L’arrivo di pazienti da Tivoli, a dicembre, per l’incendio che ha reso inagibile l’ospedale San Giovanni Evangelista, fece scoppiare il caos. A due mesi di distanza la situazione permane critica. Infermieri con oltre 200 ore di straordinari, peraltro pagati coi fondi che già spetterebbero loro.
L’ospedale romano non ha il personale sufficiente per rispondere alla domanda di prestazioni aumentata. La direzione ha aperto due nuove aree per l’accoglienza dei pazienti ma il Pertini non ha infermieri ed operatori socio sanitari sufficienti e sopperire a questa carenza con gli straordinari. Non è una soluzione che si può protrarre troppo nel tempo senza far scoppiare letteralmente i dipendenti, sottoposti a ritmi stressanti. Questa situazione ha aggravato il problema del sovraffollamento del Pronto Soccorso e dei vari reparti.
Michele Cipollini, sindacalista territoriale della Uil Asl Roma 2, in proposito, a Roma Today a gennaio ha dichiarato: “Turni disumani, carenza di personale, caos organizzativo, strutture vetuste, episodi di violenza ben oltre i limiti della tollerabilità umana ai danni degli operatori sanitari che diventano il macabro capro espiatorio dei disservizi con cui fare i conti”. In seguito alla situazione critica la Uil ha chiesto un incontro urgente ai vertici dell’ospedale. “In aggiunta mancano ancora sul territorio le strutture di assistenza per pazienti cronici. Il personale è stato sottoposto a forte stress, passando fin troppo facilmente dai ‘grazie eroi’ alla fase degli insulti e delle minacce”.
“È evidente che il Pertini sta affondando, e presto la stessa sorte toccherà al Policlinico Umberto I” dice Cipollini. “Non si capisce perché la regione non abbia mandato qui il personale di Tivoli, d’altronde questi due presidi sanitari sono quelli più vicini e sui quali si riversa gran parte dell’utenza del nosocomio andato a fuoco”. E al Pertini i nuovi infermieri, alle prese con le prove del concorso, arriveranno probabilmente solo in primavera. “Troppo tardi – conclude Cipollini – per evitare il caos”.
Sulla rete ormai arrivano in tempo reale le osservazioni, critiche o meno, su quello che accade anche negli ospedali, come quelle raccolte dal Manifesto in questi giorni di marzo. Un paziente, Franco S., ha raccontato in prima persona la sua esperienza al Sandro Pertini, dove, a suo giudizio,” medici e infermieri sono ammirevoli nel gestire una situazione drammatica”. Secondo un altro paziente, Romano R. “Sono già 6 ore che mi hanno messo sul lettino e ancora non mi chiamano. Mandato qui dal cardiologo che mi ha diagnosticato un infarto”.
A due mesi dal rogo dell’ospedale San Giovanni Evangelista, per chi vive nell’area est della Capitale, il Pertini è l’unico ospedale raggiungibile in meno di mezz’ora di auto da Tivoli. Logico che tutta quella zona, per altro molto popolata e comprensiva anche di Guidonia, con 90mila abitanti, faccia perno su questo ospedale per le richieste di soccorso. Ne consegue che il Pronto Soccorso non ce la faccia a reggere l’urto, perché anche in condizioni normali è spesso sovraffollato. La Asl Rm2, entro la quale orbita il Pertini, è la più grande d’Italia con 1,3 milioni di assistiti e 3.300 infermieri (394 persone per infermiere), a coprire tutto il quadrante sudorientale di Roma Capitale. Con 400 posti letto il Pertini è un ospedale di medie dimensioni, non un colosso come l’Umberto I o il Gemelli o il Policlinico Casilino.
Se volete conoscere la situazione del Servizio Sanitario Nazionale potete recarvi al Pertini e avrete sotto gli occhi tutti i mali che al momento attraversano questo delicato settore del nostro già abbastanza martoriato Paese, almeno nella realtà quotidiana.
Perché a leggere certa stampa e ad ascoltare certi politici sembrano vivere in un’altra realtà. Sempre sul Manifesto si legge: “A dividersi i tre turni giornalieri sono attualmente 63 infermieri” spiega Carlo Torricella, infermiere e sindacalista della sigla sindacale autonoma NurSind. “Si tratta in gran parte di donne su cui ricadono anche i carichi familiari, tra figli piccoli e genitori anziani da accudire. Quindici oggi sono in maternità o godono di altri congedi, ma l’Asl non li ha sostituiti. Dunque il reparto è costantemente sotto-organico”.
Non ci sono assunzioni ma se venisse oggi un nuovo infermiere a lavorare al Pertini saprebbe che gli vengono richieste almeno 20 ore di straordinari al mese. Ovvero circa 200 ore l’anno in più. Ma potrebbe andargli anche peggio perché alla rianimazione c’è chi ne accumula fino a 400 e più all’anno. Senza questo lavoro in più l’ospedale non ce la fa a smaltire gli accessi e chi organizza i turni già prevede gli straordinari per fare fronte alla carenza di personale.
Siamo ovviamente molto al di fuori di quello che stabilisce il contratto di lavoro infermieristico, ovvero un massimo di 180 ore l’anno. Ma a questo si aggiunge anche la beffa. Gli straordinari vengono pagati con i fondi per il bonus produttività. Sono cioè finanziamenti che spetterebbero già ai lavoratori anche senza gli straordinari.
Quindi in pratica si chiede agli infermieri di lavorare rimettendoci. Con quale spirito voi andreste ad accudire pazienti, non diciamo in che stato, sapendo che lo farete gratis? Si chiede agli infermieri una prestazione benefica, come fossero medici di Emergency, che operano in zone di guerra, volontariamente. In più, dopo l’incendio al Tivoli, per il sovraccarico di lavoro ai medici è stato garantito un aumento di retribuzione. Agli infermieri, il cui stipendio di ingresso è di circa 1450 euro al mese, no.
In base all’articolo 49 del Contratto di lavoro infermieristico, secondo una scrupolosa applicazione del codice deontologico dell’infermiere, il lavoratore può rifiutarsi di eseguire straordinari abituali e ricorrenti. Per questo adesso gli operatori sanitari hanno deciso di rifiutarsi di effettuare altre ore di lavoro in più e l’Ospedale sta collassando.
Il pronto soccorso però non chiuderà, perché infermieri e infermiere gli straordinari li devo fare lo stesso: per ogni turno in più l’ospedale fa un ordine di servizio a cui per legge non ci si può sottrarre. Ma è un’extrema ratio, e una dichiarazione di sconfitta per chi dovrebbe gestire il lavoro sanitario. Succede che a volte il lavoratore si trovi tra due fuochi.
Da un lato non può abbandonare il proprio turno, anche se oltre l’orario previsto perché non è arrivato il cambio e dovrebbe invece recarsi a recuperare il figlio che esce da scuola. Deve scegliere tra l’abbandono del posto di lavoro e l’abbandono di minore. Così si sorteggia chi fra gli incaricati di un reparto farà 16 ore invece delle normali 8 previste. Quindi quando vi dovesse capitare di essere dei pazienti, o dei familiari in visita, ricordate a quale sforzo sono chiamati gli infermieri prima di giudicarli.
Secondo il Piano integrato di attività e Organizzazione 2023-2025 redatto dal direttore generale, rispetto al fabbisogno all’ospedale Pertini mancano 63 infermieri e 43 operatori socio-sanitari (Oss). Il direttore sanitario della Asl assicura che c’è un concorso quasi ultimato e che venti nuovi assunti (per tutta la Asl) arriveranno a breve.
Ma in pochi credono che questa goccia nel mare sia la soluzione. La Asl non può ricorrere alle cooperative che forniscono medici e infermieri a partita Iva, perché le casse della Sanità Laziale sono senza fondi e già otto direttori generali sono stati indagati per falso in bilancio. La Asl Roma 2 e lo stesso Ospedale di Tivoli sono sotto inchiesta. Forse potrebbero sottrarre infermieri agli ambulatori pubblici ma sono tutte strutture già al collasso e come si dice a Roma “non c’è uno per fa due!”
Da questo si comprende perché nella indagine Ipsos, del responsabile Nando Pagnoncelli, che tante volte si vede in tv a commentare le previsioni di voto, rafforzare il sistema sanitario è la priorità cui si dovrebbe dedicare il Governo italiano, per il 69% dei cittadini. Piuttosto che investire in armi e prima ancora del problema lavoro e del problema energetico. Anche perché, drammaticamente, se staremo tutti male gli altri potrebbero non essere più dei problemi.
La ricerca Priorità e aspettative degli italiani per un nuovo Ssn, presentata da Ipsos in occasione della sesta edizione dell’“Inventing for Life Health Summit”, dedicato al tema: “Investing for Life: la Salute conta!”, organizzato da MSD Italia, una multinazionale americana leader nel settore farmaceutico, non ammette dubbi. “Nelle attese dell’opinione pubblica italiana, salute e sanità restano la prima priorità per il Governo”, ha commentato il presidente Ipsos Nando Pagnoncelli. “Le razionalizzazioni che investono la Sanità pubblica, amplificate dalle notizie di cronaca sulla pressione cui sono sottoposti gli operatori sanitari, rinforzano l’urgenza di azione attesa sui servizi e l’assistenza ospedaliera, soprattutto di primo soccorso”.
Secondo l’indagine, l’88% degli italiani ritiene che la sanità pubblica rappresenti una priorità strategica per il Paese e che sia necessario un aumento del suo finanziamento. Alto anche il riconoscimento dello sforzo di Ricerca&Sviluppo messo in campo dalle aziende farmaceutiche. Quasi 7 italiani su 10 ritengono che il settore farmaceutico possa rappresentare uno stimolo per la ripresa dell’economia italiana e il 73% della popolazione ritiene che lo Stato debba investire di più nell’assistenza farmaceutica pubblica.
“Investire nella sanità produce, per definizione, un impatto positivo sulla salute di cittadini e pazienti; ma tante sono le esternalità positive generate, sia in termini di effetti sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile che di crescita economica e sociale del Paese”, ha affermato Nicoletta Luppi, presidente e amministratrice delegata di MSD Italia.
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