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Papa Francesco, 12 anni di pontificato: oggi come allora sempre vicino alla Chiesa

Dopo dodici anni vissuti con instancabile dedizione, Papa Francesco si trova a celebrare il tredicesimo anno del suo pontificato in una stanza d’ospedale. È un’immagine insolita, quasi surreale, quella del Pontefice ricoverato al Policlinico Gemelli, lontano dalla sua Roma e dalla folla che ogni domenica si raccoglie in Piazza San Pietro per ascoltare la sua parola. Ma se il fisico è provato dalla polmonite bilaterale, lo spirito di Bergoglio resta saldo, sorretto dalla fede e dall’affetto di milioni di persone nel mondo.
Un Papa che non si arrende
La capacità di resistere alle avversità è sempre stata una delle caratteristiche più distintive di Papa Francesco. Nonostante gli acciacchi, la fatica, le difficoltà legate all’età, il Pontefice non si è mai lasciato fermare. Ha continuato a viaggiare, incontrare fedeli, affrontare con coraggio le sfide del suo tempo. Oggi, mentre si trova costretto al riposo forzato tra le mura di un ospedale, non smette di esercitare il suo ruolo di guida della Chiesa universale.
Dall’America Latina all’Asia, dall’Africa all’Europa, le comunità cattoliche e non solo si uniscono in preghiera per il Papa. Ogni sera, a Roma, fedeli si ritrovano sotto la statua di San Giovanni Paolo II, nel piazzale del Gemelli, mentre in Piazza San Pietro si recitano Rosari. Un’ondata di affetto che travalica i confini religiosi e geografici, testimoniando quanto Francesco sia diventato una figura di riferimento non solo per i credenti, ma anche per chi cerca un messaggio di speranza in un mondo sempre più frammentato.
Papa Francesco ha sempre voluto una Chiesa vicina alle persone, concreta, “in uscita”. Fin dall’inizio del suo pontificato ha rifiutato la rigidità dei palazzi vaticani, scegliendo di vivere a Casa Santa Marta anziché nell’Appartamento Pontificio. Questo atteggiamento si è tradotto in uno stile pastorale dinamico e inclusivo, fatto di incontri, viaggi e gesti simbolici.
Francesco, un Papa sempre con la gente
Nei mesi precedenti al suo ricovero, il Papa ha portato avanti con determinazione il suo impegno missionario. A settembre ha affrontato il viaggio più lungo del suo pontificato, attraversando Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste e Singapore. Un itinerario faticoso, tra fusi orari e lunghi spostamenti, che ha messo alla prova la sua resistenza fisica, ma che lo ha visto accolto con un entusiasmo travolgente da popoli desiderosi di ascoltarlo e di sentirsi parte della Chiesa universale.
Successivamente, il Pontefice ha fatto tappa in Lussemburgo e Belgio, dove ha incontrato giovani, poveri e rappresentanti delle istituzioni ecclesiali, affrontando anche i nodi delicati legati agli scandali degli abusi. A dicembre, una visita lampo in Corsica lo ha visto dialogare con famiglie, sacerdoti e perfino con il presidente francese Emmanuel Macron.
Il dodicesimo anno di pontificato è stato segnato da momenti cruciali per la Chiesa. A dicembre, con l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro, è iniziato ufficialmente il Giubileo della Speranza, un evento spirituale atteso da milioni di fedeli. Due giorni dopo, in un gesto di forte impatto simbolico, il Papa ha aperto un’altra Porta Santa all’interno del carcere di Rebibbia, portando il messaggio di misericordia e perdono tra i detenuti.
Il Giubileo, il Sinodo, il G7, l’enciclica
L’ottobre scorso ha visto il secondo appuntamento del Sinodo sulla sinodalità, un percorso che sta ridefinendo il volto della Chiesa, coinvolgendo vescovi, religiosi e laici in un dibattito aperto sul futuro della comunità cristiana. Nel frattempo, con la pubblicazione dell’enciclica Dilexit Nos, Francesco ha lanciato un appello alla riscoperta del cuore di Cristo in un mondo che sembra aver smarrito il proprio.
Anche sul piano geopolitico, il Papa ha continuato a far sentire il suo peso morale. Al G7 in Puglia, il suo intervento ha toccato temi cruciali come la pace, la giustizia sociale e la necessità di un mondo più solidale. Ha mantenuto un contatto costante con i leader internazionali, intervenendo con messaggi e lettere nei momenti più drammatici dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente.
Ma è proprio negli ultimi mesi che il suo pontificato ha vissuto un’interruzione forzata. Da metà febbraio, il ricovero al Gemelli ha cambiato la sua routine: le celebrazioni delegate ai cardinali, la finestra dell’Angelus rimasta chiusa, le udienze sospese. Eppure, il Pontefice non si è ritirato nel silenzio. Il 6 marzo, dalla sua stanza d’ospedale, ha inviato un messaggio audio ai fedeli riuniti in Piazza San Pietro per la recita del Rosario. Poche parole, cariche di gratitudine e speranza: «Ringrazio di cuore per le vostre preghiere. Vi accompagno da qui. Che Dio vi benedica e la Vergine vi custodisca». Oggi, mentre il mondo cattolico attende con fiducia il suo ritorno, una cosa è certa: Francesco continua a essere il pastore che guida il suo popolo. Anche da una stanza d’ospedale, il suo sguardo resta vigile, il suo cuore resta vicino ai fedeli. Il suo pontificato, segnato dalla fatica e dal sacrificio, è la prova vivente di una fede che non conosce confini e che, anche nelle difficoltà, non smette di illuminare il cammino della Chiesa.
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