Il silenzio, quello classico del minuto trascorso guardando cielo e terra, schierati a centrocampo, non sarà sufficiente; non questa volta, non per ricordare un grande campione che ha terminato il suo viaggio in un momento terribile per il mondo intero. Il silenzio che ci ha accompagnato in questi mesi dove anche il Calcio si è dovuto fermare. Pierino Prati è stato un campione vero, e la morte di un campione lascia sempre un insegnamento per le nuove leve affamate di motivazioni estrinseche. L’amore che si prova per questi grandi uomini cresce ancora di più quando le loro menti e le loro parole non possono più raccontarci le loro imprese. Dobbiamo farlo noi ma non è la stessa cosa.
C’era una volta un certo Prati nel 1969, al Santiago Bernabéu di Madrid, contro l’Ajax di Johan Cruijff, nel Milan di Nereo Rocco; siglò una storica tripletta (record mai eguagliato) che consentì ai rossoneri di vincere la loro seconda Coppa dei Campioni. Dopo un minuto di gioco la Peste colpì un palo, dopo sette minuti andò in gol e poi al 40’ e al 75’ arrivarono le sentenze definitive. Un apoteosi. Era l’epoca di un Calcio diverso. C’erano i centravanti e le ali sinistre come Prati che era rapido, essenziale, dal tiro secco e preciso, micidiale nel gioco aereo, ispiratore di assist sublimi che il suo grande amico Gianni Rivera gli forniva per sfondare le reti. Il Golden Boy ebbe bisogno anche di Pierino e dei suoi gol per conquistare il Pallone D’oro.Eppure il grande Milan aveva, qualche anno prima, ceduto Prati che si ritrovò a giocare nelle serie inferiori.
Ma ci mise poco a riprendersi la maglia da titolare, quella rossonera con il numero 11 che diventò la sua seconda pelle.
Aveva fretta, doveva vincere tutto con la sua squadra, lo scudetto e la classifica cannonieri nel 1968, la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale nel 1969, la Coppa Italia nel 1972, due Coppe delle Coppe nel 1968 e nel 1973. Giocò anche nella Roma osannato dalla calda tifoseria giallorossa che ancora oggi ricorda le sue gesta e nella Fiorentina. In Nazionale giocò poco, “chiuso” da un mostro sacro, Gigi Riva. Vinse però l’Europeo del 1968 facendo parte della rosa. Pierino Prati scelto e prelevato dall’enorme hinterland milanese da dove era difficile emergere e che arrivò ad illuminare le notti europee, quelle che si trascorrevano con l’orecchio attaccato alla radio e davanti a TV in bianco e nero dove l’immaginazione ci faceva vedere anche il rosso e il nero e un numero 11 sommerso dagli abbracci dei compagni, gli stessi che oggi piangono la sua scomparsa.
Pierino la peste ci lascia in un epoca dove la peste vera c’è e si chiama Covid-19, che ci ha costretti al silenzio che tutti abbiamo “sentito” ma che non ha offuscato le nostre memorie, non ha intimorito le nostre intimità, non ha soffocato le nostre passioni per i grandi Campioni come Pierino Prati, figlio di un Calcio vero.
Manlio Milana
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