La stanno presentando come la Verità Suprema, la levata di scudi degli imprenditori italiani che si sono riuniti a Torino al grido “non possiamo rompere con la UE”. E che, per bocca del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, hanno intimato al premier di lanciare un ultimatum sulla Manovra: “Conte convochi Salvini e Di Maio e dica loro ‘tagliate due miliardi a testa’. Se uno dei due non lo farà, lui dovrebbe rivelarne il nome e poi dimettersi immediatamente”.
Su Repubblica, che com’è noto sta cercando di screditare in tutti i modi il governo Lega-M5S (vedi le pagelline, più insultanti che sarcastiche, compilate da Francesco Merlo su ogni singolo membro dell’Esecutivo e pubblicate venerdì 30 novembre), la chiave di lettura si riduce a un dogma: gli imprenditori hanno ragione perché rappresentano “il 65% del Pil”. Il dogma ne riecheggia un altro: la Commissione UE ha ragione perché è allineata alle massime organizzazioni finanziarie internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale e la BCE. Vedi alla voce ‘troika’. E chi avesse la memoria corta si vada a vedere che cosa si intendeva con quel termine e che ruolo abbia svolto, tra l’altro, nell’imporre alla Grecia le più spietate condizioni di rifinanziamento del debito pubblico.
L’approccio è semplicissimo, ma non per questo è meno subdolo. L’approccio è che qualsiasi nazione deve assoggettarsi alle linee guida dell’economia globalizzata. Che tende allo sviluppo infinito e che mette il denaro, e il profitto, al primissimo posto tra i valori sociali.
Il motivo per cui gli imprenditori italiani protestano è elementare: siccome i loro affari si inscrivono per definizione nella realtà per come è, la loro priorità è che nessuna decisione politica vada a ostacolare l’acquisizione di nuove opportunità di guadagno.
Cosa volete che gliene importi, allora, delle altre implicazioni? Cosa volete che gliene freghi dell’impatto ambientale di opere come la Tav, che in assoluto sono tutt’altro che indispensabili ma che permettono di mettere la mani su montagne di soldi pubblici, e che servono a rafforzare il mito della ipervelocità come unità di misura del progresso?
Un altro aspetto che viene sottolineato a gran voce, da parte di chi esalta le imprese come la parte sana e migliore del Paese, è che Confindustria & C. sono sempre state ‘filogovernative’. Anche perché, d’altronde, sono portate a esserlo per forza di cose. Allo stesso modo in cui devono coesistere con le regole scritte o non scritte dei mercati, devono convivere con gli esecutivi insediati a Palazzo Chigi. Ergo, se adesso si scagliano contro Giuseppe Conte (ma in effetti contro Salvini e Di Maio, che sono le vere controparti politiche) significa che la situazione deve apparirgli proprio insostenibile. E quindi, se la ‘parte sana e migliore’ la pensa così, non può essere altrimenti.
Un classico circolo vizioso. Presentato però come virtuoso. Il perno è che ad avere ragione è l’economia – o meglio: l’attuale modello economico speculativo e globale – e che perciò la politica può fare soltanto ciò che non interferisce con quegli scopi e quei metodi.
Agli imprenditori anti Lega e M5S bisognerebbe ricordare un piccolo particolare: che loro rappresentano il 65% del Pil, e non il 65% degli elettori. La democrazia, almeno per ora, si basa sui voti che finiscono nelle urne. Non sui milioni o miliardi di euro che si annidano nei conti bancari.
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