Che la litigiosità dei nostri politici sia qualcosa di paradigmatico non lo scopriamo certo oggi. Semmai, un’invenzione molto moderna è lo sdoganamento di un certo tipo di linguaggio tradizionalmente associato a bettole e bar sport, non certo a rappresentanti delle istituzioni – e anche esponenti dei media, se è per questo.
Tipo il Governatore del Lazio Nicola Zingaretti, per cui gli Italiani «non sono dei c….oni» (frase peraltro già utilizzata in passato da Silvio Berlusconi). O il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti che, riferendosi al leader di Italia Viva Matteo Renzi, ha affermato che «la sua probabilità di rimanere in equilibrio è proporzionale al numero dei fessi disposti a credergli» (che magari non è scurrile, ma nemmeno molto elegante).
Certo, se si fa coincidere con i Vaffa Day di Beppe Grillo il picco di diffusione delle volgarità, si può concludere con un sospiro di sollievo che si tratta di eventi ormai passati. Resta però come eredità la loro infiltrazione nel dibattito pubblico, che rende il confronto enormemente più sconcertante: soprattutto in un periodo in cui la tensione intergovernativa è tornata a salire oltre i livelli di guardia.
Il nodo del contendere, al momento, non è più nemmeno la Manovra, che più che altro ha funto da classica goccia che fa traboccare il vaso. Il problema è tutto politico, e fa seguito alla frase del bi-Premier Giuseppe Conte secondo cui «bisogna fare squadra, chi non la pensa così è fuori dal Governo».
A tale sfogo ha subito replicato il Rottamatore che, chiudendo la decima edizione del suo annuale convegno alla Leopolda, ha detto di aver proposto idee, non lanciato ultimatum. Mentre il capo politico pentastellato Luigi Di Maio ha ribaltato la prospettiva, bollando quelli del Presidente del Consiglio come diktat che «fanno del male al Paese», e aggiungendo che «in politica si ascolta la prima forza politica che è il M5S».
Non proprio il miglior modo per tranquillizzare l’Avvocato del popolo: il vertice di maggioranza pre-Cdm tanto invocato dai due riottosi alleati pare aver rasserenato un po’ il clima, ma bisogna capire per quanto – e se non si tratti solo di una pace armata.
Certo è che la morsa grillo-gigliata sta spingendo sempre il più il Capo del Governo tra le braccia del Partito Democratico: e probabilmente non è un caso che la reazione più dura alle invettive di Giggino e dell’ex Premier sia venuta dal segretario dem, che ha accusato entrambi di fare i furbi e avvisato che non accetterà «un gioco a chi la spara più grande».
Tra i quattro litiganti, il quinto che gode è il leader della Lega Matteo Salvini, reduce dal bagno di folla in piazza San Giovanni dove ha lanciato la “Coalizione degli Italiani”. «Mi sembra che in un mese stiano litigando più di quanto non abbiamo fatto in un anno» ha attaccato l’ex Ministro dell’Interno.
Come detto, nulla di nuovo sotto il sole del Belpaese – al massimo un salto di qualità. Per dire, nel film “Fifa e arena”, che aveva per protagonista il grandissimo Totò, c’è una scena ambientata in un club femminile di nome “Montecitoros”, in cui viene presentata una discussione tutta al femminile che degenera in una furiosa colluttazione, commentata da un’ironica scritta in sovrimpressione: «Tutti i Montecitoros sono uguali».
La pellicola è del 1948. Eppure, per attualizzarla basterebbe sostituire i nomi dei protagonisti con quelli dell’attualità. Come in una barzelletta. Del resto, lo aveva notato già Ennio Flaiano: e, anche se gli anni e i decenni passano, ancora oggi «la situazione politica in Italia è grave ma non è seria».
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