Cronaca

Omicidio Mollicone, 21 anni e 130 testimonianze: a fine luglio l’attesa sentenza

A 21 anni dal ritrovamento del cadavere, in un bosco di Fontana Liri nel frusinate, va verso un primo epilogo la vicenda giudiziaria sulla morte di Serena Mollicone. La sera del primo giugno del 2001, la 18enne di Arce, sparì nel nulla. Il suo corpo senza vita venne ritrovato 48 ore dopo.

Sono imputati: Franco Mottola, ex comandante dei carabinieri di Arce che coordinò le prime indagini, il figlio Marco, la moglie Anna Maria, che rispondono dell’omicidio. E ancora il maresciallo Vincenzo Quatrale per istigazione al suicidio del carabiniere Santino Tuzi; il carabiniere Francesco Suprano per favoreggiamento.

Omicidio Mottola, 46 udienze in 21 anni

Dopo 46 udienze, durante le quali sono state raccolte 130 testimonianze, e a seguito di depistaggi e incalcolabili appelli del padre della vittima, Guglielmo Mollicone, perché fosse fatta giustizia, per fine luglio è prevista la sentenza. Intanto domani la pubblica accusa solleciterà le richieste di condanna per i cinque imputati.

Nel corso della requisitoria iniziata venerdì, la pubblica accusa ha ricostruito le ultime ore di Serena Mollicone e la pm Maria Beatrice Siravo ha indicato, nella porta dell’alloggio della caserma dei carabinieri di Arce, l’arma del delitto.

Il movente non è sentimentale

Secondo la ricostruzione della procura di Cassino, la 18enne, uscita di casa per andare a scuola a Sora, ha accettato un passaggio in auto, una Y10 bianca, da Marco Mottola, figlio dell’ex comandante della caserma di Arce. Successivamente la ragazza è stata vista litigare con lo stesso giovane in un bar e poi anche nella piazza del paesino. L’ultimo passaggio, prima della sparizione, è in caserma dove Serena si presenta per riprendere i libri che aveva dimenticato nella macchina di Mottola.

Secondo la pm il movente dell’omicidio è da ricercare nel litigio “anche se non ne conosciamo il contenuto. Ma sicuramente non quello sentimentale, dato che Serena era fidanzata e che con Marco non c’era nulla“, ha detto Siravo.

L’autore del delitto è Marco Mottola

“Quando abbiamo riaperto le indagini con l’ipotesi dell’omicidio avvenuto in caserma e con la perizia sulla porta avevamo poche speranze su un risveglio delle coscienze”, ha aggiunto la pm. “L’unica che potesse dirci chi ha ucciso Serena era Serena stessa ma noi siamo arrivati ad avere una prova scientifica solidissima”, ha sottolineato Siravo.

Incrociando le lesioni rinvenute sulla salma della vittima con i segni ritrovati sulla porta della caserma, attraverso “analisi scientifiche scrupolosissime” i magistrati sono arrivati a configurare una “piena compatibilità” delle prove raccolte con l’ipotesi del delitto in caserma.

Secondo la pubblica accusa “l’autore del delitto è Marco Mottola. E alla sua responsabilità si arriva anche senza tener conto della pur attendibile testimonianza di Santino Tuzi”.

Questo ha chiarito la pm nel corso della requisitoria, riferendosi al testimone chiave, il brigadiere Tuzi che rivelò di aver visto Serena Mollicone entrare in caserma e poi si tolse la vita anni dopo. Guglielmo Mollicone, padre di Serena, ha sempre sostenuto che la figlia volesse denunciare Marco Mottola per spaccio. 

Le dichiarazioni di Carmelo Lavorino, consulente dei Mottola

“Abbiamo assistito, sempre alla faccia della presunzione d’innocenza, ad attacchi indiscriminati da parte di trasmissioni e programmi televisivi quali Le Iene (di cui tre soggetti tentarono di intrappolarmi tramite un imbroglio del tipo “copia/Incolla”), a tesi colpevoliste propalate da trasmissioni tipo Chi l’ha visto o Quarto Grado, ecc. e ad attacchi di giornali e di altri mezzi di comunicazione i cui autori si industriano a farsi il “piacere di colleganza e di reciprocità”.

Abbiamo assistito a una requisitoria del Pm che dimostra disconoscenza delle regole basilari dell’investigazione criminale e della logica investigativa. La porta della caserma di Arce non è l’arma del delitto o mezzo lesivo. Serena non è stata uccisa in caserma perché lei non è entrata nella stessa. L’impianto accusatorio fa acqua da tutte le parti”. Così Carmelo Lavorino.

Redazione

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