Pillola abortiva. La questione aborto torna prepotentemente in primo piano dopo le contrastanti scelte fatte da due regioni italiane, Toscana e Umbria, relative alla regolamentazione della somministrazione della pillola RU486. Ma al centro del problema c’è davvero solo la tutela della donna o sono altri i motivi che rendono il nostro Paese così diviso anche su temi importanti come l’aborto?
Intanto c’è da considerare che oggi, come ieri, non è cambiato molto e che i motivi che spingono la donna verso l’idea di una interruzione volontaria di gravidanza sono sempre gli stessi. Alcuni di questi potrebbero essere eliminati se la politica attuasse una chiara e forte risposta alla sempre più pressante richiesta di migliorare le condizioni necessarie per costruire e mantenere la famiglia, come avviene ormai da tempo in altre nazioni. Tutt’ora abortire resta una scelta sofferta e difficile da prendere e se poi si aggiungono complicazioni logistiche, ideologiche, organizzative e burocratiche diventa tutto ancora più complicato. Decidere se avere o no un figlio, in un particolare momento della vita di una donna o per sempre, resta e deve restare un diritto acquisito che deve essere reso attuabile in condizioni che tutelino fisicamente e psicologicamente la donna.
In Italia, per questo, dal 1978 esiste l’istituzione del consultorio familiare che, tra le tante cose di cui si occupa, indica anche il percorso giusto da seguire, dopo aver fatto le valutazioni per ogni singolo caso. Il consultorio rappresenta un valido supporto per ascoltare i dubbi e le incertezze che la donna manifesta. Ricordiamo che in Italia la legge 194 del 1978 stabilisce che la donna può effettuare una IVG (interruzione volontaria di gravidanza), in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni o entro il secondo trimestre se si tratta di un aborto terapeutico. Stabilisce che il medico competente, valutate le condizioni fisiche e psicologiche, può rilasciare la relativa certificazione con la quale ci si può recare nella struttura convenzionata scelta. Si dà anche un tempo di riflessione di 7 giorni per permettere alla donna di decidere con tranquillità se proseguire o interrompere il percorso.
Nel Lazio ormai da anni sono gli stessi consultori a indicare le strutture dove effettuare la IGV, fornendo così un valido aiuto alle donne.
Per quanto riguarda i metodi e qui veniamo al nocciolo della questione, oltre al metodo tradizionale c’è anche quello farmacologico che prevede la somministrazione della pillola RU486. La regolamentazione di questa operazione è diventata, in questi giorni, materia di disputa tra le parti in causa. Al centro del problema c’è il fatto che possa essere assunta in regime di day hospital in alcune regioni mentre in altre è prevista una degenza “forzata” di tre giorni, causando notevoli difficoltà alla donna e alle strutture già troppo intasate per altri più gravi casi di necessità.
Altro problema è quello rappresentato dai medici obiettori di coscienza, circa il 70% su scala nazionale con punte che arrivano addirittura al 90% in alcune regioni (Molise, Basilicata e Trentino Alto Adige). La regione Lazio va segnalata per essere stata l’unica regione ad aver indetto un concorso per soli medici non obiettori di coscienza, al fine di tentare di garantire ad ogni donna la tutela e il rispetto della legge 194. Quindi in Italia si può abortire ma non senza un gran numero di complicazioni e il Consiglio d’Europa lo ha segnalato varie volte. Evidenziando che mentre da noi nascono mozioni anti aborto nel resto del mondo occidentale si procede con metodiche sicure, semplici e senza ostacoli.
È la strada che la Toscana sta prendendo con la decisione di autorizzare l’uso della RU486 anche negli ambulatori pubblici autorizzati e collegati agli ospedali. Una saggia decisione, un atto dovuto che facilita le donne in un momento per loro così difficile. La vicina Umbria invece impone i tre giorni di ricovero ordinari e non in regime di day hospital abrogando una delibera fatta dalla precedente giunta. Questa decisione ha suscitato molte polemiche e aperto numerosi dibattiti sul tema e sulla applicazione della legge 194. Si tratta di un notevole passo indietro che mina l’autodeterminazione della donna e che, non potendo abolire un diritto legalmente acquisito, lo rende complicato con l’obbligo del ricovero forzato.
Proprio l’esatto contrario di quello che è lo scopo del metodo farmacologico è cioè anche quello di non appesantire le strutture ospedaliere già troppo congestionate. In Italia, insomma, siamo riusciti a mettere in discussione i principi che negli anni ’70 portarono alla promulgazione, in tutto il mondo, delle leggi sulla interruzione volontaria di gravidanza. La maternità non deve essere intesa come un dovere morale o un destino biologico ma deve essere una scelta ponderata e sicura. Purtroppo nel 2020 c’è bisogno ancora di ribadire un concetto ragionevole e immediato.
Manlio Milana
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