Non è Sanremo: la Rai inciampa sulle foibe del Festival e dimentica Norma Cossetto
Il film Red Land ricostruisce gli ultimi giorni di vita della giovane studentessa universitaria Norma Cossetto, vittima dei massacri delle foibe istriane
La prima volta che ho “scoperto” la parola Foibe avevo 12 anni, quando a Roma dal popolare quartiere Ostiense mi trasferii nella nuova casa in zona Giuliano-Dalmata a ridosso della città militare della Cecchignola e vicinissima al quartiere EUR.
Foibe, lo strano eccidio degli italiani
Fino a quel momento, nonostante la Storia fosse la mia materia di studio preferita, le uniche e vaghe notizie relative ad uno “strano” eccidio di Italiani (per le modalità velatamente descritte che mi erano apparse incredibili) durante e subito dopo il secondo conflitto mondiale ad opera delle milizie comuniste del dittatore jugoslavo Tito, le avevo ricavate dai racconti di guerra che mia nonna (originaria di un piccolo paese della Puglia e non certamente di Pola) amava regalarmi.
In realtà quei racconti provenivano dalle “confidenze” coniugali di mio nonno, Generale medaglia d’oro al valor militare, eroe delle due guerre (quelle della “fanteria” in prima linea), scomparso pochi mesi dopo la mia nascita (1965).
Così, anche nei mitici fumetti di Super Eroica di cui ero un assiduo lettore, le cui avventurose strisce erano tutti ambientate nelle battaglie della seconda guerra mondiale e in cui i soli eserciti “dediti” ad atti di eroismo erano americani e inglesi, non ricordo di aver letto mai nessun riferimento all’infame quanto orribile e continuato atto.
Il quartiere Giuliano Dalmata di Roma
Solo dopo aver intuito che Giuliano-Dalmata non fosse il nome di qualche esploratore, o pittore o altro variegato illustre personaggio, nel mondo senza internet di quell’epoca, mi affidai all’enciclopedia “Larousse” per colmare la grave lacuna, mia, dei sussidiari scolastici e dei “libri di storia” avuti fino a quel momento in dotazione.
A quel punto, avendo acquisito le dovute informazioni sulla tragedia vissuta da migliaia di italiani, piuttosto contrariato, chiesi a mio padre, che si dimostrò ben informato sull’argomento, per quale motivo non me ne avesse mai parlato. La risposta fu piuttosto laconica: “….il modo con cui sono state trucidate tutte quelle persone, è stato così orribile oltre che sadicamente architettato, da non poter essere raccontato ad un bambino, non ancora.”
Quando il 10 Febbraio 2005 l’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, celebrò per la prima volta il “Giorno del Ricordo”, istituito con la Legge 92/2004 del 30 marzo (Governo Berlusconi) per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”, non dovette certo preoccuparsi della incompatibile concomitanza con il “pandemico” Festival di Sanremo.
Epperò in alcuni anni (precisamente dal 2015 al 2018 oltre che nelle due ultime edizioni) si è verificata la circostanza di vedere il Giorno del Ricordo “infastidire” la oppiacea kermesse canora.
Il Festival di Sanremo e il Giorno del ricordo
In particolare, l’edizione 2024 appena conclusasi, la prima gestita dai vertici Rai promossi dal sedicente governo di Destra-Centro, ha visto il giorno della finale del 74° Festival della Canzone Italiana “intrupparsi” con lo stesso giorno destinato a ricordare la nostra “piccola shoah”, anche questa tutta italiana.
Ora, noi tutti sappiamo che da sempre il rito sanremese inesorabilmente assorbe le attenzioni degli italiani tutti per ben oltre una settimana. Anche di coloro che, come me, non ne fanno una, seppur momentanea, ragione di vita. Tutta l’informazione è catarticamente sublimata in quel carro pre-carnevalizio composto da cantanti mascherati, conduttori beatificati, ospiti internazionali tanto strapagati quanto sbeffeggiati. E’ ovvio che non ci possa essere spazio per nient’altro se non per quell’unico fenomeno sociale in grado di riunificare il popolo italiano con cadenza annuale.
Anche gli agricoltori, novelli “Transformers” della cinematografia sociale, ormai più plasticamente personificati in scoppiettanti trattori molto poco “green”, sono magicamente scomparsi (almeno momentaneamente) con l’avvicinarsi delle performances della nostrana “Angiolina” e dei suoi variopinti colleghi. Figurarsi se potesse essere data una qualche attenzione a un eccidio ancora oggi impalpabile per colpa dell’abituale riduzionismo/negazionismo della nostra simil-democrazia dal dopoguerra fino a oggi.
Il Giorno della Memoria
E’ come se in Germania il “Giorno della Memoria” delle vittime delle stragi naziste venisse celebrato durante l’Oktoberfest. Così il 74% di share di telespettatori (oltre 14 milioni) ha “certificato” l’antica usanza che vuole la stragrande maggioranza degli italiani rivolgere la propria esclusiva attenzione al Festival della Canzone italiana.
Eppure, malgrado ben 30 canzoni in gara, la nota più stonata della serata non è “uscita” dalla bocca di un qualunque (s)trapper per il mancato funzionamento dell’auto-tune, ma dal primo Canale di Mamma Rai, proprio quello con i vertici meloniani freschi di nomina. Così, mentre il Festival macinava canzoni, spot pubblicitari, sms a pagamento, balli e gags (che invadevano contemporaneamente qualunque media disponibile), tramite il suo Direttore artistico Amedeo Umberto Rita Sebastiani in arte Amadeus (per gli amici Ama), faceva solo un piccolo e breve accenno della tragedia delle Foibe vissuta dai nostri connazionali.
Un “ricordino” veloce veloce visto che il “Giorno del ricordo” cadeva nel giorno della finale canora, che, troppo importante, non doveva essere “disturbata” più di tanto da un “genocidio” (il termine è ormai molto alla moda) di matrice comunista.
Il film Red Land (Rosso Istria) e la storia di Norma
Invece, udite udite, su RAI 3 (sì, proprio quella a gestione “Sinistra”), realizzandosi così pienamente la legge del contrappasso, andava in onda il film Red Land (Rosso Istria), ricostruzione degli ultimi giorni di vita della giovane studentessa universitaria Norma Cossetto, vittima, tristemente famosa, dei massacri delle foibe istriane. Una ulteriore “nota stonata” certo, perché, seppur nell’etere di celluloide, ancora una volta, Norma, come in quell’Ottobre del 1943, è rimasta sola.
Sola all’epoca nella Foiba di Villa Surani, sola oggi nell’indifferenza alimentata dal format usato dai novelli riduzionisti/negazionisti che “autoriciclano” la propria coscienza, raccontando la verità quando però nessuno è pronto a sentirla. Ma di più, Norma è rimasta ancora più sola per essere stata vergognosamente “abbandonata” insieme con tutti gli altri “infoibati”, proprio nel giorno del loro ricordo, da quelle stesse persone che avevano sempre lamentato l’ infame oblio e che avevano elevato questa ripugnante ed impunita tragedia come giusto vessillo della propria storia.
Ma si sa… perché Sanremo è Sanremo! E così, lontano dall’attenzione della gente (fin troppo impegnata a riconoscersi nelle novelle canzonette) la voce straziante della nostra eroina, non ha avuto ascolto né la dignità che avrebbe meritato. Scivolava invece nella bocca cavernosa della terra istriana, trascinata dal corpo già spento di un’altra italiana. Vedeva arrivare prima il buio e poi la morte senza la “giusta” memoria ancora una volta, l’ennesima volta.
A pensarci bene, forse aveva ragione mio padre. Si può essere preparati, fin da piccoli, a sapere che la morte potrà arrivare per mano di un tuo simile, anche del proprio marito o compagno, con un colpo alla tempia, una lama nel cuore, una fucilata dietro la schiena, la pressione delle dita sulla gola, un cappio al collo, una scure che tagli la testa. Persino che la morte possa arrivare con il gas, sterminando milioni di incolpevoli esseri umani.
Poi arriva anche il momento di dover accettare il fatto che qualcuno, che veste la divisa di difensore dei valori di una qualunque Patria, possa legare tra loro più donne, inermi e incolpevoli, con il fil di ferro dopo averle ripetutamente violentate e pugnalate per poi, ancora in vita, gettarle in una profonda caverna verticale che ti inghiotte fino alle sue viscere. E lasciarle lì, a morire di stenti e di paura nel buio bagnato del trasudante dirupo, nel sangue mimetizzato con il rosso della terra, con feci e urine tue e degli altri, tra le carni decomposte di chi è stato spinto prima di te ed è già morto, insieme con scheletri lerci dalle ossa fratturate, in compagnia di vermi striscianti pronti a prendere il tuo posto.
E ancor di più, arriva il momento di dover accettare che qualcuno possa coprire, mistificare, “travestire”, celare e mai condannare realmente di quanto accadde in quelle Terre Rosse i responsabili comandi partigiani (comunisti, titini slavi e italiani) . Ma no, questo momento non è mai arrivato né potrà mai arrivare. Non per me. Non per molti.
P.S. Chissà se Ghali, da italiano vero, avrà voluto ricordare anche i suoi connazionali del nord Italia quando, riferendosi all’attuale strage di Palestinesi ha detto : “Stop al genocidio!”