Religione

Nozze a Cana di Galilea

L’episodio delle nozze di Cana (Gv. 2, 1-11) completa il trittico della manifestazione dell’identità di Gesù: egli è il “Dio, Re e Uomo, che porta la pace a Israele e alle Nazioni (Epifania); il Figlio di Dio sul quale è disceso lo Spirito Santo (Battesimo); è lo Sposo messianico (Nozze di Cana). L’acqua mutata in vino è il primo dei “segni” compiuti da Gesù secondo il racconto dell’evangelista Giovanni: l’evento prodigioso ha una notevole portata simbolica, e culmina con l’adesione di fede dei discepoli. I segni realizzati dal Cristo hanno l’obiettivo di radicare nella fede anche il lettore, affinché, credendo, possa ottenere la vita, quella vera, nel suo nome.

L’ora è arrivata

Allo sposalizio è presente anche Maria, menzionata per la prima volta nel Quarto vangelo con il titolo di “madre di Gesù” (v. 1). Nessun dettaglio più esplicito è dato sul motivo della sua presenza; tuttavia, è lei a segnalare l’assenza del vino, elemento essenziale per la buona riuscita del banchetto nuziale (v. 3). La reazione di Gesù (v. 4) lascia perplessi: il figlio non solo sembra voler prendere le distanze dalla constatazione materna, ma dà la sensazione di disinteressarsi della situazione che si era venuta a creare.

Donna, che vuoi da me?” (v. 4): si noti l’uso del vocativo “donna”; in tutto il racconto è l’unica presenza femminile, mentre è del tutto assente la sposa. Anche sotto la croce Gesù si rivolgerà a sua madre con lo stesso titolo, affidandole come figlio il discepolo amato. Sul piano simbolico, Maria incarna l’attesa dell’intera nazione di Israele, promessa sposa del suo Dio, ella è immagine del popolo-sposa di Dio, che attende di celebrare le nozze con il suo Signore.

Non è ancora giunta la mia ora” (v. 4). Questa affermazione di Gesù è alquanto problematica: se letta come dichiarazione negativa, sembra che Gesù poi ceda alla richiesta della madre e, controvoglia, ne assecondi la volontà; se si intende in senso interrogativo, appare evidente che il prodigio che egli si appresta a compiere a Cana anticipa il mistero pasquale che culminerà nell’ora in cui sarà innalzato sulla croce ed elevato alla gloria del Padre.

L’acqua diventa vino

E’ la madre a rivolgersi ai servi chiedendo loro di fare ciò che Gesù dirà (v. 5). L’ora a cui Gesù ha fatto cenno è quella dell’alleanza: il riferimento alla presenza delle giare di pietra per la purificazione (v. 6) evoca la legislazione antica. Essa non è soppiantata, né abolita, ma presupposta e rinnovata. L’acqua, e le giare che la contengono, sono gli elementi indispensabili dei quali egli si serve perché il prodigio avvenga.

Le idrie da riempire sono vuote: solo Gesù può colmare l’attesa di salvezza, donando l’acqua viva che estingue la sete dell’uomo in maniera definitiva. Essa sgorga dal suo costato sulla croce, sigillando la definitiva alleanza tra Dio e l’umanità. Il numero delle giare, inoltre, richiama il sesto giorno in cui è stato creato l’uomo, mentre il materiale di cui sono composte richiama le tavole di pietra su cui sono state incise le dieci parole consegnate a Mosè.

Il vino dell’alleanza nuova

Dopo aver chiesto agli inservienti di attingere al contenuto delle giare e di portarlo al maestro di tavola (v. 8), Gesù scompare dalla scena: non è lui a constatare che l’acqua è diventata vino, ma il maestro di tavola; la degustazione della bevanda è di sua pertinenza. Tuttavia, egli ignora ciò che è accaduto in precedenza, non sa da dove viene il vino che gli è stato offerto: il vino, l’acqua come anche il pane sono elementi che richiamano la dimensione cristologica del simbolismo battesimale ed eucaristico.

Il maestro di tavola, gustata l’acqua divenuta vino, si congratula con lo sposo: ha preservato per la fine del banchetto il vino “buono” (v. 30). E’ Gesù il vino “buono” che segna la piena e definitiva alleanza tra Dio e il suo popolo. L’evangelista non usa il termine “miracolo” per descrivere l’azione compiuta da Gesù; ricorre al sostantivo “segno” per sottolineare il valore rivelativo del gesto: mutando l’acqua in vino, Gesù ha manifestato la gloria del Padre. Quello di Cana è “l’inizio” (il primo) dei sette segni attribuiti a Gesù nel quarto vangelo: il principio, l’origine, richiamando il settenario della creazione. In Gesù, “Verbo” (Logos) esistente prima di ogni cosa, per mezzo del quale tutto ha avuto origine, perviene al suo compimento il disegno della creazione divina.

Il Messia atteso è arrivato: attraverso Gesù, Dio offre a tutti gli uomini e le donne il vino delle nozze eterne, il vino della gioia senza fine. Sta per concludersi il tempo in cui la vita è segnata dalla acqua: dal pianto, dal sudore, dal lutto e dalla sofferenza. Sta per giungere l’ora in cui l’acqua si cambierà in vino: il vino della gioia e dell’allegria, della pace e della fraternità, di una ritrovata armonia con Dio e con gli uomini, il vino donato da Gesù, lo sposo messianico che dà inizio alle nozze eterne.

Ma l’ora non è ancora giunta! E’ sulla croce, infatti, che si manifesterà completamente la gloria di Dio: lì tutti potranno vedere l’amore smisurato dello sposo per l’umanità. E lì il vino delle nozze è il suo sangue versato per la salvezza di tutti. Cana è un anticipo, la realtà si manifesterà sul Calvario, con la morte e la risurrezione di Gesù. E Cana è ogni luogo in cui si imbandisce la mensa eucaristica e coloro che arrivano possono essere rigenerati dal Corpo e Sangue di Cristo.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Landi, 2022; Laurita, 2022.

Redazione

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