Nell’eterna competizione tra “Roma Capitale” e “Milano Città Europea”, mi sento di affermare che, stavolta, siamo in area “pareggio”. Dopo ben quattro anni, torno infatti finalmente nel capoluogo lombardo grazie al ripristino delle attività in presenza, per troppo tempo sepolte dalle virtuali abitudini pandemiche, che – oltre a non favorire l’abbandono della statica dimensione della pigrizia – sono tutt’altro che adatte alla vivacità del confronto personale che caratterizza i master universitari nel rapporto tra chi parla e chi ascolta.
Ciò detto, dopo aver nuovamente assaporato il piacere del contatto diretto con i numerosi intervenuti, non ho potuto fare a meno di approfittare della mia presenza fisica su territorio milanese per contattare vecchi amici e rimanere quindi due giorni in più, così gironzolando per la città e verificare se e cosa sia cambiato dopo i tempi delle note clausure che, inequivocabilmente, hanno modificato il nostro modo di relazionarci e di vivere le dinamiche degli spostamenti da un luogo all’altro.
L’approccio è stato già di per sé molto singolare: scendo in stazione per prendere la metropolitana, vado a comprare i biglietti (anche lì in formula BIT) e scopro che ci sono i “bagarini” che tentano di rifilarteli a € 1,00 in luogo di € 1,90. Incredula, mi rivolgo a una delle (rare) addette per sapere di che fenomeno si trattasse, mentre altri ragazzi si informavano per capire se acquistarli o meno.
Non ci sono sportelli, nemmeno per avere informazioni, soltanto totem e macchinette distributrici, con assistenza “volante”. Scopro quindi che, alla possibilità romana di utilizzare il biglietto ad € 1,50 non corrisponde l’obbligo di vidimarlo al tornello anche in uscita, con la conseguenza che a Milano, una volta scaduto il biglietto, si rischia di rimanere prigionieri nell’area sotterranea.
In pratica, al maggior costo del biglietto milanese corrisponde un minor controllo, laddove invece la formula romana, che è più libera, meno cara, ma dotata di maggior presenza di personale appare quantomeno più “democratica”. Mi chiedo infatti quanto sia corretto consentire di entrare al tornello ma poi obbligare, anche in uscita, a verificare il timing del biglietto. Francamente, non ho ancora mai incontrato bagarini in giro per Roma a spacciar biglietti con tempo residuo, magari è più facile che qualcuno lo regali quando ha finito il suo giro. Va detto inoltre che il personale di servizio romano sotto l’area “metro” è sempre presente e disponibile, con sportelli sempre aperti.
Deduco che il turismo milanese è quasi inquietante in termini di concentrazione localizzata, nel senso che intorno al Duomo di Milano si fa fatica a passare tra le persone lì ammassate, tutte più larghe tra di loro in Piazza San Pietro. Del resto, le poche bellezze artistiche su Miano sono numericamente imparagonabili alle infinite meraviglie romane sparse ovunque e sulle quali rischi di inciampare in un’area cittadina territoriale maggiore di quasi sette volte rispetto al capoluogo meneghino.
Insomma, riesco a comprare il biglietto e mi dirigo verso la stazione che porta a vedere il celeberrimo Cenacolo e capire se riesco ad entrare “alla romana”, ovvero last minute proponendomi alla guida turistica che, in mancanza di un possibile prenotato rinunciatario, ti consente di entrare (naturalmente pagando il biglietto). Niente da fare, o ti prenoti sei mesi prima on line o rinunci; del resto, non è che ai Musei Vaticani le file sono inferiori, però magari chissà, con un po’ di ottimismo e senso pratico ci si può riuscire ad imbucarsi.
Continuo ad andate in giro, ammetto che se mi viene qualche dubbio trovo sempre qualcuno che mi spiega dove andare, mentre a Roma neanche ti rispondono. Le strade sono notoriamente più ampie, con pochi vicoletti che invece da noi sono una vera delizia, ma molto più pulite e mi chiedo quindi se forse i cittadini sono più rispettosi o magari i turisti che sporcano vengono controllati meglio, se non puniti se colti in flagranza, chissà.
Ma nel frattempo, mentre mi sentivo un pochino più a mio agio, al tempo stesso vedo che ci sono altri fenomeni interessanti, come quello dell’assenza totale di numeri civici sugli edifici. Quindi, se chiami un taxi a Milano o dai appuntamento a qualcuno, non sai dove farti recuperare o dove incontrare fisicamente con le persone, dovendo cercare un punto di riferimento preciso che magari non c’è o, non conoscendo la città, non riesci a capire dove ti trovi. Ma non solo.
Se soltanto i grandi portoni condominiali sono dotati del numero civico perché i negozi non lo hanno esposto, qualora si dovesse camminare a fianco di dieci o più attività commerciali situate di seguito sulla stessa strada, non è neanche possibile verificare da quale lato il taxi si dovrà fermare o quanto dover sbracciare per farsi vedere da chi arriva per incontrarti senza alcun punto di appoggio. Roma, che invece è maestra di numerazioni topografiche, magari sbiadite o coperte da fogliame come da ponteggi, garantisce la certezza della localizzazione cittadina.
Superata quindi l’ormai storica mistica della “cosa più bella di Milano è il treno che ti riporta a Roma”, chiuderei con un bel pareggio con buona pace di tutti.
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