Matteo Renzi, Giuseppe Conte e una crisi di governo nel mezzo di una pandemia epocale. Giulio Andreotti, in una famosa intervista nella quale gli venne chiesto se si sentisse logorato da tanti anni di esercizio del potere, rispose che “il potere logora chi non ce l’ha”.
Andreotti aveva il gusto dell’ironia e del paradosso, ma anche una tempra, fisica e politica, sconosciuta ai modesti politici che gli sono succeduti in questi anni. L’esperienza recente ci potrebbe indurre ad affermare, tuttavia, che oggi il potere logora, o quanto meno offusca, il cervello di chi il potere ce l’ha. I casi più lampanti sono quelli di Matteo Renzi e Giuseppe Conte, i cui destini politici, non a caso, si sono di recente intrecciati, o meglio, aggrovigliati.
Matteo Renzi, che ha avuto una parabola ascendente rapida quanto quella discendente, incarnava l’idea del politico del nuovo millennio: giovane, determinato, innovativo e comunicatore. Le sue idee ed il suo stile di leadership, apprezzabile persino nelle sconfitte, l’hanno fatto arrivare prima a capo del maggiore partito italiano e poi al 41% dei consensi nelle elezioni europee del 2014. Un successo mai raggiunto prima da alcun partito della sinistra italiana.
Il potere che quel successo gli consegnava deve tuttavia averlo spinto al delirio di onnipotenza, ottenebrandogli la mente e trasformandolo rapidamente, da rottamatore a distruttore, da innovatore a mercante di poltrone, da leader geniale a scemo del villaggio.
Un mister Bean della politica, in preda ad una smania autodistruttiva, tanto incomprensibile quanto pericolosa per il Paese. Una sorta di “cupio dissolvi” che sta trasformando Italia Viva in Italia Comatosa.
L’assurda pretesa di Matteo Renzi di essere l’ago della bilancia della politica italiana sta sancendo la fine di questa maggioranza, aprendo forse la strada ad elezioni anticipate che potrebbero provocare la dissoluzione dei Cinquestelle, la marginalità di Italia Viva e il ridimensionamento drastico del PD. Congratulazioni Mister Bean!
Ma attenzione, questo non significa che Matteo Renzi non abbia mai ragione. Aveva ragione quando voleva trasformare l’Italia in un Paese moderno, semplificando la politica, l’economia e l’apparato dello Stato ed aveva ragione quando pretendeva da Giuseppe Conte la chiarezza sugli obiettivi e sull’uso delle future risorse europee. Ma il suo metodo è risultato suicida, nella forma e nella sostanza; allora con il referendum manicheo che lo costrinse a dimettersi, ora con l’apertura di una crisi di Governo al buio.
Giuseppe Conte, Premier “per grazia ricevuta” e per mancanza di alternative, dato che Lega e PD non avrebbero accettato la candidatura di Gigino Di Maio, da un certo punto in poi deve aver pensato che la fiducia, o meglio la speranza, riposta in lui dal popolo italiano, lo autorizzassero, in virtù della crisi pandemica, ad attribuirsi il ruolo di plenipotenziario assoluto e indiscutibile.
Una pretesa che era stata negata a Salvini, che pure si faceva chiamare “capitano” e che non poteva certo essere concessa all’uomo delle candide “pochette”. Una pretesa che unita ad alcune scelte inadeguate ed insensate, l’ha rapidamente trasformato da “avvocato del Popolo” a “nemico del popolo”.
Il desiderio di essere governati da una persona onesta e seria, cresciuta fuori dal pollaio della politica e libero dalle beghe di Palazzo, dotata di equilibrio e senso delle cose, lo avevano fatto apprezzare a lungo, quasi più della sua invidiabile sartoria. Persino a prescindere dalla contraddittoria scelta di opposti alleati di Governo. Perché diceva cose ragionevoli e comprensibili, perché aveva uno stile apprezzabile nei modi e nella sostanza, perché sembrava avere le idee chiare.
L’arrivo della Pandemia ha fatto piazza pulita di tutte le speranze e le illusioni, dimostrando inequivocabilmente che non ci si può improvvisare statisti e che – come avvenne per il Sindaco Marino – non basta eccellere nella propria professione per avere capacità amministrative o di governo.
Da un Premier ci si aspetta molto di più. Senza pretendere il “veni, vidi, vici” di Giulio Cesare, ci saremmo accontentati che sapesse vedere, capire e decidere, scegliendo il meglio. Ma è esattamente ciò che è mancato al povero Conte, ostaggio, per sua scelta, di esperti, comitati e task force, che ne hanno offuscato la capacità di discernimento.
Intendiamoci: scegliere tra la salute pubblica e la salute economica del Paese non è facile. Come nel film “La scelta di Sophie”, si tratta di una decisione che non si vorrebbe mai prendere. Ma non c’è nulla di peggio che non decidere. Lasciarsi guidare dalla paura ci ha portati ad avere migliaia di concittadini morti per Covid e migliaia di imprese morte per asfissia economica. La cronaca la conosciamo tutti, ma prima o poi la storia ci dirà chi, come e perché ha sbagliato. Soprattutto ci dirà perché questo virus così rapido a diffondersi per contatto ha prodotto più morti nelle valli sperdute del bergamasco che nei vicoli affollati di Napoli.
L’incontro micidiale tra le presunzioni di Renzi- Nitro e Conte-Glicerina ha fatto esplodere (o implodere se preferite) il Governo nel momento meno opportuno. Le ragioni sono note: non possiamo permetterci le elezioni anticipate mentre dovremmo sbrigarci a redigere, nei tempi richiesti, il progetto di utilizzo dei fondi europei; questa crisi politica ci indebolisce agli occhi dei partner europei; l’organizzazione della campagna elettorale non è compatibile con le esigenze di tutela della salute. Anche se quest’ultimo punto è piuttosto discutibile, dato che negli USA si è votato in piena pandemia, senza alcuna ripercussione.
Le elezioni anticipate sarebbero la strada maestra. Anche se non possiamo dimenticare che ogni volta ci ritroviamo un risultato ibrido, come quello che ci ha propinato due governi, Giallo-Verde e Giallo-Rosso, instabili.
Questa esperienza è servita tuttavia per dimostrare ciò che tutti noi, con l’eccezione de Il Fatto Quotidiano di Travaglio, sapevamo. E cioè che il Movimento Cinquestelle non solo non è pronto per governare, essendo privo di una linea politica omogenea e di una visione prospettica del Paese, ma che non ha nemmeno gli uomini per farlo.
Cavalcare il malcontento, sventolando parole d’ordine populiste come: “tutti a casa”, “sono tutti ladri” e “basta casta” è facile. Ma da qui ad avere la struttura ed il personale politico per governare l’Italia, ce ne passa. Il Movimento ha per giunta dimostrato di non disdegnare né i vantaggi della casta né i piaceri del potere. Provate a dire a Crimi o a Gigino Di Maio che devono tornare alle loro precedenti occupazioni, rinunciando alla popolarità ed agli agi di quella politica “professionistica” che prima disprezzavano.
Il problema si pone anche per la Lega che, nonostante sia il Partito più antico tra quelli presenti nello scenario politico italiano, non dispone di tutte le figure necessarie ad occupare i posti che il consenso elettorale gli metterebbe oggi a disposizione.
Eppure la Lega non si presenterà alle elezioni né governerà da sola e potrà contare su una coalizione che dispone di molte figure di spessore politico e professionale.
Le elezioni potrebbero dare al centrodestra i numeri per Governare, ma anche in questo caso non avremmo la certezza della stabilità. La prima esperienza di Governo del centrodestra, sebbene decisamente maggioritaria in Parlamento, fu messa in crisi proprio dalla Lega di Bossi, che spalancò le porte al successo di Prodi. Stavolta sarebbero in grado di evitare la rottura?
Salvini purtroppo ha già dimostrato le sue tendenze suicide nel primo Governo Conte, quando aprì una crisi non meno sciocca e autolesionista di quella di Renzi.
E qui dovremmo forse riconoscere che aveva ragione Matteo Renzi quando voleva una legge elettorale che desse un Governo stabile al Paese. Anche se ciò avrebbe significato, per lui, stare all’opposizione.
L’Italia, oggi più che mai, avrebbe bisogno di un Governo stabile e duraturo, che avvii il processo di riordino dello Stato e di rilancio dell’economia. Un bisogno che urge a prescindere da chi vincerebbe tra centrodestra o centrosinistra, anche se le due opzioni non sono affatto intercambiabili. Nel dopoguerra gli Stati Uniti indussero De Gasperi ad estromettere i comunisti dal Governo, in cambio degli aiuti economici richiesti. Una scelta politicamente scellerata, che spaccò in due il Paese, favorendo persino alcuni rigurgiti reazionari. Ma la schiacciante vittoria elettorale della DC, che seguì a quella svolta, portò la stabilità politica necessaria ad utilizzare al meglio gli aiuti del Piano Marshall e ad avviare il “boom economico” italiano.
Margaret Tatcher, la “Lady di ferro” capo del Governo inglese negli anni ’80, era insopportabile. Persino odiosa, quando non volle schierarsi contro il regime razzista del Sudafrica. Ma il coraggio deciso delle sue scelte, fece risollevare la Gran Bretagna dalla crisi economica ed occupazionale che la attanagliava. Ma anche la “Lady di ferro” dovette arrendersi davanti al tradimento, politicamente suicida, dei suoi compagni di partito.
Il potere logora forse chi non ce l’ha, ma chi ce l’ha è spesso vittima della supponenza, del proprio delirio di onnipotenza o dell’invidia degli alleati. In Italia, peraltro, sappiamo bene che se è difficile trovare un Giulio Cesare, abbiamo una discreta abbondanza di Bruto e Cassio.
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Manca il giudizio sul PD ... ma esiste il PD?
Perché in questa situazione, forse, la maggiore responsabilità è proprio di chi fa nulla e resta a guardare ...