Ddl Zan, il Vaticano ha attivato i canali diplomatici con il governo italiano, attraverso il Segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher.
Il Vaticano ha quindi chiesto formalmente di rimodulare il disegno di legge Zan. L’atto è stato consegnato il 17 giugno. Si tratta di un evento epocale che non accadeva dai tempi del Concordato. Mai finora, almeno pubblicamente e apertamente, la Chiesa era intervenuta nell’iter di approvazione di una legge italiana. Abbiamo raccolto l’analisi di Monsignor Tommaso Stenico, teologo e psicoterapeuta.
“La nota della Santa Sede è un atto dovuto. C’è un concordato che regola i rapporti tra stato italiano e stato vaticano, che entrambi sono tenuti ad osservare. Nel 1984 è stato rinnovato ed è questo che ci consente la disanima del Ddl Zan. Quando la Santa Sede si accordò con l’Italia nel 1984 si decretarono al comma 3 dell’articolo 2, due aspetti fondamentali: la libertà di organizzazione del culto e la libertà di riunione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di espressione.
La Santa Sede non si pone in netto contrasto con il Ddl Zan, infatti non chiede di cassarlo ma di rimodularlo. Dobbiamo ammettere con coraggio che siamo una società omofoba. Recenti fatti di cronaca violenta e bullismo ce lo testimoniano. Nel nostro retaggio cultura c’è un forte tratto omofobo.
Alcuni punti del Ddl sono a mio avviso sono però critici. Occorre un chiarimento sul concetto di espressione sul tema dell’omosessualità e dei diversi orientamenti sessuali. Un conto è la libertà di espressione, un altro conto è l’offesa. Non possono essere sovrapposti. Che si rischi il carcere o un’ammenda per un’opinione che non contiene offese e ingiurie, è molto grave. Questo non deve accadere, tuttavia al momento, per come si presenta il disegno di legge, questo non è garantito. Il Ddl Zan si presenta ambiguo e con maglie troppo larghe.
Il testo dovrebbe essere riformulato al fine di distinguere l’acrimonia contro la persona omosessuale dalle osservazioni sulla sessualità umana”.
“Come psicoterapeuta rilevo anche una certa superficialità rispetto al discorso relativo all’identità di genere. Essa è per l’antropologia, la psicologia e la filosofia un problema complesso, che questa legge finisce per appiattire e banalizzare. Identificarsi con un genere diverso da quello biologico è frutto di un percorso, non è un umore della giornata. E’ un travaglio enorme e ponderato. Il concetto dell’identità di genere non deve essere minimizzato e sottovalutato. Non è questa la strada per contenere ed evitare le aggressioni omofobe.
Un altro aspetto è quello legato all’articolo 7, relativo all’educazione Gender nella Scuola. Che in tutti gli istituti scolastici, già anche nella scuola d’infanzia, si debba parlare di transessualità, lo trovo inopportuno. Su questi aspetti invocherei chiarezza, circoscrivendo con più precisione gli ambiti di riferimento. Credo che la legge stessa potrebbe beneficiarne ed essere anche più accettata dall’opinione pubblica”.
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