Nei locali di una vecchia stazione di posta per pellegrini della Basilica dei S.S. Quattro, vi è un’osteria che propone ancora ricette autentiche e dimenticate della cucina romana.
Si tratta dell’”Osteria del Bocconcino”, nata da un’idea semplice e rivoluzionaria rispetto alla moda imperante nella capitale. Ripropone, infatti, la cucina di casa del territorio romano e laziale, una cucina che si sta perdendo tanto che risulta difficile assaggiare quei piatti che la nostra memoria di bambini nati e cresciuti a Roma ancora ricorda con nostalgia.
Qui la passione per la cucina è diventata impegno quotidiano per riproporre i piatti che nessuno fa più attraverso la rilettura di vecchi ricettari dove in bella calligrafia sono impresse le magiche parole che compongono i segreti culinari di mamme e nonne. A tutto ciò si uniscono la ricerca e l’uso di prodotti semplici ma eccellenti che vano dalle uova al pepe di macina fino al tipo di pasta secca.
Il tutto rigorosamente di stagione, rispettando la natura e i suoi tempi e facendo della stagionalità un caposaldo dell’idea di cucina che si offre (i prodotti di stagione costano meno e sono all’apice del sapore).
Perfino il menù qui non segue l’ordinarietà che ci si aspetta. Questo perché le vecchie Osterie e Trattorie di Roma e dintorni non avevano menù; i clienti sapevano perfettamente cosa veniva servito a seconda del giorno della settimana.
Nasceva così il famoso “Menù Calendario” e ovviamente la proposta corrispondeva a quella che il mercato offriva in quel determinato giorno. Ecco perché il martedì e il venerdì, tradizionalmente giorni di arrivo del pesce fresco dalle coste laziali, erano dedicanti per l’appunto al pesce.
Il giovedì si preparavano gli gnocchi e il venerdì tutte le drogherie di Roma avevano in offerta il baccalà e i ceci “ammollati”. Massaie e cuochi cucinavano gli stessi piatti negli stessi giorni canonici e i clienti si aspettavano di trovare all’Osteria esattamente gli stessi sapori che gustavano a casa.
Qui si trovano anche pietanze derivate dalla tradizione ebraica che si sono fuse con quella romanesca. Non solo carciofi alla giudìa, ma anche fiori di zucca farciti e fritti, le frattaglie, i filetti di baccalà e tante altre ricette. Tutto ha inizio nel marzo del 1492, epoca in cui i Re cattolici Isabella I di Castiglia e Ferdinando II di Aragona, decretarono l’espulsione degli ebrei dai loro territori senza neanche offrire loro la possibilità della conversione per cancellarne completamente la presenza.
Fu così che circa centomila ebrei partirono per un esilio senza ritorno; molti di loro scelsero l’Italia come destinazione finale e si stabilirono a Napoli, Roma, Ferrara e Venezia. La Roma papalina e tollerante aprì le braccia agli esuli e da qui la nascita di una cucina che rappresentò la fusione di stili e influenze culinarie derivanti non solo dalla religione, ma anche dalle differenti provenienze geografiche dei membri di questa comunità.
In un locale così attento alla cucina romana, non si può non menzionare la ricotta romana. Diverse fonti storiche narrano che Marco Porzio Catone, il famoso “Cato Censor” politico, generale e scrittore romano, raccolse le norme che regolavano l’usufrutto della pastorizia nella Roma repubblicana, dove il latte di pecora aveva tre destinazioni diverse: religiosa-sacrificale, alimentare come bevanda e gastronomica (per la trasformazione in formaggi con l’uso residuo del siero per ottenere appunto la ricotta).
Ma secondo Galeno la cosa avrebbe origini ancora più antiche. Egli affermava infatti che “ciò che presso i greci era detto Oxygala, noi lo chiamiamo ricotta”.
Mario Vizzardi, nel suo libro “Formaggi Italiani”, sostiene che la ricotta sia originaria dell’agro romano e la sua diffusione si debba addirittura a San Francesco d’Assisi il quale, trovandosi nel 1223 in una località laziale per la realizzazione di un presepio, insegnò ai pastori l’arte di produrre la ricotta.
La ricotta romana DOP è un prodotto delicato che sa accogliere, nella sua consistenza cremosa, sapori dolci e salati che possono diventare ingrediente centrale per ogni portata. Il riconoscimento DOP risale al 13 Maggio 2005.
L’alta qualità è ottenuta indicando la tipologia del siero e del latte utilizzati, precisando tempi e temperature di lavorazione fino al confezionamento. Dietro il gusto unico c’è la sapienza della tradizione trasmessa per secoli da padre in figlio.
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