Come tappa iniziale del suo ministero pubblico, Gesù subisce i tentativi del diavolo di condurlo al di fuori del progetto del Padre. L’evangelista Matteo (4, 1-11) rilegge le tentazioni di Gesù alla luce delle vicende dell’esodo del popolo di Israele.
Gesù si reca nel deserto, condotto dallo Spirito perché venga tentato. Il deserto è il luogo per eccellenza della prova, dove Dio ha condotto il suo popolo per quarant’anni con lo scopo di prepararlo all’ingresso nella Terra promessa. Israele ha visto con i propri occhi la continua assistenza divina, la sua cura amorosa, la sua capacità di guidare e di assicurare la vita, donando la manna e l’acqua e liberando dagli animali pericolosi.
Il deserto, luogo di morte, si è trasformato in un luogo di vita, dove il popolo di Dio ha imparato la vera libertà nell’adesione fedele alla volontà di Dio. Mosè mette in guardia dal pericolo di adagiarsi nel benessere della Terra promessa e offre un antidoto: la memoria delle opere compiute dal Signore. Gesù nel deserto compie la stessa esperienza e, al contrario degli Israeliti, resta fedele a Dio.
Il tentatore, come con i progenitori Adamo ed Eva, si presenta in un momento di debolezza, in cui Dio sembra assente. “Se tu sei Figlio di Dio” (v. 3): una ripresa subdola (ingannatrice) della solenne dichiarazione del Padre durante il battesimo nel Giordano. Il diavolo parte da questa affermazione per spingere Gesù a compiere un miracolo che risolva il problema della sua fame.
Questa azione però si collocherebbe al di fuori del rapporto con il Padre, configurandosi come un’azione autonoma di Gesù, che prenderebbe da sé l’iniziativa di sfamarsi col sottile dubbio che il Padre non sarebbe intervenuto per garantirgli la vita. “Non di solo pane vivrà l’uomo…” (v. 4): la risposta di Gesù esprime la sua fiducia nella relazione con Dio, vera fonte della vita, che quindi non permetterà che suo Figlio si perda.
Il tentatore si presenta una seconda volta e rilancia: poiché Gesù ha respinto il primo tentativo con una parola della Scrittura, anche lui ora aggiunge alla qualifica di Figlio di Dio anche una citazione scritturistica, presa dal Salmo 90, 11-12. Non è chiaro dal testo se lo spostamento dal deserto alla “città santa” (v. 5), cioè Gerusalemme, sia da intendere in senso fisico o solo in forma di visione.
In ogni caso, la tentazione riguarda un’esibizione di potenza il cui successo sarebbe garantito dalla qualifica di Figlio di Dio e da una promessa contenuta nella Bibbia. Apparentemente si tratta di un’azione che si muoverebbe all’interno della volontà di Dio. Gesù reagisce con una citazione scritturistica (Deuteronomio 6, 4-9) che contiene la dichiarazione dell’unicità del Signore Dio e della sua relazione con Israele, fondamento dell’esistenza stessa del popolo ebraico.
E’ il capitolo che prescrive la fedeltà assoluto al Signore, che si concretizza nell’osservanza dei suoi comandi e nell’esclusione di qualsiasi altra divinità. Gesù riafferma la propria fiducia nel Padre celeste che ha cura della sua integrità.
La terza tentazione si ricollega alla fede di Israele che considera il Signore come Dio di Israele; ora il diavolo si presenta con la presunzione di porsi come divinità alternativa che ha autorità su tutti i popoli. Perciò fa sfoggio del proprio potere e invita Gesù all’adorazione, atto riservato soltanto al Signore Dio. Gesù smaschera ancora le reali intenzioni del diavolo citando sempre la Scrittura che escludeva categoricamente per Israele la possibilità del politeismo (v. 10).
Come Israele era invitato a eliminare le altre divinità, così anche Gesù respinge non solo la tentazione, ma la persona stessa del tentatore, che se ne va senza più ripresentarsi. L’arrivo degli angeli (v. 11) rappresenta plasticamente la vittoria riportata dal Figlio di Dio; non è assente una certa dose di ironia, dal momento che in questo modo si realizza anche la parola della Scrittura citata in precedenza dallo stesso diavolo (v. 6).
Gesù è presentato dall’evangelista Matteo come il perfetto Israele che mantiene stabile e viva la propria relazione con Dio. Se Israele nel deserto era continuamente caduto al momento della prova, non così si comporta il Figlio di Dio, che trionfa sulle tentazioni e sperimenta la forza vitale del rapporto con il Padre. Se Israele era entrato nella Terra promessa dopo quarant’anni di cadute e di fallimenti da cui il Signore l’aveva risollevato con la mediazione di Mosè, Gesù può invece dare inizio al proprio ministero dopo quaranta giorni di vittorie riportate restando fedele alle parole di Mosè. Se Israele era stato invitato a mantenere la memoria delle opere del Signore per resistere alla propria fedeltà, Gesù resta fortemente legato a questa memoria e la richiama quando il diavolo interviene per mettere in dubbio la cura amorevole del Padre.
O Signore Gesù, al Giordano il Padre celeste ha dichiarato che tu sei il suo Figlio, l’amato, ed è da lì che parte il tentatore per indurti ad approfittare del tuo potere. Hai una missione da compiere e lo sai bene anche tu, Gesù, che ogni mezzo in più aiuta, assicura un successo sicuro. Ma tu fiuti subito l’inganno: i mezzi diventeranno padroni. Ed è solo al Padre che affidi la tua vita. In questo tempo forte, con la preghiera, il digiuno e l’elemosina, anche noi vogliamo vincere le nostre prove affidandoci alla tenerezza del Padre misericordioso.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Vuaran, 2023; Laurita, 2023.
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