Prima ancora di diventare madre ho sempre provato grande curiosità verso tutte quelle storie inventate da genitori esasperati sulle sparizioni improvvise dei ciucci. Ciucci tagliuzzati in mille pezzi, ciucci mangiati dagli squali, ciucci piccantissimi, ciucci svaniti nel buio della notte, ciucci ridimensionati, ciucci rubati dai topolini, ciucci finiti nella cacca, ciucci mangiati dal cane, ciucci volati lontano, ciucci portati via dalle burrascose onde del mare.
Non so per quale motivazione ma trovavo questi racconti, seppur pieni di fantasia, poco funzionali, in parte ingannevoli e quando mi sentivo rispondere che tanto lo avrebbero presto dimenticato (non prima di essersi disperati per i 3 giorni successivi), credevo che in quello specifico momento per quei bimbi potesse essere duro allontanarsi in quel modo dal loro intimo e fedele compagno.
Pochi mesi dopo la nascita di mio figlio mi imbattei in un libro all’interno del quali si raccontava di un albero dei ciucci. Non vi erano molti dettagli ma quell’immagine si stampò nella mia mente in maniera indelebile. Iniziai ad immaginare di un albero, molto grande, nato proprio per accogliere i ciucci dei bambini che sceglievano di lasciarlo perché pronti a farlo. Proprio nei pressi dell’albero immaginai uno gnometto operoso che ogni notte raccoglieva i ciucci dei bimbi e le loro letterine, trascorrendo i giorni successivi nella realizzazione dei doni. Immaginai i bimbi tornare sotto al grande tronco e trovare il tanto desiderato regalo, la loro grande ricompensa per aver compiuto una scelta così importante. Pensai che forse, il ricordo dello gnomo e il regalo portato a casa con fierezza potessero in qualche modo rendere più dolce l’aver scelto di abbandonare il proprio amico. Pensai e ripensai a questa storia e alla possibilità di poterla raccontare al mio bimbo…
Iniziai a farlo quando aveva circa due anni. Ogni tanto gli parlavo di questo albero e del fatto che saremmo dovuti andare a cercarlo. Gli raccontai dello gnomo e gli dissi di pensare al dono che avrebbe desiderato ricevere. Sin dal principio mostrò grande curiosità per questo racconto ma per mesi continuò a tenere il suo ciuccio ben stretto tra i denti godendone e beneficiandone. Non era ancora pronto ed io non sapevo che aveva avviato, con i suoi tempi, un lento processo di separazione. Aspettavo con emozione il giorno in cui mi avrebbe detto: “Mamma, andiamo a portare il ciuccio all’albero dei ciucci”. Lo aspettavo e in fondo credevo che non sarebbe realmente accaduto.
Eppure, un pomeriggio qualunque a casa di amici, mentre giocava con un bimbo più piccino di lui, deve aver pensato che forse iniziava ad esser un po’ più grande, che questo albero dei ciucci voleva proprio vederlo, che questo rito desiderava compierlo, che il suo dono voleva tanto riceverlo. Mi chiese di portarlo all’albero. Mi prese davvero alla sprovvista e mi resi conto di non essere in nessun modo pronta ad un suo salto verso questa piccola/grande indipendenza. Mi resi conto che avevo costruito per lui un terreno fertile su cui camminare per superare una prima importante tappa di crescita ma che in fondo, in cuor mio, avrei voluto mantenerlo per sempre così, piccolo, cucciolo, sereno, con le manine sui lobi mentre si addormentava e con quel suono inconfondibile che emetteva mentre assaporava il suo ciuccio. Mi feci forza, chiamai mio marito dicendo: “Vuole andare all’albero dei ciucci, è pronto, me lo ha chiesto lui!Ma…non ho mai pensato a quale sia questo albero!”.
Andammo a casa tutti e tre a scriver la letterina per lo gnomo, a prendere il ciuccio, un chiodo, del filo ed un martello. Entrammo nel grande parco sotto casa e individuammo l’albero più grande di tutti e gli dicemmo: “Eccolo, è quello”. Lui corse, abbracciò il tronco. Insieme appendemmo il ciuccio, la letterina e lo salutammo commossi, speranzosi che lo gnomo facesse in fretta a costruire la sua bici fiammante.
Dopo un paio di giorni lo accompagnammo di nuovo all’albero, lo gnomo aveva portato con sé la lettera e il ciuccio lasciando dietro al grande tronco il premio per nostro figlio, il suo trofeo, la sua splendida ricompensa per essersi affidato alla sua forza d’animo, alla nostra fantasia e per averci costruito dentro un piccolo pezzettino di strada verso l’autonomia.
P.s. Documentandomi ho poi scoperto che di alberi dei ciucci ne esistono già diversi nel mondo, perché non crearne uno anche voi!
Valeria Colangelo
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