Natale: Dio che si fa carne
Sempre ci commuove il fatto che Dio si fa bambino, affinché noi possiamo amarlo senza paura
Il vangelo della notte di Natale (Lc. 2, 1-14) comprende la nascita di Gesù nel suo contesto storico, mettendo in scena Giuseppe, Maria e il bambino e l’apparizione angelica ai pastori.
Il contesto storico
Con la sua sensibilità storica, l’evangelista Luca colloca la nascita di Gesù in uno scenario di dimensione universale. Tutto comincia oltre i confini della Palestina sulle rive del Tevere. La nascita di Gesù è inquadrata nella storia di Roma che coinvolge con un censimento tutta la terra. Cesare Augusto, acclamato come “principe della pace”, vuole contare i suoi sudditi (v. 1), è questione di tasse, insieme ai confini e truppe ausiliarie.
Tutti devono correre ciascuno nella propria città d’origine. Il mondo è in cammino per il decreto del padre-padrone del mondo. Sebbene censire fosse il segno di un potere incondizionato su di un popolo, e cioè averne il pieno controllo, Luca rivela che Augusto è un mero esecutore di un piano superiore, che prevede la nascita del Messia a Betlemme (Michea, 5, 1). La grandezza umana non mette soggezione all’Onnipotente. Inizia così, in modo misterioso, il legame tra Roma e il cristianesimo.
Il decreto di Augusto, in Palestina, ebbe l’effetto di produrre terrorismo, disordini e insicurezza. L’introduzione della tassazione segnò l’ora della nascita del movimento zelota, che nel 66 portò alla rivolta contro Roma: solo Dio ha il diritto di contare il suo popolo (cfr. AT). Giuseppe, uomo leale, non si lascia spingere dagli zeloti alla resistenza antiromana. Farsi registrare era violenza dei soldati del “principe della pace”, e violenza da parte di chi resisteva. Giuseppe “sale in Giudea”: è lui il discendente davidico, “della casa e della famiglia di Davide” (v. 4). Lo spostamento è indicato con estrema cura: Galilea, Nazaret e Giudea, nella città di Davide chiamata Betlemme. E con Giuseppe anche Maria, sua sposa che era incinta (v. 5).
Il racconto della nascita
Dopo la precisazione di tempo e di luogo, che costituiscono la cornice del Natale, viene raccontata con estrema concisione la nascita del bambino. Tre brevi frasi descrivono il momento della nascita e il comportamento di Maria. Maria partorisce, dà alla luce il suo “figlio primogenito”: questa annotazione biblica non comporta la presenza di altri figli. Infine: “lo avvolse in fasce” è la cura per una nascita ordinaria, nessun privilegio per il Figlio di Dio (v. 7). Il verbo “deporre” accenna già al corpo morto di Gesù, deposto in un sepolcro scavato nella roccia (23, 53).
Maria depone il suo bambino in una “mangiatoia” (v. 7), il luogo dove mangiano le bestie. “Perché non c’era posto nell’alloggio”: è il locale per ospiti interno a una casa, luogo dove stacchi gli animali, il caravanserraglio. Gli animali stanno sotto e gli uomini sopra. Anche questo termine, “alloggio” (katalìma, in greco) ritorna alla fine del vangelo: è il luogo dell’Ultima cena che Gesù vuole sia preparato per la Pasqua, luogo dove Gesù donerà il suo corpo umano, ricevuto da Maria.
Come mai non c’è posto per una donna incinta in un Paese dove l’ospitalità è sacra? Alcuni sostengono che c’era troppo affollamento per dare un po’ di riservatezza alla donna che doveva partorire, e così i parenti di Giuseppe hanno offerto la parte interna della casa, la grotta, dove stanno gli animali, e la mangiatoia. Di fatto, non abbiamo ancora l’identità del bambino, però le attese suscitate dall’angelo risultano sconvolte: “Sarà grande… Figlio dell’Altissimo… il trono di Davide” (1, 32). Qui, però, ci sono solo povertà, emergenza e disagio.
L’umile rivelazione della salvezza
Proseguendo la narrazione, l’evangelista Luca sposta l’attenzione fuori da Betlemme a quello che la tradizione locale chiamerà “il campo dei pastori”. Alcuni pastori pernottano nei campi per la guardia ai loro greggi; improvvisamente, nella notte, una luce sfolgorante li avvolge. Un angelo del Signore “annuncia una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (v. 10). Il verbo è “evangelizzare”, è il primo annuncio del Vangelo. I pastori sono i primi informati della nascita di Gesù, gli umili abitanti della regione, i pastori che non godono di buona simpatia come nei presepi moderni.
Il termine “oggi” indica il momento dell’incontro di salvezza tra l’uomo e Cristo. “Oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (v. 11). La buona notizia è la nascita del salvatore che è il Signore. Quel bambino nella mangiatoia è il vero salvatore, rispetto all’imperatore Cesare Augusto. La notte di Betlemme diventa il tempio della liturgia celeste che celebra l’ingresso del Figlio di Dio nel mondo. C’è tutto il paradiso a cantare e gioire in quella valle, cielo e terra sono congiunti per la nascita di Dio nel mondo. I magi ebbero una stella a orientarli; i pastori ebbero gli angeli e il canto del Gloria, ma quei primi visitatori del bambino trovarono solo i segni terreni dell’umana povertà. Dio si era fatto come loro.
Sempre ci commuove il fatto che Dio si fa bambino, affinché noi possiamo amarlo senza paura, e come un bambino si mette fiducioso nelle nostre mani. E’ come se Dio dicesse a ciascun uomo e donna: non voglio spaventarti con la mia grandezza, per questo mi faccio piccolo, fragile, perché tu possa accogliermi e amarmi. Questo Natale ci parla ancora dell’amore di Dio, della sua infinita misericordia, della sua infinita pazienza nei nostri confronti. Questo Natale è un’ulteriore opportunità per aprire il nostro cuore a Dio, per accorgerci che la vita ci è donata e siamo chiamati a essere grati. Impariamo dai pastori la loro umiltà, permettiamo a Dio di volerci bene, di entrare nella nostra vita, di portare quella tenerezza, quella semplicità e quella speranza di cui abbiamo bisogno.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Violi, 2022; Bezze, 2022.