Si potrebbe rimodulare il settore con il diretto intervento di ciò di cui avrebbe bisogno il caregiver: farglielo fare! Tra i provvedimenti a sostegno della famiglia nessuno è dedicato all’attività del prestatore di assistenza familiare. Non sono previste risorse economiche, nessuna modalità sarà erogata al fine di sostenere gli interventi a favore della figura del caregiver familiare.
Eppure, è un ruolo che coinvolgerà tutti nell’alternarsi delle generazioni: “Ci sono quattro tipi di persone nel mondo: quelli che sono stati caregiver, quelli che attualmente sono caregiver, coloro che saranno caregiver e coloro che avranno bisogno di caregiver,” è il pensiero della First Lady Rosalynn Carter e ha ragione.
Perché non iniziare a introdurre, ad esempio per l’inoccupato, un reddito per l’assistenza all’invalidità? Potrebbe essere pensato come sezione specifica del reddito di cittadinanza, quello che si vorrebbe migliorare.
L’80% delle cure domestiche a persone non autosufficienti sono garantite da coniugi, parenti di primo, secondo e di terzo grado. Sono i cosiddetti caregiver, una parola presa in prestito in Italia solo per denominarli ma non per inquadrarli come negli altri paesi con un welfare ben più attento e civile.
Chi è il caregiver? È la persona di famiglia, che in modo volontario e informale assiste e cura quotidianamente il parente stretto o il coniuge non autosufficiente. In Italia sono un plotone con difficoltà enormi nel conciliare i tempi di lavoro con quelli di vita familiare e soprattutto sono persone inoccupate che si prendono cura del familiare e sono solo denominati caregiver? Ma poi perché? Assistente familiare va benissimo.
È una scelta domestica fatta nell’ombra per necessità e per lunghi periodi di tempo; è un impegno gravoso che sottrae opportunità lavorative e di reddito. Il caregiver ha contraccolpi negativi sulla vita personale ed è senza alcuna previdenza, a tentoni colma ciò che non ha ricevuto in formazione, in informazioni sulla cura, sulle manovre, sugli ausili spesso costosi, sul conoscere la malattia della persona cara, sui servizi possibili e attivabili quando esistono. Non ha le opportunità di aiuto offerte dal territorio. Non ha alcun diritto nonostante la gran parte di loro spenda ben oltre le sei ore al giorno.
Uno Stato è maiuscolo quando non fa una politica di carta ma scrive provvedimenti con l’esperienza di chi la vive, e non fa gelide non misure. La legislazione italiana dovrebbe farne cardine del welfare: aiutare chi aiuta. Il forfait fino a oggi ha fatto registrare all’Istat una bassa posizione dell’Italia in tutti gli aspetti del settore e molto bassa nel confronto con gli altri Stati europei. Qui da noi, in sei anni, ogni anno sono stati presentati disegni di legge diversi, con incomprensibile frantumazione degli interventi restando ben lontani dal dare una risposta, infatti è tutto fermo. Nell’agosto 2019 è stato depositato in Senato il disegno di legge 1461, fortemente criticato per i continui schiaffi in faccia come dice una mamma qui.
Una Nazione, la nostra, che ha insegnato al mondo a fare il “volontario” e fare società: è forse in virtù di questo che la politica ha pensato di non fare nulla per il caregiver e lo ha definito “volontario”? Maria Simona Bellini, la Presidente dell’associazione familiari disabili, ha avuto modo di esprimersi sul termine: “Volontario? Siamo volontari perché ci rifiutiamo di sottostare all’unica alternativa che ci viene offerta, e cioè il ricovero dei nostri cari” condannando tutti ad un prematuro allontanamento. Sì, fino ad oggi è stata la politica della tigre di carta, hanno disegnato il faccione di una tigre con le fauci aperte, i denti in primo piano e il bruito insonorizzato che non impressiona nessuno.
Ad esempio, all’inoccupato che si occupa del coniuge o del figlio, riconoscere un reddito per l’assistenza all’invalidità sarebbe un primo passo verso vere politiche di welfare per la disabilità. Potrebbe essere pensato come sezione specifica del reddito di cittadinanza dato che si vuole migliorare.
Uno Stato che li considera avrebbe un risparmio notevole per le casse, migliorerebbe la qualità di vita sia del caregiver che del non autosufficiente perché non in struttura ma a casa propria; avrebbe spazi residenziali pubblici più giusti per chi rimane solo, avvierebbe il corollario di diversi posti di lavoro per la gestione integrata delle necessità, darebbe un reddito all’inoccupato.
Quando il familiare non autosufficiente viene messo in una residenza sociale allo Stato costa circa 4.184 euro al mese. All’assistente della persona cara non autosufficiente, attestabile con un incrocio di documenti oggi immediatamente verificabili, potrebbe essere garantita una entrata mensile tra i 1.300 e i 1.400 euro mensili.
È una proposta in termini di risparmio economico per lo Stato che aiuta davvero, facile e veloce da introdurre nel reddito di cittadinanza. E l’Italia potrebbe iniziare a scalare posizioni nel confronto delle politiche sociali a livello internazionale.
È un’idea utopica? Non credo.
Nunzia Latini
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