“Sperimentiamo ancora tante resistenze interiori che non ci permettono di metterci in movimento”. Lo denuncia il Papa celebrando la messa in Basilica Vaticana in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo.
“A volte, come Chiesa, siamo sopraffatti dalla pigrizia e preferiamo restare seduti a contemplare le poche cose sicure che possediamo, invece di alzarci per gettare lo sguardo verso orizzonti nuovi, verso il mare aperto. Siamo spesso incatenati come Pietro nella prigione dell’abitudine, spaventati dai cambiamenti e legati alla catena delle nostre consuetudini. Ma così si scivola nella mediocrità spirituale, si corre il rischio di “tirare a campare” anche nella vita pastorale, si affievolisce l’entusiasmo della missione e, invece di essere segno di vitalità e di creatività, si finisce per dare un’impressione di tiepidezza e di inerzia”, avverte il Papa.
“Allora, – mette in guardia Francesco – la grande corrente di novità e di vita che è il Vangelo – scriveva padre de Lubac – nelle nostre mani diventa una fede che ‘cade nel formalismo e nell’abitudine, religione di cerimonie e di devozioni, di ornamenti e di consolazioni volgari. Cristianesimo clericale, cristianesimo formalista, cristianesimo spento e indurito'”.
“Nella Chiesa, ciascuno sia chiamato ad essere discepolo missionario e a offrire il proprio contributo. E qui mi vengono in mente due domande. La prima è: cosa posso fare io per la Chiesa? Non lamentarsi della Chiesa, ma impegnarsi per la Chiesa“. Lo sottolinea il Papa nel corso della celebrazione nella Basilica Vaticana in occasione dei santi patroni di Roma, Pietro e Paolo.
Bergoglio sottolinea la necessità di partecipare “con passione e umiltà: con passione, perché non dobbiamo restare spettatori passivi; con umiltà, perché impegnarsi nella comunità non deve mai significare occupare il centro della scena, sentirsi migliori e impedire ad altri di avvicinarsi. Chiesa sinodale significa: tutti partecipano, nessuno al posto degli altri o al di sopra degli altri”.
“Ma partecipare – evidenzia Francesco- significa anche portare avanti la ‘buona battaglia’ di cui parla Paolo. Si tratta in effetti di una ‘battaglia’, perché l’annuncio del Vangelo non è neutrale, non lascia le cose come stanno, non accetta il compromesso con le logiche del mondo ma, al contrario, accende il fuoco del Regno di Dio laddove invece regnano i meccanismi umani del potere, del male, della violenza, della corruzione, dell’ingiustizia, dell’emarginazione”.
Il Papa pone una seconda domanda: “Cosa possiamo fare insieme, come Chiesa, per rendere il mondo in cui viviamo più umano, più giusto, più solidale, più aperto a Dio e alla fraternità tra gli uomini? Non dobbiamo certamente chiuderci nei nostri circoli ecclesiali e inchiodarci a certe nostre discussioni sterili, ma aiutarci ad essere lievito nella pasta del mondo. Insieme possiamo e dobbiamo porre gesti di cura per la vita umana, per la tutela del creato, per la dignità del lavoro, per i problemi delle famiglie, per la condizione degli anziani e di quanti sono abbandonati, rifiutati e disprezzati. Insomma, essere una Chiesa che promuove la cultura della cura, la compassione verso i deboli e la lotta contro ogni forma di degrado, anche quello delle nostre città e dei luoghi che frequentiamo, perché risplenda nella vita di ciascuno la gioia del Vangelo: questa è la nostra ’buona battaglia’”.
Infine Bergoglio saluta la delegazione del Patriarcato Ecumenico, “inviata dal caro fratello Bartolomeo. Grazie per la vostra presenza qui! Camminiamo insieme, – esorta – perché solo insieme possiamo essere seme di Vangelo e testimoni di fraternità. Pietro e Paolo intercedano per noi, per la città di Roma, per la Chiesa e per il mondo intero”.
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