Missione e persecuzione: “Non abbiate paura!”

I discepoli sono invitati a non aver paura, “perché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto”

Il Capocordata in montagna

Il Capocordata

Contesto

Il brano evangelico odierno (Mt. 10, 26-33) è tratto dal mandato missionario: Gesù, come in un crescendo, introduce il tema del rifiuto e della persecuzione. I Dodici, nell’espletamento della loro missione, possono non essere accolti e le loro parole non ascoltate; evidenzia anche la possibilità di essere consegnati davanti ai giudici della terra, fino ad arrivare a essere uccisi. Al v. 23 troviamo anche il tema della persecuzione. E’ facile vedere come nel mandato ai Dodici Gesù non ne nasconda i rischi e le difficoltà, sebbene questi sempre controbilanciati dall’azione di Dio. Gesù evidenzia come la persecuzione e il rifiuto siano in qualche modo inevitabili per i discepoli e questo perché essi sono associati a Gesù, maestro perseguitato per primo.

Non abbiate paura

Non abbiate paura” (v. 26): i discepoli sono, innanzitutto, invitati a non aver paura, “perché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto” (v. 26). Non bisogna quindi temere gli uomini perché la missione è affidata ai discepoli da Dio stesso, che ha già stabilito che tutto debba essere conosciuto e ha stabilito loro come sale della terra e luce del mondo. Il v. 28 ruota attorno al contrasto tra anima e corpo o meglio tra morte fisica, a cui peraltro ogni uomo e donna sono destinati, e fine della vita intesa in senso pieno, che è esclusivamente nelle mani di Dio.

Come i passeri e i capelli del capo

Nei vv. 29-31 troviamo la rassicurazione di Gesù sul fatto che Dio dà valore a ogni sua creatura, anche la più piccola come un passero, anzi a ogni parte del corpo delle sue creature, anche la più ininfluente, come un singolo capello del capo. Già in precedenza, nel discorso della montagna (Mt. 6), Gesù invitava i discepoli ad affidarsi alla provvidenza di Dio durante la propria vita; nel nostro brano l’accento è chiaramente posto sul momento della persecuzione e quindi del potenziale martirio e della morte. Leggendo insieme i due discorsi di Gesù si vede come Dio sia presente sia nel momento della vita con la sua provvidenza, sia nel momento della prova.

Dio conosce l’uomo così bene da sapere anche quanti sono i capelli del suo capo, sono tutti contati e quindi hanno un proprio valore. L’affermazione sui capelli assume quindi un valore di rassicurazione per i discepoli, che sebbene esposti al rischio della morte fisica, non potranno essere strappati dalle mani del Padre.

Chi mi riconoscerà

I vv. 32-33 sono costruiti attorno alla quadruplice ripetizione “davanti agli uomini”. Gesù chiarisce che rinnegare lui davanti agli uomini porterà alla morte dell’anima e del corpo da parte di Dio. Questa affermazione è forte, soprattutto se si tiene conto che il verbo “rinnegare” viene usato nel rinnegamento di Pietro (Mt. 26, 70.72). Questo da una parte sottolinea la gravità del rinnegamento, dall’altra rende evidente come la punizione minacciata da Gesù non sia “garantita”, dopo il pentimento e il pianto amaro di Pietro.

La testimonianza del discepolo

La testimonianza nasce dall’incontro personale con Gesù Cristo nello Spirito Santo. Essa è così frutto di una relazione in cui la conoscenza, sempre amorosa, è dentro un contesto di invocazione e di preghiera. Si tratta di una relazione che non si risolve solo in un momento emotivo, seppur autentico. In questa relazione infatti entra in campo tutta la concretezza della vita del credente, spalmata nel “continuum” della sua esistenza sia nelle crisi che si attraversano nelle sue varie fasi.

All’interno di questa relazione il credente individua stili e atti concreti di testimonianza di quello che a mano a mano comprende dal suo dialogo con Dio, superando ogni resistenza e ogni esitazione di testimoniare concretamente la propria fede.  A volte può prenderci una vera e propria paura che nasconde una mancanza di fiducia in Dio. E’ vero, noi crediamo in Dio!  Ma la mia fiducia diventa pieno affidamento in lui?

La soluzione evangelica alla paura non solo può dipendere dal richiamo al coraggio personale o a energie interiori, ma soprattutto nel legame che ci stringe al Padre. Così come avviene tra un bimbo, che ha avuto un incubo notturno, e il proprio padre o la propria madre. E’ l’abbraccio affettuoso dei suoi genitori che gli fa superare la paura.

Pertanto, al di là della giusta individuazione delle diverse tipologie di paure e delle loro motivazioni di superficie, occorre accettare la sfida di scendere sempre più nella propria interiorità, laddove si svolge la vera lotta spirituale, perché finalmente ci si possa fidare di Dio, fino alla fine.

La paura è una brutta compagna che tarpa le ali alla speranza, smorza gli entusiasmi, riduce la voglia di spendersi con tutte le proprie energie per un progetto grandioso. Questa paura, il Signore, deve averla letta negli occhi e nel cuore dei discepoli: per questo continua a ripetere a non aver paura. A non aver paura degli uomini, delle loro minacce, delle loro iniziative messe in atto per screditare il discepolo. E perché non dovremmo spaventarci, Signore? Il motivo tu ce lo tratteggi con semplicità: la nostra vita è nelle mani del Padre tuo. Egli si prende cura anche dei passeri che volano liberi nel cielo, Egli è il difensore e il custode della nostra esistenza.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Busia, 2023; Torcivia, 2023; Laurita, 2023.