Il tema della missione è particolarmente rilevante nell’opera lucana. La missione assume la forma della testimonianza nella transizione dal ministero di Gesù alla predicazione apostolica.
Solo nel vangelo di Luca si racconta l’istituzione di altri discepoli (Lc. 10, 1-20), con l’incarico di precedere Gesù nel suo cammino verso Gerusalemme. I missionari sono inviati “a due a due” (v. 1), perché la loro testimonianza potesse essere ritenuta valida, in base al diritto del tempo. Essi devono percorrere il cammino del Signore in ogni città e luogo dov’egli giungerà.
Ai nuovi missionari Gesù chiede anzitutto di pregare il padrone del campo così che invii operai, poiché “la messe è molta, ma gli operai sono pochi” (v. 2). La supplica si innalza a Dio, invocando l’aumento nel numero degli operai del Vangelo non perché il frutto possa essere più abbondante, ma affinché la Parola si diffonda il più possibile.
I missionari sono inviati “come agnelli in mezzo ai lupi” (v.3), a voler sottolineare l’indice di pericolosità al quale si espongono. La sobrietà è lo stile a cui devono ispirarsi i missionari (v. 4): non devono prendere con sé la borsa, né la bisaccia; non sono necessari neppure i sandali, in segno di radicale povertà.
La parsimonia che caratterizza i missionari del Vangelo evidenzia la discontinuità rispetto ai pellegrini giudei e ai filosofi itineranti; essi dovranno fidarsi solo della provvidenza divina che si manifesterà in maniera concreta laddove essi saranno accolti. Non dovranno indugiare lungo la strada, concedendosi saluti o visite a familiari e amici che possano rallentare il loro itinerario. Il saluto è concesso solo all’interno della casa dove i missionari entrano: “Pace a questa casa!” (v. 5).
La pace che essi augurano è quella prevista per la fine dei tempi per Israele e per le Nazioni, estendendo la benedizione divina su tutti gli uomini e le donne di pace. La casa rappresenta il luogo in cui il messaggio può essere da tutti accolto, purché si accetti di convertirsi.
La sussistenza dei missionari è garantita dalla ricompensa che sarà loro corrisposta per l’impegno profuso nella proclamazione del Vangelo. La stabilità consentirà loro di non passare troppo rapidamente da un domicilio all’altro, ma di sostare il tempo necessario perché il Vangelo sia proclamato e accolto. La proclamazione del Vangelo si diffonde anche in ambito urbano: entrando nelle città, laddove saranno accolti, potranno rifocillarsi, recare sollievo agli ammalati e proclamare l’arrivo del regno di Dio, in continuità con il ministero di Gesù.
La guarigione degli infermi è la prova dell’assistenza garantita loro da Dio; i segni e i prodigi che avvengono attraverso di loro sono le prove evidenti che Dio, nella sua regalità, si prende cura dei deboli e dei sofferenti; la sua presenza privilegia le membra più deboli della società umana. Non è ostentazione di potere, ma dono di salvezza e disponibilità a guarire le piaghe fisiche e morali di chi è stato penalizzato e marginalizzato a motivo della sofferenza.
In caso di rifiuto, i missionari non dovranno scomporsi, ma recarsi nelle piazze ed esprimere il loro disappunto, scuotendo anche la polvere della città dai loro piedi; essi non sono responsabili di chi si ostina a rifiutare il messaggio della salvezza. Il giudizio finale, “in quel giorno” (v. 12), spetta esclusivamente a Dio. Tuttavia, si annuncia particolarmente severo nei confronti di coloro che avranno respinto il messaggio evangelico. Si prefigura più duro di quello riservato alla città di Sodoma, a motivo della violazione della legge sull’ospitalità che in essa fu violato.
Al loro rientro, “i settantadue” (vv. 1.17), condividono con Gesù la gioia sperimentata nel sottomettere i demoni nel suo nome (v. 17); essi hanno sperimentato l’efficacia terapeutica ed esorcistica del nome del Signore. Gesù conferma la realtà della loro esperienza: effettivamente, egli ha visto Satana cadere dal cielo come una folgore (v. 18). Ciò non significa però che sia cessata la sua minaccia; dopo essere stato respinto da Gesù nel deserto, il suo ritorno è fissato al tempo opportuno.
Gesù ha conferito loro il potere di camminare su leoni e vipere (Sal. 91, 3), e di non soccombere alla potenza del nemico. L’entusiasmo dei missionari è comprensibile, ma essi devono poter gioire soprattutto perché i loro nomi sono stati scritti nei cieli (v. 20), nel senso che essi appartengono intimamente a Dio. Un così grande privilegio non è la ricompensa che essi hanno ottenuto per aver prevalso su Satana; piuttosto, è il segno dell’elezione divina che previene il loro operato, e corrisponde alla rivelazione del disegno della regalità divina di cui essi sono stati messi a parte per mezzo del Figlio.
Chi sono oggi i missionari? Tutti noi siamo missionari, in virtù del battesimo che abbiamo ricevuto. Tutti siamo responsabili della fede, non solo i sacerdoti. Il problema è sapere come si deve essere missionari, come può un laico cristiano, rimanendo tale, essere inserito nella realtà di questo mondo ed essere anche testimone ed eco vivente del Vangelo.
Il primo impegno fondamentale è la vita di preghiera: come il Cristo, anche il discepolo sa che la fecondità del ministero nasce solo dal contatto vivo e personale con Dio. Il secondo impegno è l’annuncio sereno e coraggioso: anche se ci si trova nella persecuzione, non bisogna lasciarsi tentare dal fascino della violenza e dell’imposizione forzata. L’ultimo impegno riguarda la povertà. Chi annuncia il Vangelo è distaccato dagli affari economici e dalla preoccupazione del domani, riceve ciò che gli viene offerto per domani e dona ciò che ha, cioè il suo amore per i malati e i sofferenti.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Landi, 2022; Cumia, 2022.
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