Mariano Sabatini sbarca sulla luna con “Moon” di Lisciani libri
Undici racconti che corrispondono al numero della missione fortunata dell’Apollo 11
Undici racconti che corrispondono al numero della missione fortunata dell’Apollo 11 che in quel memorabile 20 luglio 1969 portò Neil Armstrong a mettere per primo piede sulla luna, nel mare della tranquillità. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità. O almeno così ci era sembrato. Lo scrittore viareggino Divier Nelli, il cui ultimo romanzo per Guanda intitolato “Il giorno degli orchi” è stato molto apprezzato, ha pensato di assoldare tanti colleghi per costruire una sorta di girotondo narrativo attorno all’allunaggio, nell’anno in cui si festeggia il cinquantenario. Così è nato “Moon” per l’editore abruzzese Lisciani. Tra gli autori spiccano i seniores Giulio Leoni, Giada Trebeschi e Leonardo Gori, ma sono anche presenti, con pari dignità, sei esordienti di talento che hanno partecipato e sono sopravvissuti ai corsi di scrittura di Nelli. Noi abbiamo intervistato invece Mariano Sabatini, già premio Flaiano per “L’inganno dell’ippocastano” (uscito per Salani e presto nei paesi di lingua francese per Actes sud) e premio Città di Como con il sequel “Primo venne Caino”.
Mariano Sabatini
Soddisfatto della sua partecipazione a "Moon"?
Molto, soprattutto per l’amico Divier Nelli che si è dannato l’anima per far capire quanto fosse originale il progetto. Poi il professore Giuseppe Lisciani con il suo braccio destro Davide Di Lodovico hanno avuto la lungimiranza di capirlo al volo e di lasciarci ampio margine ideativo, dalla composizione del cast di firme, se così posso definirlo, dai generi narrativi, fino alla copertina che mi sembra molto bella, sensuale al tatto oltretutto.
Le piace scrivere racconti?
Non molto. La considero una grande fatica, bisogna infatti concentrare il climax in poche pagine, se possibile con un capovolgimento finale. Richiede un impegno di concentrazione e una capacità di dosaggio alchemico di tutti gli elementi. Per questo dico sempre no alle richieste di partecipazione alle tante antologie che si pubblicano. Ho detto sì a questa per la grande amicizia, che sconfina nella fratellanza, con Divier Nelli, più giovane di me, ma tanto esperto di editoria per aver imparato il mestiere dal grande Raffaele Crovi. Con Divier abitiamo purtroppo lontani, ma ci sentiamo sette o otto volte al giorno, se non di più. A partire da quando apro gli occhi al mattino, svegliandomi con la sua telefonata. Progettiamo libri e ci scambiamo idee, è un bel sodalizio umano ed editoriale, il nostro. Io lo considero un guru, lucido, appartato, eppure sempre presente.
Il protagonista del suo racconto è un abruzzese, come mai?
È un giornalista abruzzese trapiantato a Roma, come è stato per tanti volti Rai del passato. Penso a Vespa, abruzzese anche lui, a Luciano Rispoli, con cui ho lavorato, o a Pippo Baudo, a Enzo Tortora. La Rai è stata una calamita di talenti. Nella sua indolenza, per tornare alla finzione narrativa, anche Osvaldo Cataldi Manoja si fa attrarre dalle sirene della tv pubblica dalla provincia.
Anche Tito Stagno è stato un talento attratto dalla Rai agli esordi.
Certo, dalla Sardegna. Ho avuto io l’idea di chiedergli un pensiero introduttivo per “Moon”, l’ho cercato e l’ho trovato gagliardissimo, alla sua età. In principio mi aveva detto no, poi insistendo un po’ e con l’aiuto della moglie Edda, siamo riusciti a farlo scrivere. In due ore mi ha mandato il pezzo. Perfetto.
Perché ha fatto del protagonista del suo racconto un antagonista di Stagno?
Mi ha divertito giocare a scacchi con la realtà, mettendola in gara con la fantasia. Conosco la storia della televisione e ho scelto di trattare il tema dell’allunaggio da dietro le quinte, partendo dalle lotte aziendali tra cronisti. Ma Osvaldo Cataldi Manoja è un uomo perso, senza reali passioni, intempestivo. Il racconto s’intitola Il lato scuro della luna, che corrisponde alla facciata che non conosciamo del nostro satellite, ma anche alle caratteristiche più profonde e deteriori del personaggio, capace di arrivare ad una abiezione emotiva degna di Oscar Wilde. Ma la luna non ci sta a fare da ritratto in soffitta.
Lui è abruzzese ma l’ambientazione è romana…
Ho voluto rendere omaggio all’Abruzzo e alle lunghe chiacchierate con la mia adorata Caterina Falconi, scrittrice eclettica e prolifica, che mi fa ridere con le sue chicche vernacolari. Ma la mia città è Roma, che io racconto anche nei romanzi con Leo Malinverno. Roma oltretutto è la Rai. Il racconto si chiude sulle sponde del Tevere, alveo liquido di questa città allo sbando, con uno sberleffo alla cupezza. Cataldi Manoja ha assorbito il menefreghismo sfrontato e l’attitudine a vivere di lato propria di noi romani. È questa caratteristica che in fondo ci consente di sopravvivere tra tanta sporcizia, non solo materiale.