Napolitano giura e si commuove…ma non perdona

Il Presidente ai partiti: “Assumetevi le vostre responsabilità”

“La rielezione, per un secondo mandato, del Presidente uscente, non si era mai verificata nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in questo senso aveva lasciato – come si è significativamente notato – ‘schiusa una finestra per tempi eccezionali’.
Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima, ma eccezionale.
Perché senza precedenti è apparso il rischio che ho appena richiamato: senza precedenti e tanto più grave nella condizione di acuta difficoltà e perfino di emergenza che l’Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi sempre più stringente.
Bisognava dunque offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi: passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l’Italia.
È a questa prova che non mi sono sottratto”.

Il discorso di Giorgio Napolitano – un Giorgio Napolitano molto commosso in occasione del suo secondo giuramento di fronte alla Nazione – ha scatenato reazioni contrapposte.
Poco più di 2/3 del Parlamento (in termini numerici, gli stessi che lo hanno eletto) ha applaudito le parole del Presidente; freddi e distaccati invece i grillini.
Mentre Re Giorgio incita le forze politiche ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti del Paese, il Parlamento resta diviso nei tre grandi blocchi che si fanno guerra dal primo giorno di campagna elettorale.

Proprio questo è stato uno dei temi fondamentali del discorso del Presidente.

“Apprezzo l’impegno – ha affermato il Presidente – con cui il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta: quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento. Non può, d’altronde, reggere e dare frutti neppure una contrapposizione tra Rete e forme di organizzazione politica quali storicamente sono da ben più di un secolo e ovunque i partiti.
La rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del metodo democratico.

Le forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione, debbono comunque dare ora – nella fase cruciale che l’Italia e l’Europa attraversano – il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del Paese. Senza temere di convergere su delle soluzioni, dal momento che di recente nelle due Camere non si è temuto di votare all’unanimità.

Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica. Lavorare in Parlamento sui problemi scottanti del paese non è possibile se non nel confronto con un governo come interlocutore essenziale sia della maggioranza sia dell’opposizione.
A 56 giorni dalle elezioni del 24-25 febbraio – dopo che ci si è dovuti dedicare all’elezione del Capo dello Stato – si deve senza indugio procedere alla formazione dell’esecutivo. Non corriamo dietro alle formule o alle definizioni di cui si chiacchiera.
Al Presidente non tocca dare mandati, per la formazione del governo, che siano vincolati a qualsiasi prescrizione se non quella voluta dall’art. 94 della Costituzione: un governo che abbia la fiducia delle due Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le priorità e la prospettiva temporale che riterrà opportune.

E la condizione è dunque una sola: fare i conti con la realtà delle forze in campo nel Parlamento da poco eletto, sapendo quali prove aspettino il governo e quali siano le esigenze e l’interesse generale del paese. Sulla base dei risultati elettorali – di cui non si può non prendere atto, piacciano oppure no – non c’è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze.
Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto – se si preferisce questa espressione – si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni.
Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale.

Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche.
O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti.

Lo dicevo già sette anni fa in quest’aula, nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse finalmente vicino il tempo della maturità per la democrazia dell’alternanza: che significa anche il tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne imponga la necessità.
Altrimenti, si dovrebbe prendere atto dell’ingovernabilità, almeno nella legislatura appena iniziata.

Ma non è per prendere atto di questo che ho accolto l’invito a prestare di nuovo giuramento come Presidente della Repubblica. L’ho accolto anche perché l’Italia si desse nei prossimi giorni il governo di cui ha bisogno. E farò a tal fine ciò che mi compete: non andando oltre i limiti del mio ruolo costituzionale, fungendo tutt’al più, per usare un’espressione di scuola, da fattore di coagulazione.
Ma tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità: era questa la posta implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono”.

Senso di responsabilità, necessità di coesione e collaborazione, realismo politico sono gli ingredienti per uscire dalla crisi etica che ha afflitto la politica italiana.
Elementi che, secondo Napolitano, devono necessariamente coniugarsi con altrettante misure urgenti ed improcrastinabili, quale, ad esempio, la riforma della legge elettorale del 2005.

“La mancata revisione di quella legge – ha infatti sostenuto il Presidente di fronte alle Camere – ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovrarappresentanza in Parlamento.
Ed è un fatto, non certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di difficile governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto scegliere gli eletti”.

Dopo aver ricordato alle forze politiche che è necessario rivolgersi anche a imprese e lavoratori in difficoltà, che bisogna fare di tutto per risollevare la situazione del Mezzogiorno italiano, e che domani inizieranno le consultazioni, Napolitano ha concluso il suo discorso con queste parole: “mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione ‘salvifica’ delle mie funzioni; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce.
E lo farò fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno.
Inizia oggi per me questo non previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata; inizia per voi un lungo cammino da percorrere, con passione, con rigore, con umiltà.

Non vi mancherà il mio incitamento e il mio augurio.
Viva il Parlamento! Viva la Repubblica! Viva l’Italia!”.

 

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