Pedernales è una città di 20.000 persone, fondata nel 1927, ma la strada per arrivarci da Oviedo venne costruita nel 1934, per i militari. Lungo la strada se ne incontrano ogni 70/80 km. Davanti alla caserma ci sono due “policia acostado”, dei rilievi di asfalto che rallentano il traffico, impedendo che si superino a forte velocità. In genere sono nei pressi delle scuole e dei centri più frequentati da pedoni. I poliziotti controllano le guaguas (bus e pulmini) per cercare gli haitiani senza visto e rimandarli indietro. Per arrivarci da Santo Domingo ci vogliono almeno 6 ore di auto. Le principali attività sono l’allevamento di vacche, la produzione di caffè (in collina) e l’agricoltura di frutta e vegetali. Anche la pesca dà da vivere a non poche famiglie, grazie all’abbondanza di aragoste, lambì, chillo e dorado, nelle acque della costa. Si trovano anche filetti di tonno, che la pesca d’altura, a largo, consente di incontrare ma il problema è che il pesce o viene fritto o viene cucinato alla criolla, ovvero con una salsa di pomodori che rende tutto dello stesso sapore.
Nella Repubblica Dominicana il 50% della popolazione è cattolica ma è quella che si nota di meno. Sono molto attivi invece i “Cristiani Evangelici” che mostrano spesso sui vetri delle auto e sui muri delle città frasi come “Dios es mi guia!” “Cristo viene, arrepientete!”. I loro sacerdoti sono pastori, spesso con mogli e figli, e i fedeli sono molto uniti e ferventi frequentatori delle svariate chiese, magari ospitate in garage e in piccoli appartamenti, dove si canta tutti insieme durante le messe. Ci sono anche gli atei tra i professionisti e non mancano mai gli incomprensibili Testimoni di Geova. I cinesi hanno portato il buddismo, dall’Europa e dagli Stati Uniti sono arrivati gli ebrei e c’è anche qualche islamico, immigrato dalla Palestina o dal Libano. Non esiste intolleranza religiosa e tutte le confessioni hanno pieno diritto di esistenza e di manifestazione. Convivere si può. La tolleranza consente che anche una sorta di animismo afro americano pervada questa cultura. Lo si incontra nella comunità haitiana ma anche molti dominicani ne sono pervasi. Il magico è presente un po’ in tutta la cultura latino americana, quindi non stupisce se spesso è proprio il magico a prevalere sulla fede religiosa. Dio è quello biblico, padre padrone e punitore. “Si Dios quieres” è la frase che si ripete sempre in qualsiasi circostanza del giorno. “Como estas?” “Bien, si Dios quieres!” “Donde vas?” “A mi casa, si Dios quieres!”
Si ricorre alla bruja o al brujo (maghi) in caso di necessità estrema. Un’insegnante di catechismo haitiana, di giorno si occupa dei bambini e di notte esercita la professione di prostituta, concedendosi a stranieri e dominicani per 500 o 1000 pesos. Giustifica la sua contraddizione col fatto che di notte “Dio non la vede”! Una bambina di sei mesi con un forte mal di pancia è stata portata dal brujo haitiano, che le ha inciso il pancino per far uscire il male. Purtroppo hanno dovuto portarla di corsa all’ospedale per curare la infezione scatenata dal mago! Non sono pochi che credono al malocchio, all’invidia malefica, alla sfortuna e alla fortuna. L’ignoranza pervade molti strati della società. Ho scoperto che nella popolazione più povera non si hanno le minime nozioni del tempo e della geografia. Quando il sole tramonta va nel mare. Non si sa cosa sia il fuso orario. Non se ne comprende l’esistenza. Se gli dici che vieni dall’Italia non sanno dove sia. Quando dico che a Roma c’è papa Francesco, l’haitiana sorride: “Anche il mio papa si chiama Francesco!” non immagina possa essere lo stesso. Un gatto può essere indemoniato a portarti malattie e danni. Così come la moglie e i figli sono proprietà del marito, anche quest’ultimo è della moglie che sa essere violenta quanto lui in caso di tradimento. Tuttavia i casi di donne con figli avuti da più uomini, mariti o meno, sono frequentissimi e anche se non sempre c’è di mezzo un divorzio, le famiglie appaiono con una sfilza di fratelli, sorelle, cugine e nipoti da perderci la testa. Alla fine potrebbero essere tutti parenti.
Pedernales è a 4 km dalla frontiera con Haiti. Qui si capisce il gioco che fotte sempre i più deboli mettendoli in guerra tra loro. Ogni giorno passano il confine qualche centinaio di haitiani. Sono più scuri dei dominicani, parlano una lingua francofona, sono più poveri, questo basta a farli sentire minacciosi, indesiderati, odiati. Non dovrebbero poter passare la frontiera senza un visto ma con 25 pesos i militari li lasciano entrare, anche perché questo viene consentito. Altrimenti Pedernales chiuderebbe. Sono gli haitiani che puliscono, scaricano, cucinano, fanno i lavori che i domenicani, seppur poveri, non vogliono fare. Anche qui dicono “prima i dominicani” ma senza quei derelitti l’economia si fermerebbe. È stato provato. Tempo fa un haitiano che lavorava in campagna ammazzò due dominicani. Probabilmente per un diverbio sulla paga. Quando tu tradisci un haitiano lui non ci pensa due volte: t’ammazza. Così dicono qui, per farli sembrare dei selvaggi. Ma se non li paghi o li vuoi fregare ditemi voi chi è il primo responsabile del diverbio. Comunque questo omicidio efferato scatena la rivolta. Via gli haitiani da Pedernales! Il grido va di bocca in bocca e ronde armate di bastoni e coltelli girano minacciose spingendo i poveri haitiani, che non c’entravano niente, assieme alle signore delle pulizie, fuori dal confine. Nel giro di due settimane molti esercizi chiudono. La città pare morta. Non si lavora, non si produce. Nello smistamento dei vestiti, in Haiti, dove arrivano balle di abiti smessi dagli americani del nord, tutto si ferma. Se non ci sono i dominicani a comprare gli abiti usati dei gringos, non si sa a chi vendere quelle pezze vecchie e malandate. Ogni balla costa 3.000 pesos (56 € circa). A Santo Domingo, nei mercatini, come quello che si tiene dove inizia la autopista di San Cristobal, arrivano a 15.000 pesos (265 €). Dentro i pantaloni dei gringos si trovano i dollari dimenticati dai vecchi proprietari. Con questi soldi si fanno buoni guadagni. Si trova di tutto, oro, argento, catenine, anche biglietti da 100 dollari! Per questo è un lavoro ambito e gli haitiani che lo fanno, rigano dritti con gli orari, non è facile trovare un lavoro che renda. Ma se non vengono a comprare i dominicani, tutto muore. Nei mercati degli haitiani si vendono le cose che si riescono a racimolare dagli aiuti: medicinali scaduti, garze, giocattoli vecchi, cerotti, giacche di lana, coltelli, frutta in lattina, patate del Belgio… sono gli aiuti alla povera e martoriata terra di Haiti, travolta dai tornados e dai terremoti. L’occidente “buono” invia gli aiuti, che poi si scoprono essere immondizia. Cose inutili, scadute, rifilate ai diseredati del mondo. Questo siamo noi, i buoni, i generosi, i cristiani. Diamo a chi ha bisogno quello che non ci serve. E loro del resto che fanno? Se lo rivendono. Un girone dell’inferno dantesco non sarebbe potuto arrivare a una vergogna simile. In città aspettano il Presidente Danilo Medina. Ci sarà l’ampliamento dell’Ospedale. Per costruire un’altra ala del nosocomio la cui prima pietra era stata posta molti anni fa.
A Pedernales conosco Gianni e Viviana. Sono qui da tre anni. Lui di Milano lei di Trento. Hanno ciascuno una famiglia alle spalle e dei figli in Italia. Qui hanno messo su un alberghetto di dieci camere, lindo e accogliente. Ma manca l’essenziale per fare una cucina veramente italiana. Si trova solo un tipo di pasta, lattine di salsa dominicane, non si trovano formaggi, salumi, il vino, anche l’olio extravergine d’oliva è una rarità. Il supermercato più vicino e a Banì, 4 ore di auto solo andata. Per Capodanno hanno trovato uno spumante spagnolo da schifo… ma la gente viene a Pedernales per via della Bahia de las Aguilas, una delle spiagge più belle al mondo. Sabbia bianca e chilometri di acqua cristallina, poi turchese e a largo di un blù intenso. Per arrivarci si devono fare una trentina di chilometri di strada, prima asfaltata e poi sterrata. Si passa davanti a Cabo Rojo dove il tornado Matthew ha scaraventato una vecchia bagnarola, che trasportava la bauxite, proprio davanti alla spiaggia della stazione militare. Il cementificio andino è stato abbandonato dai colombiani e così cento famiglie hanno perso la loro sussistenza. Anche la miniera di bauxite è chiusa. Questo minerale è ricco in ferro e povero in silice. Importante per l’industria metallurgica. Come in molti altri casi la Dominicana è ricca di tante cose e povera per tecnologia e capacità di sfruttamento. In questa zona del sud, dimenticata per troppo tempo, se si sapessero sfruttare le risorse che ci sono, gli abitanti vivrebbero meglio degli svizzeri. La cattiva amministrazione, di cui noi Italiani sappiamo qualcosa, purtroppo non lo consente.
In genere le compagnie sfruttano questi territori finché conviene loro. Quando trovano un altro luogo dove si può sfruttare meglio le persone, abbandonano il primo di punto in bianco. Mentre percorro la strada polverosa di terra rossa passo davanti all’ Eco del Mar, località la Cueva. Un resort di Aldo Meroni, una specie di Flavio Briatore esportato qui. Meroni è un manager milanese. Si vocifera di amicizie di dubbia onestà ma sono voci tutte da provare. Ogni tenda/abitazione costa 250 dollari a notte per due persone + 60 dollari per ogni persona in più. Sono tende montante su strutture di legno. Un finto arabo avventuroso, in un luogo incantevole. Lo spreco più assurdo con attorno la miseria più nera. Il terreno di 63.500 metri quadri, venne acquistato dal manager (con alcuni soci) direttamente dal Governo, per 231 dollari al metro quadro: 14.687.500 pesos (ovvero 294.000 dollari) nel 2011. Sirio, Orion, Polaris e Antares possono ospitare da 4 a 6 persone. Tutto ha l’aria di provvisorio ma è ben pensato. Chi ci vuole arrivare deve prenotare un’auto, nessuno va a prendere gli ospiti all’aeroporto della Capitale: Las Americas, che tra l’altro è a circa 7 ore di viaggio. Quello internazionale di Barahona Maria Montez, si trova invece a tre ore, ma non ci arrivano molti voli. La strada dalla Capitale Santo Domingo non è affatto male. Solo che i dominicani guidano da matti. Si supera a destra o a sinistra indifferentemente, senza limiti di velocità, senza doppie righe o meno, in curva o sui dossi. Puoi trovare, in momenti diversi, cani, capre, cavalli e vacche in mezzo alla strada, quando meno te l’aspetti. Non puoi distrarti, specie in prossimità delle città o nei centri abitati, dove le moto di marca cinese, sbucano da destra e da sinistra, con sopra da uno a sei passeggeri, in qualche caso anche otto, di cui almeno due bambini. Il casco è optional, anche se la legge lo imporrebbe. Un napoletano si troverebbe a suo agio, chiunque altro viene preso da paura.
I cani che vedi per strada non sono di nessuno. O forse i proprietari non si ricordano più di avere un cane e lo lasciano libero di girovagare. Si formano così canizze e scontri dai quali sarebbe meglio stare lontani. Gli animali sono smagriti, gracili, pieni di zecche e pulci. Tempo fa dei bambini sono morti per la rabbia. Una signora ha preso la leptospirosi per un morso di un ratto. La sporcizia è dappertutto. Viene raccolta ogni giorno ma molta plastica e cartacce restano sparse ai lati delle strade e sui pochi giardini del Parque Central, sulle spiagge ma non sulla Bahia de las Aguilas. Arrivarci è un viaggio che si permettono solo i turisti e quei quattro ristoratori che sfruttano la situazione. Puoi mangiare all’imbarcadero, dove trovi una scialuppa per arrivare alle spiagge bianche in 15’ per 2.000 pesos. Se si è in dieci si divide, sennò si paga il totale, come sui carritos che fanno da taxi per strada. Si concorda l’ora del ritorno e loro sono puntuali al minuto. Se vuoi andare in macchina c’è una strada, ma è accessibile solo a un 4×4, perché in due punti di salita e di discesa è solcata da buche tremende, attribuite sempre all’uragano Matthew. In realtà sono i pescatori che le tengono in quelle condizioni, così il turista è costretto ad affittare la barca. Stoicamente ho voluto tentare di andare a piedi. “Guarda che sono 6 km!” Mi ha detto il pescatore per convincermi, ma io ho una sola parola. Alla fine della prima salita mi manca il fiato. Ma ce la faccio. Bevendo acqua e coprendomi il capo arrivo alla Bahìa. Un paradiso. L’acqua è trasparente. T’invita a fare un bagno che non avrebbe mai fine. Cocci di caracoles, coralli e gusci vuoti di conchiglie coprono l’arenile. Il sole spacca le pietre, il vento ti aiuta a respirare. Le piante offrono un’ombra di sollievo. In questa parte dell’isola al massimo piove per 10 giorni in un anno. In altre parti può piovere tutti i giorni per metà anno, ma a intervalli: acquazzoni che si alternano col sole del tropico. Qui non ci sono palme, solo sterpaglie e alberi bassi, una vegetazione marina. Altrove le piante hanno una ricchezza di tonalità di verde mai vista prima. Antolin del Doña Charo mi prepara una comida caribeña con cangrecos y langosta, tutto per 1.000 pesos compreso la birra. Nel mare gabbiani e pellicani si fanno dondolare dalle onde. Una brezza fina ti protegge dal calore tropicale.
Questa è una zona in forte espansione turistica. Pare che la miniera l’abbiano chiusa per consentire uno sviluppo in questa chiave. Ci credete? Intanto se ne parla dal 2015 e non si vede niente. Per dare sviluppo a questa zona basterebbe creare un servizio di fornitura di prodotti europei o americani con un servizio di furgoni frigorifero e dei congelatori o magazzini attrezzati a Pedernales. Lo dice Gianni, l’albergatore milanese di Pedernales, che sa di cosa parla. Non servono grandi alberghi da 4000 camere, golf e boutique se prima non crei le infrastrutture. Le strade per la Bahia possono anche restare sterrate, ma è il cibo di qualità che manca. Poi i grandi alberghi non aiutano la popolazione. Fanno solo alzare i prezzi dei terreni e il costo della vita. I lavoratori dei grandi alberghi devono avere una formazione che qui non hanno, bisogna trovarli fuori dalla provincia. Trasferirli qui alla fine del mondo e trovare loro una casa. Rimettere in sesto l’aeroporto, attrezzare l’ospedale e il pronto soccorso, queste sono le cose che danno serenità al turista. La zona non ha solo la Bahia de las Aguilas, c’è la Laguna di Ovideo nel Parque Jaragua, che è un sito interessante con 28 kmq di superficie e 24 isole. Una laguna di acqua salatissima e pesce a buon mercato, che si può visitare in barca per vedere la fauna locale, con flamingos (fenicotteri) e oltre 60 specie acquatiche come: cangrecos, garza, iguanas, gaviotas, jutia, lagartos, la iguana rinocerontes. Più a nord ci sarebbe anche il Lago Enriquillo, con altre attrattive naturalistiche e una delle maggiori biodiversità del paese.
La strada per tornare indietro, all’alba, è libera completamente. Il benzinaio mi offre un bicchiere di tè all’jengribe (zenzero) che mi sveglia del tutto. Guido per circa mezz’ora senza incontrare nessun veicolo, solo due sparute mandrie di vacche che cercano un ingresso tra il filo spinato che separa l’asfalto e il campo. Un cane sventrato macchia la striscia di catrame grigio. Viaggio verso est. Il sole nascente mi dà fastidio alla vista. Passo tre stazioni di polizia prima di arrivare a Oviedo. Pedernales è già un ricordo ma la sensazione di libertà e di vicinanza con la natura che vivo qui, non l’ho mai provata prima.
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