Una circoncisione fatta in casa, e finita in tragedia. I genitori sono immigrati nigeriani. A praticare gli interventi è uno statunitense di origini libiche. A finire sotto i ferri (a proposito: quali? che strumenti ha usato l’improvvisato chirurgo?) sono i gemellini della coppia. Che hanno appena due anni.
Qualcosa va storto e la situazione precipita. Uno dei bimbi muore, l’altro viene ricoverato in gravi condizioni. Partono gli accertamenti di polizia. Si prospettano delle azioni giudiziarie. Qualche tipo di condanna sembra inevitabile, ma resta da vedere di che natura. E di che entità. E, soprattutto, con quali conseguenze per il padre e la madre. Ovvero con quali, eventuali limitazioni sulla loro potestà genitoriale.
Non è solo cronaca. È l’ennesimo corto circuito dell’immigrazione di massa. E dell’integrazione mancata. Come è fatale che accada quando i costumi delle persone di altre etnie siano incardinate su convincimenti di carattere religioso. Per loro sono dogmi inviolabili. Per noi sono tradizioni discutibili, che possiamo arrivare a consentire ma che rimangono delle scelte soggettive. Che in quanto tali non sono affatto indispensabili.
Il caso della circoncisione è esemplare. Lo Stato italiano ne ha riconosciuta la liceità, con la legge 101 del 1989, e successivamente il Servizio Sanitario Nazionale l’ha introdotta tra le prestazioni erogate. Ritenendola però, attenzione, una pratica religiosa e non terapeutica. E applicandole perciò una tariffa non troppo esigua, nell’ordine di alcune centinaia di euro.
Come riportato dal sito quotidianosanita.it, il presidente dell’Associazione medici di origine straniera e consigliere dell’Ordine dei medici di Roma, Foad Aodi ha sottolineato “che ormai le circoncisioni clandestine sono più del 35 per cento di quelle che si effettuano in Italia, per vari motivi economici e mancanza di strutture autorizzate dove si possono effettuare tali pratiche”. Stando così le cose, Aodi rinnova l’appello al Ministero della Salute “per autorizzare la circoncisione presso le strutture sanitarie pubbliche e private a livello nazionale con prezzi accessibili a tutte le famiglie musulmane ed ebree che tante volte sono costrette a tornare nei paesi di origine per fare la circoncisione, come ci informano tramite le numerose telefonate che riceviamo ogni settimana allo Sportello Amsi-Online”.
Come se ne esce? Gravando la sanità pubblica di un’ulteriore voce di costo? Accettando il principio della “libera autodeterminazione” individuale su ciò che è indispensabile sul piano medico e che pertanto andrebbe concesso, sempre e comunque, a spese della collettività?
Sono problemi quanto mai concreti. Sui quali gli “accoglitori seriali” farebbero bene a riflettere.
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