Costume

Mollo tutto e me ne vado! Gli Italiani che emigrano / Puntata 2

Una delle attrazioni dei Caraibi è il ballo. Merengue, bachata, salsa e adesso il reggaeton sono quelli più in voga. In Dominicana, a Puerto Rico, Cuba e in genere in tutto il Caribe si canta e si balla sempre. Ogni occasione è buona. Ballare è un modo per star bene, comunicare, divertirsi. Una frenesia che contagia chiunque. In Italia pare ci siano 17.000 scuole di ballo con 4 milioni di iscritti e nella maggior parte dei casi i balli latini e caraibici la fanno da padrone. Nelle discoteche delle città e della costa, nord o sud, ma anche in spiaggia, per strada, si balla e si canta continuamente. Chiunque lo fa. Bambini o grandi. I giovani hanno le cuffie all’orecchio, ascoltano Daddy Yankee, Ozuna, Maluma, Bud Bunnie, Backie G, Natti Natasha, Nicky Jam. Sono loro le star del reggaeton che si balla con il perreo. Le natiche della donna si accostano al ventre dell’uomo e in questo agitarsi erotico si svolge la danza. Il reggaeton, per capirsi è quello di “Despacito” di Luis Fonsi e Daddy Yankee, 7 miliardi di link sui social network. I cantanti sono per lo più portoricani ma c’è anche qualche dominicano, se non altro d’origine, come Nick Jam o Natti Natasha. La bachata invece è tutta dominicana ma il sound attuale, più internazionale, si costruisce nelle sale d’ìncisione di New York, dove vive Romeo Santos, il massimo esponente del genere e Prince Royce, l’altro bachatero che spopola. La bachata si ascolta dalle orchestrine sulla spiaggia o nelle emittenti radiofoniche 24/7. Il grande poeta di questo genere è Juan Luis Guerra, un monumento della musica e della cultura del paese e musicista di fama internazionale. È lui che ha riscoperto questo ritmo che originariamente parlava solo di amori tristi e si cantava nei bordelli e nelle feste di campagna. I festival e i concerti di merengue e bachata non finiscono mai e c’è sempre uno spettacolo da godersi con Raulin Rodriguez “El Cacique”, Hector Acosta “El Torito”, Anthony Santos “El Mayimbe” o Frank Reyes “El Principe de la Bachata”.

Conviene investire in terreni, case e coltivazioni di caffé e cacao

Chi viene in Repubblica Dominicana vuole star bene e divertirsi, certo ma se capita l’occasione di fare affari non si tira indietro. Quando mi chiedono in cosa si potrebbe investire, io dico sempre due opzioni: case da rivendere o da affittare, qui è sempre estate e le vacanze potenzialmente potrebbero non finire mai e le piantagioni di cacao. Il cacao dominicano è uno dei migliori al mondo. Conosco importanti cioccolatieri nostrani che hanno acquistato delle fincas per produrselo in proprio, in quantità modiche o significative. Dipende dall’investimento. Nel lungo periodo può essere un vero affare perché, anche grazie ad una serie di accordi commerciali che la Repubblica Dominicana ha sottoscritto con la UE, il paese può esportare tutta una serie di prodotti all’interno del mercato europeo. La Repubblica Dominicana deve rispettare le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio anche per quanto riguarda gli standard sia di lavoro che di tutela ambientale. Fattore importante nell’ottica di chi investe, perché rappresenta una garanzia dei parametri internazionali. Dal 2009 la Repubblica Dominicana può esportare senza dazi doganali in Europa e anche negli Usa. Ci sono cooperative stile kibbuz che producono solo cacao di qualità e lo vendono ai grossisti per la “seccattura”, che deve essere fatta a regola d’arte per avere un prodotto adeguato alle esigenze del mercato. Una piantagione può andare dalle 150 alle 2000 tareas (1 tarea=628 mq). Costano tra i 25.000 e i 35.000 pesos dominicani, ovvero tra i 450 e i 640 € a tarea. In parole povere una piantagione di 150 tarea (95.000 mq) la compri con 67.500 €! Poi però ci deve stare qualcuno di fiducia, altrimenti l’haitiano che ci lavora, senza controllo, si ruba la metà del raccolto e tutta la frutta delle piante di guineo (banane), mango, chinola (frutto della passione), piña (ananas) e via dicendo.

Le case le trovi anche da 40.000 dollari in su… decenti, stile europeo. Quelle dei barrios poveri costano al massimo 6-10.000 dollari, ma sono poco più che baracche. Con 200.000 dollari prendi un bell’appartamento con tutti i comfort. Se è in un residenziale devi aggiungere circa 350 dollari al mese per la luce, gas, immondizia, più la cura del giardino e della piscina e per la guardiania all’ingresso e di notte. Non succede mai nulla, puoi dormire con la porta aperta. Se poi vuoi una casa con le finestre all’europea, con i bagni all’europea, anzi all’italiana, perché in questo campo siamo i primi, allora devi andare in capitale da Cerarte, dove Angelo Viro, un siciliano emigrato qui tanti tanti anni fa ha costruito un piccolo impero nel settore. Tutta roba importata. Cara ma di gran stile. Stai come un re. A Sosua c’è Aldo Breda, con sua moglie Roberta, non solo costruisce case molto belle e a buon prezzo ma se vuoi trasferirti ti dà l’assistenza necessaria e ti trova anche una occupazione al tuo livello. A Punta Cana c’è Fabio La Rosa, costruisce case e ville per centinaia di migliaia o milioni di dollari. L’arredo interno arriva tutto dal nord Italia. Non hai problemi, la sua assistenza ti aiuta in qualsiasi cosa, anche ad affittare la casa quando torni in Italia.  Gli affitti variano tra i 1.500 e i 3.000 dollari al mese per un appartamento, dipende dov’è, dipende com’è. Tu non porti nulla dall’Europa. C’è tutto, anche il ferro da stiro e gli asciugamani.

Se a dirigere le costruzioni sono i dominicani meglio soprassedere

Qui è sempre caldo, alle finestre nelle baracche i vetri non ci sono ma solo delle persianine a doghe mobili, per non far entrare la pioggia. La quale comunque sbatte in maniera assordante sui tetti di lamiera. Mentre l’aria passa dalle crepe tra i mattoni e nello spazio che resta tra il tetto e le pareti, non congiunte. Insieme all’aria passano anche le mosche e le zanzare, tra cui quella che può dare il “dengue” un male ancora non debellato che porta alla morte certa. Ma questa è la realtà dei suburbi. Le case all’europea sono costruite di mattoni e calce coi tetti e vetri scorrevoli alle finestre. Non c’è la cultura degli infissi. Se  le case le hanno costruite i dominicani hanno sistemi antiquati e occasionali di rete elettrica. Si mettono i cavi nel muro senza canaline e fanno dei collegamenti strani per cui prendono la corrente da pali diversi. Succede che vada via la luce a una parte della casa e non a un’altra. Vivevo in un bell’appartamento a Perla Marina, un comprensorio di ville e condomini protetti, in riva all’Oceano, molti km di spiagge incontaminate, boschi, giardini, piscine, fiori, pace e tranquillità. Ma se pioveva troppo saltava la luce, se passava un uragano a largo della costa potevano cadere degli alberi e trascinarsi i pali della luce. Tuttavia, anche se succedeva di venerdì, sabato mattina c’era già la squadra di tecnici a riparare il tutto. Tagliavano, buttavano il vecchio ai lati del bosco e piazzavano i pali e i cavi nuovi. Esattamente come prima, accanto ad alberi che nessuno pota da anni, pronti a cadere al prossimo vento di tempesta. Restavo senza luce per delle ore ma la “planta” (un inversore) funzionava con le batterie accumulate per i servizi base, meno la “nevera”, il frigorifero e allora dovevi sopperire col ghiaccio comprato al “colmado”. Un’economia di sussistenza che sembra un po’ avventurosa per noi europei. Abituati a tirare la catena dello scarico del cesso con la carta igienica dentro. Guai a farlo qui. La carta igienica va nel cestino, lo scarico è solo per le urine e le feci. Va tutto nel settico, la cosa che si costruisce prima della casa, senza fondamenta o quasi, con impalcature improvvisate e rischi assurdi per i muratori. Qui non c’è sindacato, non ci sono diritti, se muori t’ha detto male. Se sei haitiano poi peggio ancora. Le paghe sono basse, ridicole. Con 10-12.000 pesos (200€ circa) dovresti campare un mese te e famiglia.

Le strade sono meglio di quelle di Roma

Una sera sentiamo un gran rumore per strada. Mi affaccio e trovo i miei vicini di casa al balcone e in giardino a gustarsi lo spettacolo. Una squadra di 30 operai sta asfaltando le vie interne del residence, che sono crivellate di buche. In due notti tutte le strade tornano come nuove. Perché qui lo fanno di notte non come in Italia… Un manto di catrame nerissimo sul quale le gomme dei nostri fuoristrada corrono felici. L’amministrazione finalmente s’era convinta a eliminare le buche dalle nostre vite e la stessa cosa sta accadendo sulla statale tra Sabaneta e Puerto Plata. Finalmente! Penso che Roma, caput mundi, non ha questo ben di Dio di asfalto e noi nel terzo mondo si! L’operazione asfalto è un business. Si tira sopra il vecchio un paio di cm di catrame e si livella. Così facendo restano delle crepe che il sole e la pioggia futura apriranno. L’acqua filtrerà di nuovo e ancora si apriranno buche che dovranno essere tappate. Un affare che non termina mai perché ad ogni copertura parte il giro delle mazzette. Come da noi. Per questo le cose non durano più di tanto. Ma comunque le strade di Santo Domingo sono meglio di quelle di Roma e anche l’immondizia. che per strada c’è, è meno evidente.

Con le mance si ottiene tutto

Chi lavora nei residenziali prende anche 17-20.000 pesos e la propina, che muove il paese. La propina muove tutto. Tutto si può con una propina. Se ti ferma la polizia, se rimani senza benzina per strada, se hai bisogno di una cosa urgente al supermercato e non puoi andarci… tutto puoi avere, basta chiedere e dare una propina. In questo non c’è paragone con l’Italia, dove tutto è complicato, anche le cose più stupide. Certe volte la propina è obbligatoria. Se ti fermano alla dogana appena arrivato, con le valigie chiuse e sigillate dal nastro di sicurezza, difficile da tagliare, e il funzionario ti fa capire che in cambio di una propina non ti farà aprire le valigie e perdere quindici minuti preziosi, per cui puoi perdere il taxi che ti porterà in albergo, che fai? Anche se nella valigia non c’è niente di compromettente, solo mutande e vestiti o, al massimo, un pezzo di parmigiano reggiano che hai comprato perché “non si sa mai” e c’è sempre il rischio che te lo sequestrino. L’idea di un piatto di spaghetti al pomodoro senza il tuo formaggio grana ti spaventa e sganci i 20 € e passi di corsa. Poi scopri che al supermercato il parmigiano c’è e c’è anche il pecorino, magari non sono i migliori reperibili in Italia ma sono italiani e questo basta. Costano 300/400 pesos l’etto, è vero ma li spendi volentieri, in ricordo della perduta Patria!

Le comunicazioni sono molto efficienti ma un po’ sgarrupate

Il servizio delle comunicazioni viarie in Repubblica Dominicana è molto efficiente ma un po’ sgarrupato. Si basa sui grandi bus della Metro, Caribe Tours, Expreso Vegano e altri, che funzionano come corriere da città a città con orari e tempi ben rispettati, costi bassi e un discreto comfort per il viaggiatore, con bagno e aria condizionata a palla. Oppure sui carritos e le guaguas che pure collegano tratti più brevi tra città e svolgono un servizio condiviso, ovvero si viaggia insieme e ognuno paga la sua quota, in genere 25/30 pesos. Ma se paghi di più ti puoi comprare due posti per stare più comodo o tutto il taxi con 200 pesos, per viaggiare senza fermate. In città funzionano i taxi come da noi o Uber, che è il servizio migliore e mi fa ridere a pensare che a Roma non ci sia. Funziona col cellulare e la carta di credito. Un tragitto medio costa 2/3 dollari. Efficientissimo e pulito. Il sistema cittadino si basa anche su carritos collettivi, che fanno il tragitto da un capo all’altro dei grandi viali delle città maggiori o sui motoconchos, motociclisti che sono pronti a trasportare di tutto, fino a quante persone possono far salire sui loro motorini cinesi o qualsiasi pacco riescano a trasportare: al costo dai 50 pesos in su, dipende dal trasporto. Ugualmente svolgono un servizio di consegna rapida. Se devi inviare un pacco, una lettera, comprare le sigarette, un sacco di ghiaccio… lo dici al motoconcho più vicino che lo fa per te in cambio di 50 pesos (1 dollaro).

Devo comprare un “carro” (auto) e mi consigliano di recarmi a Moca, la città delle auto. Un centro urbano dove c’è la più alta concentrazione di concessionari per auto, moto e mezzi pesanti. Vado con un amico e un taxista dominicano che funge da garante. Trovo una Ford Escape con cinque anni sulle spalle e vogliono 13.000 dollari. Pare in buono stato. La compro. Sono felice. Il bollo si chiama Marbete e costa 1.500 pesos all’anno. L’assicurazione 55.000 pesos ma copre tutto, è una “casco” con i massimali più alti. Dopo un anno scopro che la macchina non ha pressione quando accelero. Finché un giorno si ferma. Che ha che non ha… bisogna portarla da Tito, il meccanico. Lo chiamo e lui manda un ragazzo a recuperarmi. Una cordaccia sfilacciata lega la mia Escape a una Corolla malandata, che avrà più anni del Colosseo.  La corda si strappa quattro volte lungo il percorso di 15 km, che mi separa dal taller del meccanico. Durante una operazione di recupero della corda il ragazzo perde il telefono. Non potete immaginare cosa significhi qui! Perdere la madre lo farebbe soffrire di meno. Per fortuna un signore lo trova miracolosamente lungo la carretera e risponde alla chiamata. Telefono ritrovato. Mi sento sollevata anch’io. Tito mi dice che il danno non è da poco. Due valvole sono andate. Evidentemente questa macchina andava col GPL e questo ha danneggiato il motore. Ovviamente non me l’hanno detto all’atto dell’acquisto e il garante non ha garantito una classica “ceppa”. La prossima volta, dice Tito, chiama me! Un altro amico, Daniele Guidoni, qui da oltre vent’anni, decide di comprare l’auto usata. Vado con lui per vedere come fa. Mette un dito nel tubo di scappamento e dà un giro. Se esce pulito è una fregatura. L’hanno lavato con l’olio. Se fai mettere in moto infatti sputa l’olio che c’è nello scappamento. Se invece il motore è a posto esce un dito annerito dalla fuliggine. Una polvere nera nera che non unge. Ma è raro. I tubi di scappamento sono quasi tutti puliti.

Abbondano le auto giapponesi e americane. Difficile tra le usate che dopo anni ci siano ancora tutte le parti originali. Trovi una Nissan con un motore Honda. Una Mitsubishi con parti del motore Hyundai… Il dominicano “ahorra”, risparmia acquistando quello che costa meno per riparare il mezzo. Siccome i pezzi di ricambio arrivano spesso da Miami o da più lontano, se si può aggarbare con una soluzione a basso costo si sceglie quest’ultima. Bisogna stare attenti al contachilometri che non sia artefatto. Un trucco che si usa anche in Italia. Le gomme consumate e il consumo dei sedili e di altre parti del motore svelano il gioco.  Ma ci sono anche le occasioni. La solita berlina della signora anziana che è stata poco sfruttata, oppure l’auto di quello che deve andarsene di corsa e ha bisogno di realizzare subito.  Avere un “carro” ti salva dagli autonoleggio, che ti succhiano il sangue, ma ti espone agli incidenti e alle loro conseguenze.  Comunque ora ho la garanzia di Tito. Un omino che sa sempre come riparare un motore. Nel suo taller in fondo a una strada sterrata che dopo la pioggia non è percorribile nemmeno a piedi. Non ricordo se ci siano parti in muratura nell’officina, forse si, ma il tetto è di lamiera arrugginita dalle intemperie. In alcuni punti è bucato ma quando piove l’acqua miracolosamente non entra. Non mi ha spiegato perché, s’è solo messo a ridere, come fosse una buena suerte.

Redazione

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