Il brano del vangelo (Mt. 10, 26-33) appartiene al discorso missionario di Gesù ai suoi discepoli. La missione non è tanto un fare, quanto un ricordare chi siamo veramente. Prima di essere “apostoli”, mandati dal Maestro, siamo “discepoli”, persone che imparano alla sequela di Gesù. Prima impariamo chi siamo e poi cosa ci manda a fare il Signore Gesù e con quale stile. E proprio ciò che il Maestro ha fatto diventa ora la missione della Chiesa. All’interno di questa si colloca la nostra propria missione: Gesù ci manda ricordandoci che lo stile dev’essere quello della gratuità: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (10, 8).
Nel brano evangelico di oggi Gesù invita a non aver paura “di coloro che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (v. 28), sollecitandoci, invece, ad aver paura di “colui che ha potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo” (v. 28). Le parole di Gesù ci invitano ad affidarci totalmente a Dio: i passeri, che valgono due soldi, e i capelli, contati sul nostro capo, sono segni che a Dio non sfugge nulla (v. 29), nemmeno la realtà più piccola e apparentemente insignificante dell’esistenza umana. Non è affascinante un Dio che si interessa dei dettagli, a cui non sfugge nulla e tutto questo non per castigarci o inchiodarci alle nostre inadempienze, ma perché capiamo, giorno dopo giorno, che l’amore ricevuto vale più di qualsiasi altra rivendicazione, che i doni di Dio ci chiamano a una vita ben più grande e più profonda di quella che stiamo vivendo? Non è confortante un Dio che scaccia dalla nostra vita la paura facendoci sentire importanti ai suoi occhi?
Pensate come cambierebbe la considerazione della nostra vita. Oggi tutto è importante solo se si vede, se costa, se è firmato; puoi essere considerato solo se “fai la voce grossa”, se giochi bene, se sei raccomandato, se finisci sui giornali, se ti fai pubblicità, se gli altri ti riveriscono, se hai un potere sociale e culturale, se ti vesti in un certo modo, se parli di certi argomenti.
Molto più difficile è il pensare alla vita eterna, quella che dà senso a questa che stiamo vivendo; più difficile è riconoscere il volto del Signore tra i computer dell’ufficio, al supermercato, allo stadio, in discoteca, a scuola, nella fedeltà alla nostra vocazione, nel rispetto della vita che nasce, nell’accompagnamento di un anziano o di un malato terminale. Se non mettiamo al centro della nostra giornata il Signore, sarà difficile riconoscerlo. Sarà più facile “rinnegarlo” (v. 33), dimenticarci di lui, passar sopra al Vangelo e a ciò che la Chiesa ci raccomanda per la nostra vita cristiana. La missione, invece, ha il suo fondamento proprio in questo: credere fermamente che senza Gesù “non possiamo fare nulla “
Dio ci riconoscerà? Il vangelo risponde dicendo che Gesù riconoscerà chi l’avrà riconosciuto, chi non avrà avuto vergogna di lui. Dio ci riconoscerà, e allora sarà quello il momento della verità. Gesù ce lo rammenta, affinché non accada che anche lui, in quel momento, ci rinneghi davanti al Padre che è nei cieli.
Non aver paura di Dio significa non aver paura di servirlo, di ascoltarlo, di capirlo, di rispondergli. E’ espressione di una vita bella, che riesce a mettere a frutto tutti i doni e tutto il bene che può esprimere. Ma se lo evitiamo, se lo consideriamo un accessorio, anche lui non ci riconoscerà: non perché ci vuole male, ma perché noi stessi lo abbiamo ignorato, presumendo di poter vivere bene anche senza d lui. La paura spesso blocca le nostre scelte, incrementa i sospetti, fa del male o ci impedisce di far del bene. Nella paura si fatica ad amare e l’invito di Gesù è proprio a vivere con grande libertà. Non temere e non aver paura è caratteristica degli uomini e delle donne che si fidano del Signore.
Gesù ci invita ad annunciare il Vangelo. Proprio questo causa, per la chiesa di ogni tempo, persecuzione, violenza e “soppressione del corpo”. Quel Vangelo che noi annunciamo, però, non ha la forza di difendere i suoi messaggeri. Quel messaggio vale più di ogni altra cosa. Questo significa che il Maestro valorizza la nostra vita di discepoli. Il valore di un uomo e di una donna sta nell’essere scelti e mandati come strumento di amore e di bene, come discepoli e apostoli di un Vangelo che ha bisogno di testimoni credibili per essere annunciato. Anche questo è motivo di fiducia. Sapere che se anche la mia vita apparentemente sembra non valere, se le sofferenza e i dolori ci piegano, davanti a Dio tutto questo ha valore.
Se passa la paura, se sappiamo di valere davanti a Dio, è proprio perché è lui a farci diventare testimoni del suo amore; siamo trasformati in apostoli e missionari di misericordia e di vicinanza. Dio non desidera altro che vederci fiduciosi in un futuro che, insieme a lui, costruiamo e già attendiamo come dono. Se l’esperienza della fede è interessante, fa crescere e dona vita, allora dobbiamo fare in modo che tutti possano percepire questa bellezza. Non esiste un’esperienza intimistica della fede. Ho il dovere di annunciare, affinché anche altri riconoscano il Signore.
E’ vero: la fede non è un pacchetto che rimane inalterato anche se viene ignorato per mesi e anni. Assomiglia piuttosto a una pianta che ha bisogno di cure assidue, altrimenti, prima o poi, deperisce e muore. Gesù, non permettere che dimentichi quanto sia importante vigilare su me stesso, sulla mia anima.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: D’Agostino, 2020; Laurita, 2020.
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