Categorie: Opinioni

Perché sui territori conviene e bisogna credere nei giovani

Come immaginare il futuro del territorio, senza offrire opportunità concrete ai giovani? Alcuni dati, tratti dall’ultimo “Rapporto Giovani”, indica come il 95 per cento degli under 35 intervistati pensa di essere la vera risorsa del Paese. Un campione consapevole della difficile situazione economica in cui vive, ma che rivela anche un’altra faccia della medaglia. Secondo l’analisi tra i giovani sono in crescita alcuni atteggiamenti come l’intraprendenza (molti iniziano a lavorare già durante gli anni di studio), un rinnovato interesse verso il lavoro manuale, la voglia di mettersi in gioco anche all’estero. Un fenomeno che, se da una parte rivela lo spirito di iniziativa dei nostri giovani, ci espone a un impoverimento preoccupante di risorse fresche e capaci. Proprio per evitare la cosiddetta fuga dei cervelli i territori devono saper essere attrattivi. Un fatto su cui c’è grande disomogeneità tra Nord e Sud, ma anche tra Comune e Comune.

Si attuino politiche che liberino autentico protagonismo giovanile in quella reciprocità di “diritti e doveri” che esige un’esperienza compiuta di cittadinanza. “Diventa difficile provare passioni. Accese e perfino tristi. Prevale il disincanto. E le passioni si raffreddano. Divengono tiepide. Eppure conviene credere nei giovani.  Perché sono il nostro futuro. E più di tutti gli altri, credono nel futuro”. Una ricerca vede i giovani senza fedi e quindi anche senza politica. Nel virgolettato, in quelle parole, troviamo una  provocazione urgente alla politica, che viceversa non può essere senza giovani. E’ una lettura che sembra non lasciare spazio per la riconciliazione tra questo mondo e le nuove generazioni. Eppure per chi incontra  i giovani tutti i giorni, nelle aule di un’università e nelle scuole, nelle associazioni, nei luoghi da loro abitati, si mostra un volto inedito.

Studiano e progettano il loro domani senza nessuna certezza della forma che questo domani avrà, si confrontano con la paura del fallimento, nel coraggio di una resilienza non scelta, ma di fatto vissuta. Vivono in un nuovo equilibrio relazionale tra l’io e il noi: escono dallo schema del corporativismo, ma nello stesso tempo percepiscono il fallimento di un protagonismo solitario e individuale. Hanno forme di partecipazione alla vita comunitaria che non sono identificabili con categorie del passato: attenti a questioni di carattere etico e sociale, all’ambiente e a principi di uguaglianza e giustizia fanno esperienza di servizio e volontariato, ma apparentemente ne rifiutano una elaborazione politica. Sperimentano una dimensione di connessione globalizzata e dentro a questa rete incontrano la solitudine. Vivono quindi di contraddizioni ed energie che sono tutt’altro che tiepide.

Con questi compagni di strada siamo oggi chiamati come Paese a camminare. Per questo il compito nuovo della politica oggi, oltre a incontrare, riconoscere e dare parola ai giovani, è quello di dare forma a queste possibilità, liberando autenticamente  “una sorta di potenziale intatto” che può essere “la riserva di bene inutilizzato di cui disponiamo, l’energia alternativa di una società che ha consumato davvero tutto il resto, un’energia che reclama spazio nella società, perché vuole assumersi responsabilità più grandi”. Serve uno sguardo nuovo per misurare il “cuore pensante” che abita nelle nuove generazioni. Servono parole nuove e autentiche, che liberino una politica capace di farsi abitare e contaminare dalla novità. Alla partecipazione si affianchi l’idea della contribuzione, che è l’esperienza di un’azione che costruisce nella comunità un valore e un significato condivisi. La politica è chiamata alla connessione e concretezza, a quell’agire che trasforma gli spazi in luoghi, creando relazioni e tessuto sociale, ponti tra generazioni, esperienze di vita, territori. Si attuino politiche che liberino autentico protagonismo giovanile in quella reciprocità di “diritti e doveri” che esige un’esperienza compiuta di cittadinanza.

Le scelte fatte in questi anni e le direzioni future siano segno quindi di una politica capace di nuova prossimità, per accompagnare i giovani a “concorrere al progresso materiale e spirituale della società”. Forse allora “le passioni tiepide” si trasformeranno ai nostri occhi per quello che sono veramente: il coraggio di una umanità che esige di cambiare paradigma per abitare l’oggi e farsi futuro (fonte Democratica).

Manuel Mancini

Giornalista, editore e direttore editoriale della rivista "Notizie del Cuore"; promotore di iniziative legate alla cultura, le tradizioni e lo sport, tra cui rassegne letterarie, festival giornalistici e incontri con personalità autorevoli. Scrive di cronaca e attualità.

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