Il disagio mentale è un fatto che, per quanto legato e intrecciato alla società e alla vita collettiva, resta in qualche modo privato, personale, non solo; appartiene a una dimensione interiore, spesso inaccessibile e atavica, e che deriva da traumi d’infanzia e vissuti dolorosi. Ma quando il disagio mentale si trasforma in follia omicida come accaduto ad Ardea diventa un problema pubblico, di ordine sociale e di sicurezza.
La vicenda drammatica del killer Andrea Pignani che domenica scorsa ha freddato due bimbi di 5 e 10 anni e un pensionato per poi suicidarsi, rivela qui le gravissime falle del sistema assistenziale. Sì, perché il 34enne Pignani non solo non era seguito dai servizi sociali ma non era neppure mai stato sottoposto a un Tso. Inoltre, anche se nel quartiere faceva paura, possedeva ancora la pistola del padre, guardia giurata deceduta lo scorso anno.
Nel 2020 un violento alterco con la mamma aveva costretto le forze dell’ordine a intervenire per sedare gli animi. L’uomo venne portato in ospedale e i sanitari constatarono lo “stato di agitazione psicomotoria ma non necessita di trattamento immediato”. Così dopo la visita psichiatrica venne riaffidato al padre. Secondo quanto dichiarato dal presidente del consorzio, Romano Catini, “era già capitato che l’uomo uscisse di casa e sparasse in aria” ed era dunque noto alla Asl Rm 6 della zona e alle forze dell’ordine. Perché allora era ancora in possesso di un’arma da fuoco?
La legale del padre dei bambini ha smentito le prime voci che erano circolate su un litigio tra il padre delle vittime e Pignani. Questo significa che Pignani avrebbe dunque sparato senza criterio, senza conoscere in alcun modo le persone a cui toglieva la vita. Dalle ricostruzioni dei carabinieri di Frascati e di Anzio coordinati dalla procura di Velletri, emergono anche informazioni sulla personalità dell’assassino.
Un vicino racconta al Corriere della Sera di un ragazzo piuttosto comune, quasi anonimo, con gli occhiali, timido, spesso indossava uno zainetto. Disoccupato, da pochi mesi lo aveva lasciato anche la fidanzata. Un uomo che dunque probabilmente faticava a emanciparsi dalla famiglia, a trovare un lavoro stabile e a costruire una relazione sentimentale duratura e “matura”. Un uomo che non trovava il suo posto nel mondo e il suo scopo mentre la rabbia dentro di lui cresceva.
La sua stanza, nella casa dei genitori, era arredata con sacchi da boxe e sui social si era dato il nome di Mr Hide 86. La rivelazione social, quasi la confessione virtuale, di una “doppia” personalità che oggi suona davvero inquietante. Una personalità complessa che doveva essere contenuta, che forse poteva essere aiutata, e non solo un “raptus” come si tende spesso a liquidare questi fatti di cronaca. Una escalation che probabilmente si poteva evitare?
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