Opinioni

Parte il Governo Draghi, il Governo del “O famo strano?” con Brunetta alla P.A.

Il Governo del “O famo strano?”

Il Governo Draghi, che per via della maggioranza che lo sostiene potremmo definire, parafrasando Verdone, come il Governo del “o famo strano”, si avvia ad ottenere la fiducia delle Camere. Sapremo presto se esso corrisponderà alle aspettative che l’hanno accompagnato in questi giorni di consultazioni. A giudicare da alcune scelte, come quella di confermare l’ectoplasma al Ministero della Sanità, non c’è da essere particolarmente entusiasti. Ma i Governi si giudicano dai programmi che propongono e dalla capacità di attuarli. Staremo a vedere.

La vittoria di Renzi o di Pirro?

Il primo effetto, di questo Governo, sarà quello di proporre un cambio di rotta, efficientista, per l’utilizzo dei fondi del Recovery Plan. Il secondo è l’evidente apertura di alcune crepe, tanto all’interno del Movimento Cinquestelle, sempre più in disfacimento, quanto nell’ex opposizione, che sembra aver momentaneamente perso unità e compattezza. Un risultato che, tuttavia, da un senso politico alle azzardate piroette di Matteo Renzi. Ma i numeri dicono anche che Renzi ha ora un ministro in meno e quindi la sua potrebbe sembrare una “vittoria di Pirro”.

Brunetta al Ministero per la P.A.: a volte ritornano

Tra le novità c’è il ritorno di Renato Brunetta al Ministero per la Pubblica Amministrazione; un uomo che, al di là di alcune discutibili prese di posizione, ha dimostrato di avere competenza e idee chiare sulla materia. La speranza di avere una P.A. efficiente – possibilmente anche efficace – è uno dei sogni proibiti del nostro Paese. Una speranza che non possiamo permetterci di abbandonare, perché sarebbe il punto di partenza della nostra rinascita. Proporre ricette su questo argomento, per giunta in poche righe, sarebbe da sciocchi, ma vale la pena di sviluppare alcune brevi considerazioni.

La P.A. è il volto dello Stato

Lo Stato si organizza attraverso la Pubblica Amministrazione; lo strumento attraverso il quale esso mostra ai cittadini il proprio volto sono gli uffici e gli uomini che li dirigono. I cittadini hanno fiducia nello Stato nella misura in cui esso è giusto e ben organizzato. In un regime democratico la giustizia è garantita dalle leggi, uguali per tutti, che i rappresentanti dello Stato devono applicare e fare rispettare in modo rigoroso ma intelligente. Leggi comprensibili e di facile applicazione favoriscono l’efficienza dello Stato. Da queste premesse, discenderebbero due conseguenze: lo Stato deve avvalersi delle persone migliori e più qualificate le quali, ai vari livelli – impiegati, funzionari e dirigenti – mettono al servizio dei cittadini le proprie conoscenze, aiutandoli a rispettare le leggi ma anche ad utilizzarle al meglio per soddisfare le loro necessità.

L’orgoglio della P.A.

Potremmo aggiungere, per la proprietà transitiva, che lavorare nella P.A. dovrebbe essere un punto di orgoglio e di merito. Né potrebbe essere altrimenti, perché nella P.A. si entra solo per concorso ed il concorso è lo strumento attraverso il quale viene testata l’eccellenza dei vincitori. Ciò vale, o dovrebbe valere, anche per le progressioni di carriera. A questo impegno ed a questo orgoglio fa riscontro uno stipendio certo e dignitoso; circostanza che, in tempi di Covid-19, emerge in tutta la sua importanza.

L’umiliazione della P.A.

L’uso di tanti verbi al condizionale è dettato dalla conoscenza della realtà italiana, nella quale, inutile nasconderlo, le cose vanno purtroppo molto diversamente. Nel nostro Paese, molto spesso, anche se per fortuna non sempre, i concorsi si vincono grazie alle raccomandazioni che sono messe in campo da quegli stessi politici che predicano bene, utilizzando parole solenni come “selezione, merito e competenza” ma razzolano male, favorendo amici, parenti e leccapiedi e tutelando i furbi e gli inetti.

La banda dei privilegiati

La conseguenza di questo andazzo è che molti dipendenti pubblici non si sentono parte di una categoria di persone eccellenti al servizio dei cittadini, ma di una banda di privilegiati: conniventi ed accondiscendenti col potere che li ha nominati, con gli interessi che esso rappresenta e con i vantaggi che da esso derivano. Per mantenere questa condizione di privilegio poi non serve studiare e aumentare le proprie conoscenze, ma basta iscriversi alla categoria degli “yes man”, che assicura progressi di carriera molto più della fedeltà ai principi di trasparenza, efficienza, imparzialità ed economicità, che dovrebbero guidare l’azione dei funzionari pubblici.

La sfida, persa, dell’equiparazione tra pubblico e privato

La sfida, lanciata anni fa, di avvicinare il sistema pubblico ai principi organizzativi e gestionali di quello privato è miseramente fallita. Col risultato di aver mutuato solo alcuni aspetti del settore privato – su tutti lo “spoils system” e le premialità – senza sottostare alle regole, che esso presuppone, in termini di organizzazione manageriale e valutazione dei risultati. Le carriere dei dirigenti vengono così decise dai politici oggi più che in passato, con buona pace di quel principio di indipendenza che vorrebbe separare l’azione amministrativa e gestionale da quella politica e di indirizzo. E i funzionari capaci di indipendenza e rettitudine sono considerati nemici da emarginare.

La differenza ingiusta tra pubblico e privato

Nel settore privato, al fallimento degli obiettivi, segue di norma il licenziamento o un ridimensionamento economico; nel settore pubblico agli “yes man” la carriera è assicurata a prescindere dai risultati. Nella peggiore delle ipotesi e in caso di conclamata incapacità, si può rischiare il trasferimento ad un incarico meno prestigioso. Ma di licenziamento o sanzioni neanche a parlarne. Quello del licenziamento è un tabù della P.A. che viene preso in esame solo nel caso di condanna definitiva per gravi reati, in genere corruttivi, o palesi violazioni del contratto di lavoro, come la reiterata assenza ingiustificata dei “furbetti del cartellino”.

Questo spiega perché la P.A. italiana si può permettere inefficienze e inadempienze che nel settore privato sarebbero intollerabili. La differenza tra il lavoro privato e quello pubblico non dovrebbe risiedere nelle diverse garanzie offerte ai dipendenti ma, semmai, nei criteri di selezione e di accesso – che in un sistema sano dovrebbero essere più selettivi nel pubblico – e nelle regole che ne determinano il funzionamento e gli obiettivi.

La diversità che penalizza i più capaci

L’assenza di questa “perequazione nella diversità”, alla fin dei conti, penalizza proprio le grandi professionalità che nella Pubblica Amministrazione esistono ma sono costrette, loro malgrado, a convivere con i fannulloni e gli inetti, condividendo con essi il giudizio negativo dell’opinione pubblica. Un quadro desolante nel quale emerge il silenzio colpevole dei Sindacati, impegnati più a cercare i facili consensi che a rivendicare i veri diritti dei lavoratori. Uno dei diritti fondamentali di chi lavora è quello di vedere riconosciuto il merito, con l’oggettiva valutazione dei risultati e la distinzione assoluta tra fannulloni da licenziare e operosi da premiare. Ma non possiamo aspettarci una posizione così rivoluzionaria da chi ha da tempo optato per l’appiattimento e la difesa dei diritti acquisiti anche quando sono immeritati.

La sfida che attende anche Brunetta

Chissà se Renato Brunetta, crocefisso in passato per le sue esternazioni sul pubblico impiego e sui fannulloni, ha ancora voglia di misurarsi con una sfida che fa tremare i polsi anche dei più coraggiosi. Una vignetta di questi giorni lo mostra come Enzo Tortora, quando tornò in trasmissione alla RAI dopo l’ingiusto arresto, dicendo: “Dove eravamo rimasti?” Se Brunetta vorrà ora riprenderà la “mission impossible” di riformare ed efficientare la P.A. sarà un bene. Stavolta sarebbe un bene anche se tutti si sforzassero di valutare le sue proposte in modo obiettivo e libero da pregiudizi. Non per ragioni politiche o di schieramento, che nella condizione oggi data avrebbero poco senso, ma per amor di Patria.

Francesco Febbraro

Architetto, con lunga esperienza di direzione di Dipartimenti e Municipi di Roma Capitale. Per anni docente universitario a Valle Giulia, autore di pubblicazioni sullo sviluppo urbano tra cui "Codilex Urbanistica" "Vademecum edilizio" e "La macchina inceppata" sull'organizzazione degli uffici pubblici. Scrive di attualità e politica.

Vedi i commenti

  • Se Ddraghi va a "dama" sarà un trionfo!
    Se si scotta, la colpa sarà di Mattarella.
    Non credo nei miracoli, ma mi ci affidò. Non si sa mai!
    La Pulzella della dx, con meraviglia, si defila! Strategia? Furbizia? Male che vada si presenterà a riscuotere a "bocce ferme" e sarà gloria. Oppure.....
    Brunetta ci salverà'!!

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