Miserie e splendori del senso di appartenenza e campanilismo. Vediamo perché…
Seconda parte: “La secchia rapita”: I contro-miracoli del campanilismo, ieri e oggi
Riflessioni a puntate e a piccole dosi su vari argomenti (familismo, campanilismo, regionalismo, passioni sportive, sette, partiti e movimenti, patriottismo, nazionalismo, etnocentrismo, razzismo) utili, forse, a capire meglio chi siamo; con particolare riferimento all’Italia e agli Italiani.
Il termine campanilismo indica l’attaccamento affettivo alla propria città o paese, alle sue usanze e tradizioni. Così definito, il campanilismo sarebbe espressione di una naturale, encomiabile e costruttiva attitudine a mantenere viva la cultura materiale e immateriale della città. Ma tutti i campanilismi sinora conosciuti non si sono mai, ma proprio mai attestati sulla predetta definizione in positivo; tutto al contrario, i campanilismi si sono rivelati senza eccezioni come posizioni potenzialmente o attivamente aggressive nei confronti di altre comunità. La difesa preconcetta dei veri o presunti valori della propria città può in effetti suscitare rivalità anche molto accese con i centri vicini.
Questa inclinazione all’ostilità verso le popolazioni limitrofe ha peraltro trovato ampie conferme sul piano della conoscenza storica: senza arretrare fino alle età più antiche, già pervase da mille forme aggressive di campanilismo, basti pensare alla storia dei Comuni italiani, coinvolti in interminabili e luttuosi conflitti fratricidi nell’Italia del Basso Medio Evo tra guelfi e ghibellini, là dove il rispettivo parteggiare per il Papato e la Casa di Baviera contro la Casa di Svevia o per la Casa di Svevia contro quella di Baviera e contro il Papato rimase decisamente in secondo piano o addirittura solo sullo sfondo rispetto ad evidentissime genesi delle ostilità costituite piuttosto da feroci scontri di interessi territoriali, economici e demografici strettamente locali, nonché da faide tra ristretti gruppi rivali e da pendenze vendicative che oggi riterremmo del tutto futili o folli.
Sono gli imponderabili contro-miracoli di una maligna anti-provvidenza diabolica? Se non altro, lo sembrano alquanto.
Nel suo famoso Viaggio in Italia, verso la fine del XVIII secolo, Goethe rileva ovunque eccessi perfino parossistici di campanilismo aggressivo.
La tradizione orale, forse leggendaria o comunque di problematica verosimiglianza, reca forti tracce del parossismo insano biasimato da Goethe, in quanto tramanda che il termine “campanilismo” sarebbe derivato dalla rivalità fra i due comuni limitrofi di Palma Campania e San Gennaro Vesuviano. Il campanile di San Gennaro, ben visibile a distanza solo da levante, ossia dal lato di Palma, sarebbe stato intenzionalmente completato privo di orologio all’unico cervellotico scopo di fare in modo che i cittadini di Palma non usufruissero della visione dell’orario.
Molti e notevolmente interessanti sono anche i testi poetici e narrativi dedicati al tema, tra i quali spicca, agli inizi del Seicento, La secchia rapita di Alessandro Tassoni, parodia dell’Iliade e poema satirico fantasiosamente ispirato ad un reale evento storico.
L’evento in questione è il conflitto tra Bologna guelfa e Modena ghibellina conclusosi con la battaglia di Zappolino, Nello scontro avvenuto il 15 novembre 1325 i bolognesi, già autori di un’incursione nel territorio di Modena, vennero respinti e inseguiti fino alle porte di Bologna. I modenesi distrussero al loro passaggio molti castelli ma non cinsero d’assedio la città; si limitarono a sbeffeggiare gli sconfitti organizzando quattro palii fuori dalle mura e tornarono a Modena recando con sé come beffardo trofeo una secchia di legno sottratta ad un pozzo in prossimità della cinta muraria.
Il poema satirico di Tassoni narra che al rifiuto dei modenesi di riconsegnare la secchia, i bolognesi riprendono la guerra, cui prendono parte, a favore degli uni o degli altri, gli dei dell’Olimpo. Il conflitto giunge infine al termine grazie alle trattative gestite da un plenipotenziario del Papa. I bolognesi possono trattenere in prigionia re Enzo, erede al trono del Casato di Svevia (qui Tassoni retrodata spregiudicatamente parte degli eventi ad un secolo prima); i modenesi tratterranno la secchia.
L’attualità del poema di Tassoni risiede nell’evidente perpetuarsi, ancor oggi, di spinti e forsennati campanilismi soprattutto (ma non solo, ovviamente) nelle aree peninsulari che furono sede di conflitti tra comuni guelfi e comuni ghibellini: a titolo puramente esemplificativo, si può ricordare il campanilismo riproposto nella tenzone annuale tra i balestrieri di Gubbio e quelli di Sansepolcro, la rivalità tra Verona e Vicenza, ma ancora di più l’inestinguibile contrapposizione tra Pisa e Livorno, Pisa e Lucca, Pisa e Firenze, Firenze e Siena. Da Dante all’odierno diffuso periodico satirico-goliardico di Livorno “Livornocronaca-il Vernacoliere” è e continua ad essere attestata un’inestinguibile ostilità di prossimità territoriale oggi priva di senso ma sopravvissuta come rude camera di risonanza di confusi sfoghi aggressivi trasposti in parole, simboli, immagini e cubitali invettive dipinte sui muri. Potremmo andare avanti molto a lungo nell’elencazione, ma gli esempi forniti sono già abbastanza eloquenti.
Un istintivo e malsano senso di appartenenza sempre congiunto alla compulsiva ricerca a tutti i costi di uno o più “nemici” a danno dei quali confermare una propria puerile presunta “superiorità” è rappresentato dai patologici particolarismi sub-campanilistici: quartiere contro quartiere, parrocchia contro parrocchia, centro storico contro periferia. In questi casi l’alibi costituito dall’orgoglio di preservare una certa tradizione di cultura locale non trova alcuno spazio plausibile, ed emerge invece un incontrollato meccanismo ancestrale di diffidenza e autodifesa mediante attacco preventivo contro astratte, presunte potenzialità di invadenza o prevaricazione da parte degli “altri”.
Che sussistano realmente o meno possibili attacchi di nemici, una cosa però è certa: se esageri nel vedere in qualcun altro un potenziale nemico, prima o poi lo diverrà sul serio. E’ la classica profezia che si autoadempie. A questo proposito, ne vedremo delle belle nelle prossime trattazioni sul tifo pseudo-sportivo e sulle posizioni regionalistiche.
*Articolo curato da Gaetano Arezzo.