Mes o non Mes, dopo la sbornia da Recovery Fund riesplodono le tensioni
Pressing del Pd sugli alleati col ministro Gualtieri e l’ex Premier Gentiloni. Ma il M5S insiste con la linea dura, e all’Europarlamento le coalizioni vanno nuovamente in frantumi
Mes o non Mes, questo è il problema. O meglio, il dilemma amletico che da mesi tiene in scacco la politica italiana, soprattutto a causa delle divisioni in seno alla maggioranza rosso-gialla. Con il Consiglio Europeo straordinario le polemiche erano state tacitate, come in una sorta di classica tregua olimpica. Ma ora, passata la sbornia da Recovery Fund, tutte le tensioni quiescenti – ma mai davvero sopite – sono riesplose con tutta la loro veemenza.
Mes o non Mes?
Mercoledì scorso, i capidelegazione della maggioranza si sono riuniti prima del Cdm che ha autorizzato la richiesta del nuovo scostamento di Bilancio da25 miliardi. E, com’era ampiamente prevedibile, la questione Mes o non Mes è tornata prepotentemente a riaffacciarsi.
«Oggi stiamo ancora festeggiando il Recovery Fund», avrebbe lamentato, secondo alcune ricostruzioni, il Ministro della Giustizia pentastellato Alfonso Bonafede, chiedendo di rimandare la discussione. Istanza accolta, per la cronaca. La cifra perfetta di un Governo il cui leader, il bi-Premier Giuseppe Conte, è talmente avvezzo a procrastinare da essere soprannominato Signor Frattanto.
Prima o poi, però, i nodi dovranno venire al pettine, e in tal senso sono molto significative le frecciate del leader di Iv Matteo Renzi. Che ha impietosamente rovinato la passerella autocelebrativa del fu Avvocato del popolo invitandolo, tra l’altro, a riflettere bene sull’eventuale utilizzo del Meccanismo Europeo di Stabilità.
Insomma, Giuseppi non può stare sereno, se non nell’ormai proverbiale accezione dell’ex Rottamatore. Lo dimostra anche quanto è accaduto durante l’ultima seduta dell’Europarlamento, in cui si doveva votare la risoluzione sulle conclusioni del Consiglio Ue. A sparigliare le carte è stato il gruppo Identità e democrazia, di cui fa parte la Lega. Che ha presentato un emendamento volto proprio a respingere l’uso del Fondo salva-Stati.
La modifica è stata bocciata, ma ha ottenuto di mandare nuovamente in frantumi le alleanze nazionali. Il M5S ha infatti votato a favore dell’emendamento assieme al Carroccio e a FdI, mentre contro si sono espressi il Pd, FI e Iv. Se lo strumento comunitario deve favorire una stabilità, non è di certo quella politica.
La spinta del Pd
I finanziamenti del Next Generation Eu «inizieranno nella seconda parte del 2021 ad eccezione di un 10% che verrà anticipato con l’approvazione del Piano». Così Paolo Gentiloni, Commissario europeo agli Affari economici, è entrato in tackle nella diatriba sui fondi Ue. Ricordando che le erogazioni esigono dapprima l’istituzione del Fondo per la Ripresa attraverso la ratifica preventiva dell’intesa da parte di tutti i Parlamenti. E poi l’approvazione dei Piani nazionali di riforme dei singoli Paesi membri dell’Unione. E, oltretutto, arriveranno a rate.
Tempi lunghi, as usual. Per questo l’ex Premier ha sottolineato che, all’interno del pacchetto che comprende anche il programma SURE, «uno strumento è già disponibile, ovvero il Mes».
Sulla stessa lunghezza d’onda il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che, secondo indiscrezioni, avrebbe mandato un avviso ai naviganti. Del tipo, se lo scostamento di Bilancio produrrà 25 miliardi di deficit aggiuntivo, senza i 36-37 miliardi del salva-Stati si creerebbero tensioni sui conti pubblici.
Tempismo perfetto, quello del Cancelliere dello Scacchiere, visto che l’asta di giugno per i Btp decennali ha stabilito un nuovo record per i rendimenti italiani. Sono infatti arrivate domande per oltre 108 miliardi di euro, a ennesima conferma di quanto i famigerati mercati si fidino dei nostri titoli di Stato.
E infatti il Mef, sia pure con colpevole ritardo, ha seccamente smentito il retroscena. «Il Ministro Gualtieri non ha mai pronunciato le parole attribuitegli» hanno precisato fonti di via XX Settembre. Aggiungendo che «per il Bilancio dello Stato non esiste alcun problema di cassa». Meglio così.
In ogni caso, che si sia trattato di una gaffe o meno, resta l’insopprimibile spinta dei dem verso il Meccanismo Europeo di Stabilità. Ovvero, secondo gli euroscettici, verso il baratro.
Mes o non Mes, il perché della diatriba
Il nodo del contendere è sempre il Mes light o Mes sanitario o Mes pandemico. Vale a dire quella versione del Fondo salva-Stati finalizzata a stimolare l’economia in seguito alla crisi da Covid-19. Si tratterebbe, ça va sans dire, di un prestito, ma con un tasso abbastanza agevolato. Lo 0,07% in sette anni, che salirebbe allo 0,08% in caso di restituzione in un decennio.
«Abbiamo eliminato dalle sue linee di credito le vecchie condizionalità macroeconomiche» ha argomentato, non caso, Gentiloni, riferendosi ai vincoli del Meccanismo Europeo di Stabilità originario. Ovvero, non essere in procedura di infrazione, avere da due anni un deficit sotto il 3% del Pil, e avere un debito pubblico inferiore al 60%. L’unico obbligo, nella nuova formulazione, sarebbe quello di utilizzare gli aiuti per le spese legate all’emergenza sanitaria.
Il nocciolo della questione, e dunque della diatriba, sta tutto nei condizionali. È ovvio, infatti, che nessuno rinuncerebbe a cuor leggero a un qualsivoglia finanziamento. Il problema è che, per cambiare un Trattato come quello alla base del Mes, occorrono gli stessi presupposti della sua istituzione. Vale a dire l’unanimità del Consiglio Ue e poi la conferma dei singoli Parlamenti nazionali. Senza questi passaggi, l’accordo non è che un gentlemen’s agreement.
Il punto quindi diventa: ci si può fidare dell’Europa? Per i grillini, così come per i sovranisti, la risposta è negativa. Senza nero su bianco, sarebbe troppo forte il rischio che le famigerate condizionalità, espulse dalla porta, vengano fatte rientrare dalla finestra. E, con esse, lo spettro del commissariamento della trojka (Bce, Fmi e Commissione Europea), come avvenne per la derelitta Grecia.
Di qui gli ultimi affondi di quanti si oppongono tenacemente allo strumento comunitario. Per i fondi, invece se ne riparlerà. Speriamo non dopo che l’Italia sarà già andata a fondo.