Si riaccendono i riflettori sul delitto di Arce, la tragica storia della allora 18enne, Serena Mollicone, che scomparve il 1º giugno 2001 e venne ritrovata morta due giorni dopo in località Fontecupa, nel territorio di Fontana Liri. A 20 anni dalla vicenda dell’omicidio Mollicone, si aggiunge un tassello che avrebbe potuto rivelarsi fondamentale nella ricostruzione del dramma. La Corte d’Assise del tribunale di Cassino ha ascoltato, infatti, l’intercettazione telefonica tra Santino Tuzi, il brigadiere dei carabinieri morto suicida e testimone chiave nell’omicidio, e la sua amante, Anna Maria Torriero, qualche ora prima che venisse interrogato. Era il 28 marzo del 2008 e Santino Tuzi quella sera, durante la deposizione, “confessa” di aver visto Serena Mollicone nella caserma di Arce il 1 giugno del 2001.
Nel colloquio Tuzi dice rivolgendosi alla donna: “Sono stato chiamato per motivi di lavoro”. E la Torriero incalza: “Che è successo? Per cosa ti hanno chiamato? Per la questione dei colleghi o quella della ragazza?” e Santino replica: “La ragazza”. Tuttavia la testimone ha negato di essere a conoscenza di qualche aspetto inerente quanto potrebbe essere accaduto nella caserma di Arce quel venerdì di 20 anni fa. Ha però ammesso di aver incontrato tante volte la giovane Serena mentre usciva dalla caserma di Arce dove invece lei andava a portare il pranzo a Santino Tuzi al quale era legata da una relazione sentimentale.
Maria Tuzi, figlia del brigadiere, ha dichiarato di essere poco convinta delle parole della Torriero. “Quella donna mente. Sa molte più cose di quanto voglia far credere. Ci ha costretti ad ascoltare aspetti della vita intima con nostro padre che sono stati laceranti. Avrebbe dovuto, se non altro per umana pietà, dire la verità. È da vigliacchi, da disumani, accanirsi su chi non può difendersi. Mio padre è stato un uomo coraggioso e se oggi si sta celebrando un processo è solo grazie alla sua testimonianza”, prosegue Maria Tuzi. “Se fosse stato lui ad uccidere quella povera figlia non avrebbe mai parlato. Mio padre non era un assassino, mio padre era un uomo buono che amava la divisa più della sua vita e quella divisa lo ha lasciato solo, lo ha tradito. Abbandonato da tutti, isolato e sbeffeggiato dai colleghi mio padre è stato indotto al suicidio”, prosegue Maria Tuzi. “Lo stato di agitazione in cui versava era noto a tutti ma nessuno ha pensato di toglierli la pistola”.
E proprio sulla pistola Anna Maria Torriero nell’udienza di ieri ha spiegato: “Il giorno che Santino si è ucciso, l’11 aprile del 2008, ho trovato sul pianerottolo di casa un mazzo di fiori ed una stecca di sigarette con un biglietto su cui c’era scritto: ‘Queste rose appassiranno ma l’amore che ho per te resterà eterno’. Nel secondo biglietto, adagiato sulla stecca di sigarette aveva invece scritto: ‘Questo vale per tutte le volte che non sono riuscito a portarle’. Un gesto che mi ha turbata e per questo l’ho chiamato al telefono e l’ho invitato a tornare indietro.
E prosegue: “Ha preferito vedermi qualche ora dopo e lì ho capito che non era lui. Mi ha mostrato la pistola che aveva sotto il maglione. Lui che odiava girare con le armi. Mi ha detto: ‘Vedi ho la pistola’ ed io ho avuto paura. Cercavo di calmarlo ma poi è andato via dicendomi: ‘Tra poco ti faccio sapere dove devi portare le rose’. Per questo ho allertato i colleghi che hanno iniziato a cercarlo. Mi ha nuovamente chiamata al telefono ed ho provato a calmarlo ma poi mi ha detto: ‘Addio amore mio’ ed ho sentito lo sparo. Da quel giorno ad un orecchio non ci sento più”.
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