Si è svolto questa mattina a p.za della Repubbica il presidio a favore dei Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, cui hanno aderito solo civili e militari. Nessun partito, nessuna bandiera politica, così come richiesto dagli organizzatori.
“Io e Claudio abbiamo organizzato il presidio – spiega Pietro – per sensibilizzare la popolazione italiana sulla vicenda che ha colpito i nostri due militari, che sono stati dimenticati e che la politica ricorda solo in occasione delle elezioni. Sono lì da mesi, e pensano solo alla riforma elettorale, fanno finta che gli altri problemi non esistano”.
Gli fa eco Claudio, l’altro organizzatore del presidio in piazza della Repubblica: “I nostri governi si sono mostrati totalmente inadeguati. E dove non arriva il governo, deve arrivare il popolo: per questo siamo qui”.
Erano circa 150 persone in piazza, tutte stipate dietro un lungo striscione con la scritta: “Liberi Subito!”.
E tutte insieme a chiedere che i nostri due fucilieri siano riportati in Italia.
“I Marò andranno a processo – ha dichiarato un militare presente al presidio – La loro eventuale condanna, rappresenterebbe la condanna di tutta l’Italia”.
E’ fissato al 3 febbraio, infatti, il processo per i due fucilieri del battaglione San Marco.
Tra i manifestanti, anche Simone Di Stefano, leader di CasaPound, in qualità di cittadino e non di rappresentante politico.
“Siamo qui senza bandiere – spiega Di Stefano al Quotidiano del Lazio – come abbiamo sempre fatto in occasione di tutte le manifestazioni in onore dei Marò”.
Perché, secondo Di Stefano, la battaglia per i Marò è una battaglia di tutti gli italiani, “e non si deve fare campagna elettorale su questa vicenda. Soprattutto non la può fare – spiega – chi ha votato la fiducia 47 volte al signor Mario Monti, che era presidente del Consiglio di un governo indegno quando la vicenda è iniziata.”.
“Ieri a Milano (in occasione della manifestazione durante il ricevimento per la Giornata nazionale della Repubblica dell’India, ndr) abbiamo visto sventolare bandiere di partito. Solo in occasione delle campagne elettorali – continua – i politici si riempiono la bocca di amor patrio, parlano di tutela dei nostri militari, delle Forze dell’Ordine. Però poi, non si capisce perché, quando sono al governo firmano e sottoscrivono i tagli che di fatto condannano queste Forze a lavorare in maniera veramente ignobile e indegna”.
E se i nostri Marò sono ancora trattenuti in India, è perché “l’operato del governo – incalza Di Stefano – è stato vergognoso, scandaloso, indecoroso”.
Ma non solo: “dietro – commenta ancora il leader di CasaPound – ci sono i soldi, ci sono interessi economici, c’è la globalizzazione, e per questo si è ritenuto di non dover pestare i piedi a un’economia crescente, a un Paese in cui noi stiamo aprendo fabbriche per farci lavorare gli schiavi e rivendere qui i nostri prodotti. Noi però – spiega ancora – ce ne freghiamo, anche perché come CasaPound siamo a favore di un’economia chiusa. Non vogliamo commerciare né con l’India, né con la Cina. Queste sono Nazioni che utilizzano gli schiavi. In India la gente muore come mosche nelle fabbriche. Ancora oggi, sempre in India, c’è il matrimonio riparatore dello stupro. Sono Paesi che vivono ancora in secoli bui, e noi non possiamo commerciare con loro. E, soprattutto, non possiamo permetterci di sacrificare 2 militari italiani per salvaguardare questi rapporti economici: tutto questo è intollerabile. Perché se alla Farnesina avessero voluto realmente aiutarli, li avrebbero già dotati di un passaporto diplomatico, e ora sarebbero intoccabili”.
“In gioco non c’è solo la vita di Massimiliano e Salvatore, ma il destino di una Nazione intera, la nostra. Il giorno della condanna, quando verranno stilati i capi di imputazione, quali che siano e quale che sia la condanna, noi assalteremo l’ambasciata indiana e creeremo l’incidente diplomatico. Incidente che andava creato sin dall’inizio, per poter ottenere risultati concreti. Lo faremo per l’onore della nostra Nazione – chiosa Di Stefano – Bisogna dimostrare al mondo che ci sono ancora italiani con il sangue nelle vene, che sono pronti a morire per la propri bandiera, perché è questo che ci insegna la nostra storia, questo è quello che ci insegna il nostro inno. “Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”: e dobbiamo essere pronti a farlo. Perché l’italianità è un valore”.
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