Quando manca meno di un mese al 21esimo anniversario della morte di Serena Mollicone, la 18enne di Arce (Fr) uccisa il 1° giugno 2001, il processo relativo all’omicidio della giovane ragazza entra nella fase calda del procedimento giudiziario.
A parlare in aula, davanti alla Corte di Assise del Tribunale di Cassino, sono comparsi per la prima volta gli imputati maggiori del delitto, ovvero la famiglia Mottola, nei componenti dell’ex comandante della stazione dei Carabinieri di Arce, il maresciallo Franco Mottola, la moglie Anna Maria e il figlio Marco.
I Mottola nelle ultime tre udienze (una si è svolta oggi, 11 maggio 2022) si sottoporranno all’esame del pubblico ministero, il magistrato chiamato a sostenere l’interesse pubblico nel processo. E’ stato comunicato che la sentenza del processo è prevista per la prima metà di luglio.
Nell’udienza di mercoledì 11 maggio il primo dei Mottola a deporre è stato Marco Mottola 39 anni, ex amico di Serena Mollicone. La Corte ha respinto la richiesta delle difese di non utilizzare le dichiarazioni rese dai Mottola prima del 2011, anno in cui furono ufficialmente indagati. Dichiarazioni spesso contraddittorie dei testi, versioni dei fatti differenti, queste le ragioni per cui i legali degli imputati volevano tenere fuori dal processo le prime dichiarazioni degli indagati.
Marco Mottola inizia a rispondere alle domande del suo avvocato difensore, Giorgio Di Giuseppe.
“Ho conosciuto Serena quando ero in terza media, da poco arrivato ad Arce, perché andavo a ripetizione di francese da suo padre Guglielmo a casa loro. Con Serena siamo stati nella stessa comitiva fino ai 16 anni, nel 1998. Cominciammo a vederla di meno quando si fidanzò fuori dal nostro paese, anche se capitava di incontrarci perché Arce è piccola. Non siamo mai stati assieme, non abbiamo flirtato.
Capitava di fumare qualche spinello assieme in compagnia di altri amici ai giardinetti in piazza senza farci grossi problemi. A volte è capitato anche nell’alloggio della vecchia caserma quando a casa non c’erano i miei genitori, come capitava anche a casa di altri amici. Anche nella nuova caserma ci sono state occasioni simili ma con un gruppo più ristretto di amici.
Nella nuova caserma Serena non è mai venuta a trovarmi singolarmente, me lo ricorderei visto dove siamo oggi. Era più riservata rispetto ad altre ragazze, a casa sua non sono mai andato se non per studiare francese. Non l’ho uccisa io, né nessuno dei miei familiari. Con lei non ho mai litigato né le ho mai messo le mani addosso.
Ho saputo dai giornali che Guglielmo Mollicone accusava la mia famiglia ma a me non ha mai detto niente di persona. Ero sorpreso ed esterrefatto, abbiamo pensato anche di querelarlo ma poi abbiamo scelto di non infierire per il dolore che provava e perché aveva accusato anche altre persone”.
“Non ricordo quando fu l’ultima volta in cui vidi Serena. Nel 2001 dissi di averla vista alla festa di Sant’Eleuterio la sera prima che scomparisse perché diedi per scontato che nella feste del paese prima o poi si incontrano tutti”.
Marco Mottola su richiesta dell’avvocato chiarisce la controversa circostanza relativa alla sua auto, divenuta capo d’accusa: “Non dissi che avevo una Y10 perché davo per scontato che i carabinieri la conoscessero, dato che parcheggiavo sempre nello stesso garage della caserma e feci riferimento alla Y del mio amico per parlare dell’auto della comitiva”, ha dichiarato il figlio dell’ex comandante dei carabinieri di Arce.
E sul fatto che una testimone lo vide in auto quella mattina con Serena sulla sua Y10 bianca con targa scura e numeri bianchi al bar Chioppetelle ma nella nota redatta per le ricerche dal maresciallo Mottola si fa invece riferimento a una Lancia Y, marca e modello diversi. “Non sono mai stato in quel bar.
L’unica con cui ci posso essere passato è la mia fidanzata ma anni dopo, invece per un errore di comprensione mi è stato attribuito di esserci passato quella mattina dell’1 giugno. Non è vero che al telefono le chiesi di confermare questa versione, la avvertii (a Serena) solo che l’avrebbero chiamata visto che l’avevo citata”, conclude Marco Mottola.
Infine, riguardo alla testimone che lo riconobbe, la barista, Mottola conferma che il giorno in cui vennero messi a confronto lei negò di aver mai fatto il suo nome aggiungendo che la donna subì forti pressioni in tal senso tanto da scoppiare a piangere.
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