Maria, madre di Dio
L’evangelista Luca evidenzia la particolare reazione di Maria, a cui egli riserva sempre particolare attenzione nel corso del suo Vangelo
Il desiderio si trasforma in stupore
Dopo aver ascoltato le parole dell’angelo, i pastori si mettono in cammino “senza indugio” (Lc. 2, 16-21) verso Betlemme. Questa fretta permette di intuire almeno due pensieri che albergano nella mente e nel cuore dei pastori. Anzitutto, il desiderio di una salvezza forse attesa da tanto tempo, che adesso mette subito in moto questi uomini semplici e ai margini della grande storia. Inoltre, la fretta può essere intesa come espressione di gioia.
Giunti sul posto, avendo trovato il bambino adagiato in una mangiatoia e avendo verificato il segno dato loro dall’angelo, i pastori rendono testimonianza di quanto avevano appreso dagli angeli: quel bambino è il Messia atteso da Israele, il Salvatore inviato da Dio. E’ la dinamica di ogni “lieto annuncio” (Vangelo), per cui la gioia non può essere trattenuta, ma diventa più piena nel momento in cui viene condivisa con gli altri.
Di fronte a un annuncio tanto sconvolgente quanto inatteso, la reazione degli ascoltatori è quella dello stupore. Lo stupore caratterizza la reazione di quanti ascoltano le parole dei pastori, che annunciano come in quel bambino Dio sta per realizzare la salvezza definitiva da lui promessa a Israele per mezzo dei profeti.
Maria, modello di meditazione
Distinguendola dallo stupore generale degli astanti, l’evangelista Luca evidenzia la particolare reazione di Maria, a cui egli riserva sempre particolare attenzione nel corso del suo Vangelo. La reazione della madre di Gesù è caratterizzata da un duplice atteggiamento, espresso mediante un imperfetto (custodiva) e un participio presente (meditando).
Il primo (v. 19) è quello della custodia dei fatti che avevano preannunciato e caratterizzato la nascita del bambino e delle parole che erano state dette su di lui. Custodire significa, in definitiva, fare memoria, che permette di non perdere mai di vista i prodigi che il Signore opera nella storia.
Il secondo (v. 19) atteggiamento è quello della meditazione, quello di “mettere insieme” come si esprime l’evangelista Luca. In tal senso, Maria è presentata come la donna che non subisce gli eventi che vive, ma che sa fermarsi sul tempo che ella vive, cercando di valutare tutte le esperienze che le accadono. Lungi dall’essere una successione casuale o banale di eventi, la storia degli uomini è il luogo in cui Dio continua a operare la sua salvezza. Pertanto, esso non può essere vissuto senza un atteggiamento meditativo, che si cerchi di scorgere i segni della presenza di Dio. Maria è presentata da Luca come esempio in questo.
La fedeltà di Dio al suo popolo…
Di fronte a quanto visto e ascoltato, i pastori ritornano alla loro vita quotidiana, glorificando e lodando Dio. Il rendere lode e glorificare Dio sono una costante nel Vangelo, poiché ritornano spesso alla fine dei miracoli compiuti da Gesù e sono atteggiamenti caratterizzanti la folla che assiste. La reazione della folla denota il riconoscimento che nel segno operato da Gesù, Dio è all’opera e ha visitato il suo popolo. Similmente, nel segno del Messia nato, i pastori hanno riconosciuto che Dio non li ha abbandonati, si è fatto vicino a loro.
… nella carne e nel nome di Gesù
L’ultimo versetto (v. 21) fa fare al lettore un salto di otto giorni, dopo i quali, secondo la tradizione religiosa giudaica, il bambino maschio doveva essere circonciso. La circoncisione era anzitutto il segno della fedeltà di Dio e della sua alleanza con il popolo d’Israele: questo segno, da Dio richiesto ai padri, doveva ricordare come il Signore aveva mantenuto e realizzato le promesse di bene fatte per Israele.
Inoltre, la ricezione di questo segno impresso nella carne era la dimostrazione evidente dell’appartenenza al popolo eletto, con l’assunzione del relativo obbligo della conoscenza e del rispetto della Legge. Da buon giudeo, Gesù si sottomette a questa pratica, così come in seguito vi si sarebbe sottoposto Paolo. La circoncisione può essere interpretata anche come espressione della volontà di Gesù di sposare in pienezza la nostra umanità, e in particolare quella di un popolo che Dio si era scelto in mezzo a tutti gli altri popoli.
Oltre al rito della circoncisione, l’ottavo giorno era anche quello in cui era imposto il nome al bambino. Nella mentalità semitica, il nome non è una semplice “etichetta” che serve a distinguere quella determinata persona dalle altre. Piuttosto, il nome è visto come qualcosa che intende esprimere un aspetto fondamentale della vita di colui che lo portava. Il nome “Gesù” vuol dire “Dio salva”: egli è il Salvatore del mondo. Infatti, Gesù salverà il suo popolo dai suoi peccati: in Gesù, Dio realizza in maniera definitiva la salvezza.
Per noi cristiani il primo giorno dell’anno ha un forte valore simbolico. Che cosa vogliamo dire, in effetti, quando ci auguriamo: “Buon Anno”? Conosciamo il vero valore del tempo che ci viene donato per preparare “il tempo che non finirà”, cioè “l’eternità”. Il tempo è ritmato da avvenimenti che ci fanno progredire sul nostro cammino.
Il nostro augurio diventa così un impegno: a cogliere nel profondo di questo mondo, nonostante le sue ferite e le sue zone d’ombra, i segni tangibili della pace e della luce di Dio; a essere attenti a tutte le meraviglie di Dio che sono attorno a noi. Non rilevarle, non parlarne significa fornire uno spazio maggiore al male. Il nuovo anno, dunque sarà un buon anno solo a queste condizioni, se ci preparerà all’eternità. Osiamo guardare avanti, a quanto ci riserverà il nuovo anno, senza timori, perché Gesù è accanto a ognuno di noi.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Filannino, 2021; Laurita, 2021.