mio, premiato dopo 12 ore di lavoro dalla devastazione della mia auto. Ma che importa, arrivava a Roma il grande campione, e tutti avrebbero portato in dono qualcosa di prezioso… Non era certamente nei miei piani, ma non per appartenenza a una fede calcistica diversa.
Certamente ci sono le assicurazioni, ognuno si dovrà caricare necessariamente delle proprie responsabilità, ma a chi spetta quella etica e morale? Chi avrebbe dovuto garantire ancorché fuori dai perimetri societari il necessario coordinamento in sicurezza per un evento che, avrebbe sicuramente visto la partecipazione di un gran numero di persone e (come è accaduto) anche di molti facinorosi e violenti soggetti? Sicuramente come altri, mi dovrò infilare in quel ginepraio legale quasi senza fine, fatto di carte bollate privandomi magari per molto tempo anche di quel mezzo che, mi avrebbe dovuto garantire l’arrivo al lavoro ed il ritorno a casa.
Vedete, questo mio grande sdegno non è volto alla ricerca di un atto di carità, di elemosina, o di ristoro economico per un odioso danno subito, ma è una precisa denuncia nei confronti di chi come appartenente ad una comunità sportiva non è riuscito (forse) ad infondere in maniera ancora più incisiva e educativa ai propri sostenitori quell’insieme di valori umani e di rispetto per gli altri, insieme ad una riflessione profonda sul concetto di cosa è bene o cosa è male. In ultimo, la mia piccola utilitaria era un dono di mia nonna alla quale ero molto legata affettivamente, ma questa è un’altra storia”.
La signora ha mille volte ragione. Anzi è stata fin troppo educata nella sua lettera. Tuttavia secondo me ha sbagliato interlocutore. Non si può certo addossare all’A.S Roma la maleducazione dei propri tifosi. Le società non possono essere responsabili degli atti di vandalismo che i tifosi commettono fuori dallo stadio.
Già protestano perle multe e le punizioni che subiscono per quello che succede negli stadi, figuriamoci al di fuori. La maleducazione non è una conseguenza del cattivo insegnamento della società di calcio ma delle famiglie di quei ragazzi. Sono anni che ci troviamo a dibattere della maleducazione dilagante che sta toccando ormai ampi strati sociali, generazioni differenti, strati sociali differenti, come un blob che li racchiude tutti in un unico modello di comportamento: l’arroganza.
Si è arroganti nella scuola, coi professori. Con i compagni di scuola. A casa con i genitori. Sui mezzi pubblici con i viaggiatori, anche quelli anziani, anche coi disabili. Si è arroganti e tanto sui social, erano nati per dialogare, devi stare attento a quello che scrivi perché nel 90% dei casi non capiscono e ti ritrovi sommerso da offese gratuite e anche inutili. Anche i social non avranno vita lunga se si prosegue su questa strada, in molti si stanno stancando.
Allo stadio poi questi comportamenti trovano la valvola di sfogo più adeguata. Urla di morte, offese, minacce, improperi, quando non si arriva alle botte e con quale cattiveria e volontà distruttiva! L’Italia è uno dei pochi Paesi in cui le tifoserie non si preoccupano tanto di inneggiare per la propria squadra ma si sentono soddisfatte se possono manifestare tutto il possibile odio per gli avversari.
L’ho visto fare anche agli austriaci, agli olandesi, agli inglesi, per la verità, e non so in quale altra parte del mondo valga questo principio. Che è un principio assurdo, antisportivo, direi di più, una meschineria. Odiare gli avversari equivale a fregarsene del prossimo, si oggettivizza l’altro, diventa una cosa, senz’anima e la si può distruggere senza provare pena.
Ma perché si arriva a questo? Qual è il trauma infantile che ha provocato questo desiderio di odiare qualcuno, per sentirsi pienamente sé stessi? È lo stesso principio che è a base del razzismo. Quel principio che tanti governanti sollecitano nei propri sudditi per distoglierli dai problemi personali e nazionali e dare loro un nemico contro cui riversare la rabbia e l’aggressività accumulata per le continue frustrazioni subite. Vale per i popoli come vale per i condomini, per le classi scolastiche e le tifoserie.
Certo con le punizioni, i daspo, le multe salate, la riprovazione sociale si possono momentaneamente fermare quelli che non sanno comportarsi civilmente fuori e dentro lo stadio. Ma non basta. Per uno che punisci ce ne sono altri cento che invece di capire si comporteranno peggio.
Tutto sempre parte dalla famiglia. Come insegni alle famiglie a diffondere le buone maniere e l’educazione? Queste domande ci pongono di fronte a una montagna impossibile da scalare. Però stiamo trattando di sport. O meglio, di qualcosa che aveva a che fare con lo sport e che lentamente sta diventando un mercato che scoppia, come una bolla che sta facendo saltare il banco, grazie all’immissione dei petrodollari degli sceicchi arabi.
Il giocattolo sta per andare in pezzi per colpa dello stesso meccanismo che l’ha reso famoso nel mondo. Lo spettacolo del calcio è una macchina per far soldi ma ora i soldi possono distruggere il giocattolo.
A noi resta una opportunità. Che le scuole di calcio invece proliferino, dentro e fuori la scuola, dentro e fuori gli istituti superiori e le università, come in America. Il valore educativo che c’è nello sport, specialmente nel rugby, nella pallavolo, nel basket, nell’atletica, nel nuoto… non si ritrova nel calcio professionistico. I valori ci sarebbero ancora ma il rispetto verso di loro sta scemando.
So che un campione come Salvatore Schillaci ha chiuso la propria scuola di calcio: “I ragazzi non vogliono fare sacrifici per il pallone. A 14 anni pensano solo a ingaggi, fama e belle donne”. Aveva la scuola in un quartiere popolare a Palermo, di quelli in cui educare ai valori dello sport sarebbe l’impresa delle imprese. “Se rimproveri qualcuno perché sbaglia un controllo, ti ritrovi subito i genitori addosso” Il dramma è proprio questo.
Maleducazione dei genitori, che non si rendono conto che i figli devono andare alla scuola calcio per divertirsi e imparare come si vive e invece fanno in modo che gli stessi figli sognino di diventare miliardari e avere belle donne al loro fianco. Di nuovo tutto si misura in soldi e tutto porta al machismo (le donne, belle, come le auto sportive, sono un orpello, un corredo). Ancora una volta la scuola dovrebbe incentivare lo sport nel suo ambito.
Non la ora di educazione fisica fatta svogliatamente. Vere squadre in varie discipline sportive, allenamenti, gare, tornei inter scolastici, con premi non in denaro ma in riconoscimenti, viaggi, tournée. Non vedo altra soluzione che partire dal basso. Togliere ragazzi dalla strada, forse anche toglierli per più ore possibili a certi genitori mai cresciuti, che riversano sui figli l’ansia di prestazioni di cui non furono capaci. Perché il Coni non si fa promotore di un progetto per far crescere lo sport nella scuola, d’accordo col Ministero della Pubblica Istruzione e di quei privati che volessero partecipare come sponsor e finanziatori?
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