Opinioni

“Ma questa è scema proprio, poverina”. Perché le donne della politica non hanno difeso Virginia Raggi?

Queste sono le parole rivolte da Matteo Salvini alla Sindaca Virginia Raggi in un’intervista di qualche giorno fa rilasciata a RaiNews 24. Era in corso una sua visita al parco archeologico nella zona di Centocelle a Roma. Una frase la sua che non può trovare posto in un sano dibattito politico, assume la forma di aggressione personale verso una donna delle istituzioni.

Ma la gravità di questa condotta risiede solo nell’istituzionalità del contesto? Possiamo pretendere dalla classe politica una correttezza di base? In grado di rendere costruttivo il dialogo tra maggioranza e opposizione, come tra ruoli istituzionali? Partendo dal fatto che la carica ricoperta dai politici deve fungere da modello per i cittadini. E il rispetto tra membri della classe dirigente è alla base della democrazia. Purtroppo sempre più spesso questi elementi vengono tristemente a mancare.

Cos’altro contengono quelle parole?

Da un punto di vista semantico non esprimono solo una generica offesa personale ma vanno oltre, si caricano di un messaggio ulteriore che fa riferimento alla inadeguatezza del ruolo femminile in certe esperienze politiche. Con quel “poverina”, Matteo Salvini vuole affermare questo. Ci ricorda che il potere è per “uomini forti” e che una donna, perlopiù gracilina, non potrà mai svolgere al meglio la funzione di Sindaco o di leader politico.

Simone de Beauvoir, agli albori del femminismo avrebbe risposto: Nessuno è di fronte alle donne più arrogante, aggressivo e sdegnoso dell’uomo malsicuro della propria virilità. Ma a quel tempo una donna non poteva ancora ricoprire un ruolo apicale nella politica. Così si arriva al paradosso di oggi. All’interno del nostro assetto sociale sono stati raggiunti, almeno formalmente, molti traguardi in ambito di pari opportunità eppure ancora c’è molta strada da fare. Nessuna quota rosa, nessun esponente donna del Movimento 5 Stelle ha espresso sdegno nei confronti delle gravi parole pronunciate da Salvini.

L’insulto personale silenziosamente tollerato

Questo silenzio non può trovare giustificazione in nessuna opposizione politica o faida interna al partito di cui si è rappresentanti. L’insulto personale silenziosamente tollerato diventa un’arma lecita nell’agone politico e nessuna donna può decidere di far finta di niente davanti al riproporsi della teoria dell’uomo forte che sa fare politica e la donna debole che farebbe meglio a stare a casa a cucinare.

La parola è uno strumento potente. Attraverso il linguaggio la politica può determinare le traiettorie delle battaglie sociali e consentire al popolo di scegliere se aderirvi o meno. Cosi il commento infelice e inopportuno del Senatore Matteo Salvini resterà nella memoria collettiva solo come l’ennesima, debacle lessicale, alla quale certa politica ci ha abituato. Quello che fa male invece è il silenzio che non lascia possibilità di replica. La sindaca Virginia Raggi è stata lasciata sola, tradita proprio da quelle donne che condividono il suo stesso destino.

Anche le donne della politica sono rimaste in silenzio

Le donne della politica hanno sprecato la grande opportunità di mostrarsi unite al di la degli schieramenti e di trasmettere alla società civile un’immagine di solidarietà e forza. L’occasione persa non è solo simbolica ma riguarda soprattutto la grande lezione che queste donne avrebbero potuto impartire alla politica “nostrana” che la sindaca ha definito significativamente “veteromaschilista”.

Non molto tempo fa un’altra donna della politica aveva ricevuto lo stesso tipo di aggressione verbale, in quel caso per il colore del suo abito. Teresa Bellanova in blu acceso, aveva risposto con savoir-faire alle critiche poco eleganti che le erano state mosse ricevendo, in quel caso, la solidarietà delle donne e dalla politica in modo trasversale.

Perché nessuno ha preso le sue difese?

Cosa è successo ora alle donne e alle colleghe della Raggi. Perché nessuno ha preso le sue difese? Perché la frase di Salvini così offensiva non ha generato lo sdegno che meritava? Quel “poverina” volto chiaramente a sminuire non solo l’operato del Sindaco ma la sua stessa identità di donna può davvero non essere percepito come il segnale di un atteggiamento maschilista dal quale ci si dovrebbe dissociare?

Il mondo femminile tace ma Luca Bergamo, vicesindaco con delega alla crescita culturale, commenta così l’accaduto:

Leggo solo ora alla fine dell’ennesima giornata frenetica di lavoro la rassegna stampa di questi giorni e trovo l’ineffabile Matteo Salvini che insulta Virgina Raggi. Mi pare chiaro che questo sia il solo strumento di cui dispone per parlare di Roma, visto che chiaramente non ne sa nulla”.

Anche i media minimizzano

No, Caro Luca Bergamo, non è il solo strumento di cui Matteo Salvini, dispone. Il Senatore viene sostenuto da una serie di testate giornalistiche che concorrono al quotidiano utilizzo della parola per denigrare, offendere ed apostrofare avversari politici, spesso donne, in maniera vergognosa. “La patata bollente” ad esempio, utilizzata tempo fa da Feltri sul suo giornale. Ma non solo. Matteo Salvini è uno di quei politici che fa uso del silenzio proprio quando non bisogna tacere.

Ha speso poche parole sulla mafia, sulla ‘ndrangheta e sulla camorra per l’intera campagna elettorale. A Rosarno, (Reggio Calabria), in un monologo di 26 minuti ha dedicato solo sedici secondi al problema ‘ndrangheta, per tutto il resto ha solo evidenziato che il problema della Calabria sono gli arrivi dei “barconi”. Questo tipo di comunicazione è un’offesa esplicita non solo verso il destinatario ma anche verso la comunità.

Chi ha dimostrato più coraggio?

Ci viene da dire che a prescindere dagli schieramenti politici e dal giudizio sull’operato della Sindaca Raggi una distinzione siamo obbligati a farla: chi ha dimostrato di avere davvero coraggio fra una donna mingherlina, isolata dal suo stesso partito che decide di affrontare a viso aperto i clan di Roma Capitale e le famiglie dei Casamonica e degli Spada e chi invece indugia di fronte alle mafie, minimizzandone con il suo silenzio, addirittura il pericolo?

A cura di Maria Luisa Felici, storica dell’arte

Foto dalla pagina Fb di Virginia Raggi

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Massimo Benedetti

Nato a Roma il 4 agosto 1972, è Dottore in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e Dottore in Psicologia clinica. Autore del romanzo "Mikoki, spogli di noi stessi", collabora con l'Istituto per lo studio delle psicoterapie ISP.

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