Forse vi sarà capitato, nell’arco dei mesi scorsi, di incontrare le foto attraverso le quali Johan Bävman ha ritratto la vita di alcune decine di papà svedesi mentre accudiscono i loro figli nei primi mesi di vita, sfruttando i sei mesi di congedo parentale a loro disposizione.
Quali emozioni vi hanno suscitato queste foto? Immagino che alcuni abbiano provato, o stiano provando, sentimenti contrastanti. Guardandole, personalmente, ho percepito curiosità, senso di delicatezza, desiderio di confronto ma anche spaesamento. Infatti, nonostante sia sempre più frequente incontrare e conoscere papà “mammo”, facendo esperienza del loro personalissimo modo di prendersi cura dei figli comune a molti, quella dedizione appare come un’invasione di campo, una forzatura, una cosa innaturale.
Le ricerche scientifiche che si occupano di valutare lo sviluppo dei bambini sempre più spesso si trovano a prendere in esame il “fattore papà” alla pari del “fattore mamma” arrivando a parlare anche di desiderio di paternità. Difficilmente una o due generazioni fa si sarebbe discusso in questi termini né mai, o raramente, un uomo d’allora si sarebbe esposto socialmente esprimendo il proprio desiderio di diventar padre, di poter fare il bagnetto, addormentare i piccoli, cantare delle ninne nanne, partecipare a un corso preparto! Ve lo immaginate vostro papà seduto accanto alla propria compagna al corso preparto a far domande sulle contrazioni del travaglio? O vostro nonno, con la fascia al petto e il figlioletto al suo interno, a far la spesa col carrello o al parco a condividere la coperta con gli altri papà?
Sono davvero molte le evoluzioni a cui stiamo assistendo, o magari di cui stiamo facendo direttamente esperienza, e ci si interroga su come queste modificheranno ancora le famiglie e i figli nelle loro abitudini e conformazioni. C’è un modo tutto nuovo di vivere la genitorialità, c’è una maggiore condivisione dei compiti, c’è una coppia lavoratrice che per necessità ha bisogno di spartirsi le mansioni di accudimento dei figli e della casa, ci sono nuclei socio-famigliari molto piccoli, nonni lontani e ci sono, appunto, papà che entrano a pieno titolo non più solamente nella cura “strumentale” dei piccoli (portando a casa la famosa pagnotta!) ma anche in quella emotiva e sociale. Alcune donne invocano questa parità ma spesso si ritrovano a vivere un’inaspettata difficoltà nel lasciar davvero spazio ai padri sentendosi in qualche modo prevaricate, come madri, derubate di una posizione secolarizzata.
La tradizionalizzazione dei ruoli sta faticando ad incontrarsi con l’innovazione delle esperienze e la donna che prima, quasi in maniera scontata, si occupava del figlioletto, cucinava e puliva la casa nei primi anni di accudimento, oggi incontra un papà che per esigenza o per volontà cucina benone, stira perfettamente le camicie, sa fare una spesa attenta e magari rimane a casa con i figli mentre la mamma torna per prima a lavorare. Alcune coppie entrano in crisi dopo la nascita di un figlio proprio per la confusione che si viene a creare rispetto alla gestione dei ruoli materni e paterni che appaiono così scollati da quelli sui quali si era costruita un’immagine di famiglia. Questi grandi cambiamenti richiedono alla coppia capacità comunicative, di adattamento, di analisi, di confronto, per poter costruire nuovi scenari evolvendo assieme all’interno di una realtà in rapido cambiamento.
Care mamme e cari papà e voi, quanto di nuovo avete aggiunto al modello di mamma e di papà che avete vissuto da piccoli? E cosa avete gelosamente custodito? Buona vita a tutti e oplà famiglie, a presto!
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